Verso casa. Intervista a Donato Bendicenti
- 22 Aprile 2022

Verso casa. Intervista a Donato Bendicenti

Scritto da Giacomo Bottos

12 minuti di lettura

Reading Time: 12 minutes

Donato Bendicenti è il responsabile della sede di corrispondenza della Rai a Bruxelles. Giornalista parlamentare e inviato speciale del Tg1, è stato Vicedirettore di Rai Parlamento e ha curato e condotto per RaiNews24 le rubriche “Il Transatlantico”, “La Bussola” e “Lo Stato dell’Unione”. Ha svolta attività di docenza presso numerose università tra cui: Teramo, Padova, “Federico II” di Napoli e Luiss “Guido Carli” di Roma. Il suo ultimo libro è Verso casa. Il lungo viaggio dell’Europa per ritrovare sé stessa edito da Luiss University Press con prefazione di David Sassoli. A partire da quest’ultima pubblicazione lo abbiamo intervistato sulle trasformazioni che l’Unione Europea ha sperimentato negli ultimi anni e le sfide con cui deve confrontarsi oggi.


In quale momento e da quale esigenza nasce l’idea di scrivere un libro? Quali sono le istanze fondamentali all’origine di Verso casa?

Donato Bendicenti: Dal mio osservatorio, ho maturato la percezione che l’Unione Europea, nella mediatizzazione globalizzata, desse di sé, nonostante la sua grandissima importanza oggettiva, un’immagine estremamente farraginosa. L’Unione è stata spesso vista (e spesso lo è tuttora) come una sorta di moloch dominato da burocrazie complesse, in cui l’azione politica è estremamente lenta, e alcuni elementi ontologici – pensiamo alla stessa relazione tra le istituzioni europee, o all’obbligo dell’unanimità previsto dai Trattati – ne impediscono quel reale scatto in avanti che i padri fondatori immaginavano fino a idealizzarlo nel progetto di una federazione degli Stati Uniti d’Europa. Nel quotidiano osservavo un contrasto forte tra una complementarietà sempre più evidente tra politiche nazionali e politiche europee – in cui le seconde contengono le prime o comunque ne rappresentano una sorta di verifica permanente obbligatoria – e una percezione diffusa delle istituzioni di Bruxelles come qualcosa di poco comprensibile. Su questo elemento si è peraltro a lungo fondata la narrazione comunicativa dei cosiddetti euroscettici. L’idea di scrivere un libro è nata durante la seconda fase della pandemia, nei lunghi mesi del secondo lockdown che a Bruxelles è stato davvero rigido. Tra l’ottobre 2020 e il giugno 2021 le condizioni di lavoro erano molto difficili, perché tutto avveniva da remoto, si era perso il contatto diretto tra giornalisti e istituzioni. Tutto era racchiuso in una sorta di bolla telefonica. Però, come spesso accade nelle vite delle persone e degli organismi politici, proprio in quel periodo così difficile la necessità ha portato ad uno scatto in avanti. Il concetto alla base di questo libro è analogo a quello economico del costo opportunità. Di fronte alla pandemia, la tragedia più rovinosa del secondo dopoguerra, che ha portato la morte nel cuore del mondo e dell’Europa, questo scatto, oggettivamente, c’è stato. Senza alcuna intenzione di rappresentare le cose in maniera totalmente positiva e virtuosa, ho cercato in questo libro di dar conto di un movimento dell’Europa che è stato effettivo e importante, anche se non si è verificato su tutti i fronti. Se sulla gestione delle politiche migratorie e dell’asilo, sul tema della riforma del Trattato di Dublino nemmeno la pandemia ha potuto mettere d’accordo i diversi Stati membri che partivano da diverse impostazioni valoriali, sul tema della risposta alla pandemia l’Europa ha dato dimostrazione di fare sul serio, di farlo in fretta, di sapersi mettere d’accordo. Questo è vero, in primo luogo, per quanto riguarda la campagna di vaccinazione, partita molto male ma divenuta in seguito un simbolo della capacità di agire come organismo sovranazionale solidale, diventando ciò che con uno slogan molto efficace è stato descritto come “la farmacia del mondo”. Di grandissimo rilievo è stata la capacità di produrre in proprio e acquistare vaccini, ridando una speranza di vita a molte persone che la rischiavano, ma anche una speranza di normalità, anche grazie al certificato di vaccinazione. A convincermi a scrivere il libro e a scriverlo rapidamente, dopo averne discusso con la casa editrice, è stata anche la decisione oggettivamente eccezionale, presa dai 27 Stati membri, di destinare una cifra straordinariamente cospicua al Recovery Fund e al piano Next Generation EU, per garantire la ripresa di economie che erano state martoriate dalla pandemia. Questi due elementi – l’efficace risposta alla pandemia e la risposta a medio/lungo termine rappresentata da Next Generation EU – mi hanno persuaso che valesse la pena di raccontare questo scatto, necessario ma non sufficiente, che era avvenuto. Ho cercato di farlo nel modo più aneddotico possibile, mostrando le cose da vicino, dalla parte di un cronista che le vede, e cerca di capirle e di raccontarle tutti i giorni. Sottolineo che il titolo è “verso” casa. Assistiamo ad una sorta di tensione a ritrovare un percorso comune, che nasce da uno stato di necessità inderogabile. Ma questa tensione richiede ancora un passo ulteriore.

 

Il libro si apre con una prefazione di David Sassoli, scomparso nei giorni in cui il libro stava per andare in stampa. La sua morte ha suscitato una grande commozione collettiva. Quali erano i tratti fondamentali della visione di Sassoli? Vi è una consonanza con il messaggio del libro?

Donato Bendicenti: La prefazione era stata richiesta a David Sassoli alla fine di ottobre e fu consegnata successivamente. È stato per me un dolore profondo che il libro sia stato chiuso in tipografia il giorno della sua morte. David Sassoli è stato Presidente del Parlamento Europeo per due anni e mezzo, che sono purtroppo coincisi con gli ultimi due anni e mezzo della sua vita. Nell’esercizio della sua funzione ha costantemente guardato ad alcuni dei valori fondanti dell’Unione Europea: la difesa dei diritti, delle minoranze, dei più deboli, il riconoscimento dei diritti delle diverse identità, la tutela della libera informazione. Altrettanti punti di una agenda su cui non ha mai arretrato, pur ottenendo risultati di volta in volta maggiori o minori, come sempre accade in politica. C’è una frase che è stata molto ripresa dai media, che riassume un suo pensiero fondamentale: l’Europa non è un incidente della storia. Questo era il suo modo di intendere il proprio ruolo politico e istituzionale: fare del Parlamento europeo e dell’Unione qualcosa che ribadisse e realizzasse quei valori messi duramente alla prova non solo dalla pandemia, ma dal divenire stesso – così contraddittorio e in qualche modo così violento – degli ultimi decenni. Il suo intento era rimettere al centro i valori fondanti dell’Unione Europea. Il fatto stesso che Sassoli sia stato così tenacemente tra i promotori della Conferenza sul futuro dell’Europa, il più grande esperimento di consultazione non elettiva che le istituzioni europee abbiano mai promosso, dimostra come guardasse avanti, come si rendesse conto che l’Unione Europea non poteva più essere imprigionata dentro una serie di regole e di trattati che la storia aveva dimostrato la necessità di superare. Sassoli non aveva un’estrazione comunista o post-comunista, era un cattolico riformista, ma mi piace ricordare un’espressione di Enrico Berlinguer, che parlava di pensieri lunghi. David Sassoli era un uomo dai pensieri lunghi. Nelle idee del Presidente Sassoli e nelle tesi sostenute nel libro, certamente questo elemento è presente, ed è la ragione per cui gli ho chiesto di scrivere la prefazione. Tuttavia, ho cercato di scrivere un libro che non fosse partigiano: quindi ovviamente del Presidente Sassoli e della sua azione politica il libro parla molto e ne condivide larga parte, ma non in modo partigiano.

 

Cosa significa raccontare la politica europea? Le specificità dell’architettura istituzionale comunitaria e dell’ambiente brussellese pongono delle sfide e delle difficoltà peculiari al giornalista che si confronta con questo contesto? C’è stata un’evoluzione a questo proposito?

Donato Bendicenti: Per fare il mio mestiere bisogna studiare, apprendere sul posto e imparare a codificare, a separare. Ci sono talmente tante suggestioni da cogliere e argomenti da trattare che lo sforzo del cronista, del corrispondente che vive e lavora a Bruxelles dev’essere in primo luogo quello di capire come funziona questo meccanismo complesso. Una volta compreso questo funzionamento, occorre cercare, al di là delle suggestioni obbligate poste dall’attualità, di muoversi attraverso un’enorme massa di informazioni e una serie di istituzioni – il Consiglio Europeo, la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, il Consiglio d’Europa, la Corte di Giustizia – che ricadono tutte in qualche modo nella competenza di chi lavora qui. Bisogna poi fare sintesi, separare il grano dal loglio e avere un grande livello di attenzione. Altrimenti il rischio è quello di cadere in una gergalità burocratica che non consente di restituire una buona narrazione dell’Unione Europea e soprattutto non aiuta il fruitore delle notizie a comprenderle nel modo migliore.

 

Il libro racconta di un’Unione che si trova in un momento decisivo di passaggio, in cui certamente la pandemia gioca un ruolo cruciale. Ma già prima le elezioni del 2019 sono un momento significativo. Quale è stata la cifra principale di questo appuntamento elettorale?

Donato Bendicenti: L’elemento fondamentale di quelle elezioni è stato la conferma di un’ampia maggioranza europeista, dopo due o tre anni in cui il dibattito pubblico si confrontava sulla possibilità che quella maggioranza venisse meno. In realtà si è formata un’altra grande coalizione. Quindi, per così dire, la novità è stata che non c’è stata una novità. L’altro elemento importante è stato il venire meno dell’esperimento degli Spitzenkandidaten, che era stato centrale nel 2014, quando Jean-Claude Juncker era diventato presidente della Commissione. Si era allora cercato di avvicinare il più possibile i cittadini europei all’Unione attraverso una sorta elezione diretta, facendo sì che chi aveva preso più voti – in quel caso Juncker, rappresentante del Partito Popolare – diventasse attraverso una sorta di automatismo Presidente della Commissione. Nel 2019 questo non è accaduto. Si è ritornati, con l’indicazione della Presidente von der Leyen, ad una scelta fatta dai 27 capi di stato e di governo. Si è superata così, di fatto, quella che sarebbe stata la scelta naturale, quella di Manfred Weber che, come rappresentante dei popolari aveva ottenuto il drappello di deputati europei più consistente e quindi secondo la logica degli Spitzenkandidaten avrebbe dovuto essere scelto. Quasi simultaneamente sono stati indicati tutti i vertici delle istituzioni europee: Presidente del Consiglio europeo, Presidente della Commissione, Presidente del Parlamento, Alto rappresentante per la politica estera e Presidente della BCE. L’altro dato fondamentale è stato quello dell’elezione della prima donna Presidente della Commissione Europea. Adesso in Europa sono donne la Presidente del Parlamento Europeo, la Presidente della Commissione Europea e la Presidente della BCE. È un risultato estremamente significativo.

 

Uno degli eventi che ha segnato per anni il dibattito a livello europeo è stata la Brexit. È già possibile fare un bilancio di questo avvenimento e dei suoi effetti?

Donato Bendicenti: Sì, anche se si tratta di un bilancio assolutamente in divenire. In generale possiamo dire che la Brexit non è convenuta a nessuno. Ricordo bene la notte in cui si è appreso il risultato del referendum che Cameron aveva deciso di indire. A mezzanotte si pensava che avessero vinto i remainer, mentre alle sei del mattino si capì che aveva prevalso l’altra parte. È stato un negoziato estenuante, che in qualche modo non è terminato. Sono state fissate le linee generali dell’accordo di uscita, ma la relazione tra Unione Europea e Regno Unito è talmente importante, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista commerciale, che gli effetti sono certamente da valutare in un tempo più lungo. Erano state fatte previsioni fosche relative a un declino verticale dell’economia britannica e questo, allo stato, non è accaduto. Al tempo stesso, però, il Regno Unito non ha guadagnato nulla dalla Brexit, se non la soddisfazione di un desiderio di autonomia e indipendenza dall’Unione Europea di una maggioranza esigua dei suoi aventi diritto. Ricordo che la Gran Bretagna non ha mai fatto parte della zona euro, ha sempre mantenuto la sua moneta e un rapporto con l’Unione Europea simile a quello di un parente stretto, senza però mai legarsi completamente ad essa. Se guardiamo invece agli effetti negativi persistenti degni di nota che l’Unione Europea avrebbe subito dalla Brexit, allo stato attuale non ne vedo di estremamente significativi, forse anche per la presenza di problemi e questioni molto più tangibili e preoccupanti. In ogni caso, credo che non siamo ancora totalmente in grado di vedere tutti gli effetti e i corollari di questo processo storico.

 

Si può sostenere che, in qualche modo, sia la Brexit che l’elezione di Donald Trump abbiano in realtà fornito un impulso per reazione al processo di integrazione?

Donato Bendicenti: È una domanda molto interessante, che non mi ero mai posto. Forse sì per quanto riguarda la Brexit, perché si è trattato di un evento nei confronti del quale l’Unione Europea, che in quel periodo era veramente divisa su tutto, ha saputo dimostrare grande unità, grazie anche al lavoro infaticabile del capo negoziatore Barnier. Se c’è stata una questione, negli anni precedenti alla pandemia, e durante la prima fase di essa, su cui l’Unione si sia unita, questa è stata la Brexit. Per quanto riguarda l’elezione di Trump, ricordo anche in quel caso la notte elettorale, nella quale a Bruxelles a mezzanotte si credeva che avesse vinto Hillary Clinton, mentre all’alba si scoprì che aveva vinto Trump. Vi è stato certamente un collante valoriale anti-Trump di alcune cancellerie europee liberali o riformiste, ma credo che la vera rimotivazione sia avvenuta con l’elezione di Biden. I quattro anni di Presidenza Trump sono stati difficilissimi, anche per via di una politica che prescindeva dal multilateralismo e cercava con forza un asse con il Regno Unito. Dopo la vittoria di Biden si percepiva, anche dai tweet dei diversi esponenti politici e istituzionali, il sollievo di aver ritrovato un interlocutore atlantista dall’altra parte dell’Oceano, con cui si poteva finalmente ricominciare a dialogare.

 

Nei pochi mesi che separano le elezioni europee dallo scoppio della pandemia, la nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen pone già alcune linee programmatiche della sua azione futura. Quale rapporto c’è tra questi primi mesi e quanto avviene dopo?

Donato Bendicenti: Ripercorrendo la cronologia degli avvenimenti, dopo l’indicazione del Consiglio, Ursula von der Leyen viene confermata nel mese di luglio del 2019 dal voto del Parlamento Europeo – conferma in mancanza della quale si sarebbe dovuto avviare un nuovo processo di elezione. Questa conferma avvenne con una maggioranza molto risicata, nella quale ebbe anche un peso significativo la decisione del Movimento 5 Stelle di appoggiarla. In questo esito si scontava, da parte del PPE, il problema dell’accantonamento dell’ipotesi Weber. Successivamente si è svolta la vicenda molto interessante – con un’importante impronta di Sassoli – degli hearing dei candidati Commissari, che ha visto la bocciatura di Sylvie Goulard, scelta da Macron e destinata ad un portafoglio di straordinaria importanza. Tutto questo ha fatto sì che si arrivasse alla pienezza dei poteri, con tutte le pratiche espletate e il programma enunciato, all’inizio del 2020. Due mesi dopo si entrava nel pieno della pandemia. È stato qualcosa di mai visto in precedenza. Nell’arco di due mesi ciò che è stato possibile fare è stato enunciare le linee guida del Green New Deal, facendo della transizione ecologica e digitale l’impegno di legislatura più forte della Commissione von der Leyen. Subito dopo è cominciata l’emergenza. La relazione tra quanto postulato prima della pandemia e quanto praticato dopo deve dunque essere sempre guardata attraverso la lente di quell’avvenimento dirompente e devastante, che ha fatto apparentemente saltare tutte le agende. In pratica, però, questo non è poi effettivamente avvenuto: nei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza presentati dai 27 Stati membri sono presenti una serie di condizionalità che rimandano, nelle riforme e nei livelli di investimento richiesti, agli obiettivi che la Commissione si era data prima della pandemia. C’è una sorta di circolarità, che ovviamente passa per un trauma enorme. Quindi la mia risposta è che quei postulati, che costituivano il quadro di intenti della nuova Commissione, sono stati sommersi per un certo periodo dalla vicenda pandemica, ma poi sono riemersi, con un proprio ordine e una propria forma di applicazione proiettiva.

 

La politica di contrasto della pandemia messa in atto a livello europeo sconta in una fase iniziale diverse criticità, che vengono poi recuperate impostando una strategia per molti aspetti efficace e coerente. In questa strategia si riesce a contemperare risposta all’emergenza e visione di lungo periodo?

Donato Bendicenti: Risponderei di sì. Guardando le vicende ex post, pur considerando che la pandemia non è ancora finita e che nel frattempo si è abbattuta sul mondo una nuova variabile ancora difficile da comprendere nell’enormità della sua tragedia, credo che vi sia stata la capacità di muoversi su una sorta di doppio binario. Questa è poi una delle tesi principali del libro. Senza enfasi e senza esaltazioni, direi che si è riusciti a tenere insieme risposta sul campo ad un’emergenza senza precedenti e capacità progettuale per il medio e lungo periodo.

 

Vi è un’evoluzione per quanto riguarda il ruolo dell’Italia in questo contesto?

Donato Bendicenti: Vi sono stati due momenti principali relativamente al ruolo dell’Italia. La prima fase della pandemia è stata gestita molto bene dal governo Conte. Siamo passati dall’essere il Paese più colpito dalla pandemia al rappresentare un modello di gestione dell’emergenza. Questo è avvenuto nella fase del primo lockdown e in quella successiva degli allentamenti delle restrizioni e del primo tentativo di ritorno alla normalità. La seconda fase ha coinciso di fatto con l’elaborazione strategica e con il lavoro di messa a terra del Recovery Plan. Pur nell’assoluto apprezzamento del governo Conte, diffuso peraltro in tutto il milieu dei capi di stato e di governo, il cambio di passo nel nostro Paese è avvenuto con l’indicazione da parte del Presidente della Repubblica di Mario Draghi come Presidente del Consiglio. Questo ha rimesso l’Italia al centro dei giochi, in virtù di una percezione eccezionale di affidabilità che il Presidente Draghi suscita, che si è immediatamente tradotta nella sua politica. Si pensi alla forte presa di posizione nei confronti delle case farmaceutiche, che avevano ricevuto ingentissime risorse pubbliche, e alle quali si richiedeva una controprestazione. Si pensi anche all’organizzazione del Global Health Summit a Roma e al percorso di costruzione del Next Generation EU, o ancora agli interventi relativi al rapporto di reciprocità nello scambio dei vaccini. Lì è avvenuto un cambio di passo, con un ritorno dell’Italia al centro del meccanismo di governance europea.

 

Il libro è stato chiuso prima dello scoppio conclamato del conflitto in Ucraina. Al netto dell’inevitabile incertezza, in che modo ciò che sta avvenendo potrebbe modificare o influire sul quadro tracciato in esso?

Donato Bendicenti: Sostanzialmente il quadro delineato nel libro non viene modificato nelle sue linee essenziali. Ciò che sta avvenendo, per cui è difficile anche trovare un termine, può essere visto – per quanto riguarda la risposta europea – come ulteriore dimostrazione della tesi di Verso casa. Così come negli ultimi due anni l’Europa, obbligata dalla pandemia, è stata costretta a muoversi rapidamente e in modo efficace, allo stesso modo, nelle tre settimane successive all’invasione russa in Ucraina è stata capace, come ha detto Blinken, di prendere decisioni storiche. 27 Paesi hanno prodotto in sette settimane cinque pacchetti di sanzioni. Di fronte alla necessità – allora era la pandemia, ora è la guerra, non ai confini, ma praticamente dentro casa – l’Unione Europea ha reagito. Ora, come sempre, si aprono nuove sfide. Vi sono due questioni fondamentali che si configurano. La prima riguarda la capacità di accoglienza che sarà dimostrata. I rifugiati, secondo le stime della Commissione, confermate anche dai Ministeri nazionali, se la situazione continuerà secondo le tendenze attuali e non vi è una soluzione realistica, potrebbero arrivare ai 10 milioni di persone. La situazione va gestita e in questo frangente l’Unione Europea, come affermato da Roberta Metsola, deve mostrare qual è il suo modello di accoglienza. Occorrono finanziamenti adeguati in un momento in cui la guerra in Ucraina ha portato una gelata dell’economia europea rispetto alla aspettativa precedente di ripresa – con indicatori del 5% nella zona euro e di qualche decimale in più in Italia. Gestire una vicenda di dimensioni sostanzialmente epocali come l’arrivo dei rifugiati dall’Ucraina – in gran parte donne e bambini – e affrontare al tempo stesso le sanzioni è una sfida enorme. Finora sono state decise misure molto ben congegnate. Ma, come è stato detto da Borrell e da Gentiloni, le sanzioni devono colpire chi le riceve, non chi le impone. Ora siamo ad un turning point. Non so se si arriverà a un accordo per rendere oggetto di sanzione il petrolio o addirittura il gas russo. Ma è certamente vero che più le sanzioni aumentano di grado e di intensità, andando a toccare direttamente il livello di approvvigionamento dei singoli Stati nazionali e le necessità dei cittadini e delle attività produttive, più viene messa alla prova l’unità che è stata alla base dell’eccezionale risposta data nelle prime settimane di guerra, in continuità con quella fornita durante la pandemia e nell’immaginare la ricostruzione. La capacità dell’Unione Europea di restare sulla stessa ottava è oggi la sfida centrale.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici