Recensione a: Simone Pieranni, 2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi, Mondadori, Milano 2024, pp. 192, 18,50 euro (scheda libro)
Scritto da Camilla Tettoni
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Simone Pieranni, con il suo ultimo libro 2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi, edito da Mondadori, ci accompagna in un viaggio affascinante e profondo nella complessità di un continente che sta plasmando il futuro globale. La passione per l’Asia dell’autore, unita alla curiosità intellettuale e a una acuta capacità analitica, lo ha già portato a scrivere opere come Red Mirror e La Cina Nuova, che lo hanno consacrato come uno tra i maggiori esperti delle trasformazioni in atto nell’Estremo Oriente. Pieranni ha trascorso molti anni in Cina e questa sua esperienza emerge nella visione consapevole e attenta di un’Asia raccontata dall’interno, in un saggio che dà voce a realtà locali spesso oscurate da stereotipi e visioni parziali.
Con 2100 Pieranni intraprende una riflessione audace e ambiziosa, che va ben oltre la mera previsione del futuro asiatico e l’analisi geopolitica, per esplorare come un continente che da sempre unisce tradizione e innovazione stia assumendo un ruolo globale sempre più rilevante. Ne emerge un mosaico ricco di tematiche, che spaziano dall’urbanizzazione alle tecnologie emergenti, dalla gestione delle risorse naturali alla questione dei diritti civili, passando per il mondo del lavoro e le sfide sociali. Pieranni cerca di rispondere alle grandi domande che l’Asia sta ponendo a sé stessa e al mondo e, nel farlo, esamina come culture millenarie si stiano confrontando con le sfide della modernità. Nel libro, l’Asia viene presentata come un laboratorio vivente di esperimenti sociali, economici e tecnologici, che solleva le questioni più urgenti e globali, interrogandoci su come rispondere a un mondo che cambia in modo rapido e profondo e su come costruire un futuro sostenibile, giusto e condiviso. Entrando nel cuore delle vite quotidiane delle persone, vediamo intrecciarsi innovazioni e contraddizioni, tradizione e modernità, sviluppo economico e sostenibilità.
Il capitolo sul cibo del futuro, che si concentra su Singapore, è emblematico di questa prospettiva: la ricerca di proteine alternative come la carne coltivata non è solo una risposta alle sfide ambientali, ma un tentativo di rendere l’alimentazione più sostenibile in un contesto di crescente scarsità delle risorse. Ci sono difficoltà pratiche, come il costo proibitivo di questa nuova carne, ma la sua adozione potrebbe ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e il consumo di risorse. La visione di Pieranni è chiara: il cambiamento climatico è una minaccia imminente, e soluzioni come queste, pur con tutte le loro criticità, sono un passo necessario verso un futuro più sostenibile; e dovrebbero portarci, anche in Italia, a ripensare le nostre resistenze verso queste innovazioni.
Questa visione della sostenibilità non si limita al cibo: anche l’urbanizzazione sta cercando di rispondere alle medesime sfide, immaginando città che siano resilienti alle crisi ambientali e geopolitiche. L’esempio di Nusantara, la nuova capitale indonesiana pensata per sostituire la Giacarta minacciata dall’innalzamento del livello del mare, introduce il tema illustrando un progetto visionario; simbolo di una visione tanto ambiziosa quanto controversa, poiché la costruzione di Nusantara comporta sacrifici culturali non indifferenti, come lo spostamento delle comunità indigene. Parallelamente, città come Kuala Lumpur e Aqkol in Kazakistan incarnano la fusione di urbanistica e tecnologia, con modelli di smart city che promettono efficienza, ma sollevano interrogativi inquietanti su come agisce la sorveglianza sulla libertà personale. Che prezzo siamo disposti a pagare per quello che consideriamo progresso?
Il terzo capitolo propone un’analisi sui diritti umani, con un focus particolare sulla condizione delle donne in Corea del Sud, ma anche sulle sfide demografiche in Cina e Giappone. In Corea la pressione sociale e l’ossessione per la perfezione estetica spingono molte donne a ricorrere alla chirurgia plastica, generando un fenomeno legato alla cultura del successo che rende difficile, inoltre, conciliare famiglia e carriera: la Corea del Sud è sia il Paese con il più alto tasso di chirurgia estetica pro capite sia quello dove il tasso di natalità è in drastica discesa. Uno dei risultati di una società che fatica a adattarsi alle nuove dinamiche di genere e a garantire pari diritti e opportunità alle donne. Anche in Giappone, la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione pongono altrettante sfide, portando il governo a promuovere politiche di immigrazione senza precedenti e a rendere più facili le adozioni. Similmente, la Cina, nonostante l’abolizione della politica del figlio unico nel 2015, si trova ad affrontare un calo demografico che potrebbe portare a una riduzione di 109 milioni di abitanti entro il 2050. Le crisi che emergono da queste statistiche vengono collegate dall’autore a una considerazione più ampia sul rapporto tra modernità, diritti e sostenibilità: questi fenomeni non sono isolati, ma parte integrante di un quadro più ampio che tocca tutta l’Asia, da cui emerge quanto le politiche sociali siano determinanti per il futuro demografico di ogni Paese.
Le sfide demografiche e sociali sono inevitabilmente connesse ai diritti fondamentali delle persone e in particolare alle minoranze spesso emarginate, tema del quarto capitolo. La diversità e i diritti LGBTQ+, in particolare, sono argomenti spesso marginalizzati in molte culture asiatiche, che l’autore racconta tracciando un interessante confronto tra Paesi come Taiwan, che ha riconosciuto il matrimonio omosessuale nel 2019, e la Cina, dove l’omosessualità è stata declassata dal novero delle malattie mentali solo nel 2001. In tutta l’Asia assistiamo dunque a una lenta evoluzione dei diritti LGBTQ+, con alcuni Paesi più aperti, come la Thailandia e il Nepal, e altri che rimangono ancorati a tradizioni conservatrici, come le Filippine, dove il divorzio è illegale e l’aborto severamente punito.
I capitoli finali di 2100 offrono un’analisi penetrante e critica delle dinamiche politiche, sociali e tecnologiche che attraversano il continente asiatico. Un caso emblematico è quello delle dinastie politiche, che perdurano nel tempo e si rafforzano grazie a una combinazione di propaganda, controllo dei media e tecnologie avanzate. Le Filippine, con il ritorno della famiglia Marcos al potere grazie anche a una campagna elettorale digitale condotta su TikTok, sono uno degli esempi di un fenomeno descritto come un “restauro del passato”, per la capacità dei Marcos di riscrivere la storia e manipolare la memoria collettiva, con l’aiuto di piattaforme come Cambridge Analytica[1]. Questo fenomeno non è però esclusivo delle Filippine: le dinamiche dinastiche e i meccanismi di potere legati all’ereditarietà sono al cuore della politica cambogiana, giapponese e thailandese, dove le famiglie parte delle élite continuano a riciclarsi in ambiti governativi.
Politica ed economia sono spesso inestricabilmente legata a conglomerati familiari e sistemi economici centralizzati, in dialogo con la classe dirigente. In Giappone, la politica è stata in larga parte una questione di famiglia, come nel caso del Partito Liberaldemocratico (LDP), dominato per decenni da un sistema di rotazione tra poche famiglie politiche. La figura di Fumio Kishida, primo ministro fino al primo ottobre 2024, rappresenta il culmine di una tradizione che ha visto il passaggio del potere attraverso legami dinastici, con il Partito che ha favorito il ricambio generazionale più per motivi familiari che ideologici, nonostante il cambiamento della legge elettorale negli anni Novanta, in senso maggioritario, abbia costretto i partiti politici a «rafforzare la propria identità a scapito dei poteri locali delle famiglie diventate scomode nei primi anni Duemila sotto l’impulso dell’opinione pubblica, critica nei confronti di una democrazia controllata sempre dagli stessi cognomi» (p. 86).
Un aspetto che Pieranni esplora con interesse è la crescente concentrazione del potere nelle mani di pochi, amplificata dalle tecnologie. Da un lato, il controllo dell’informazione è essenziale per una città-stato come Singapore per mantenere lo status quo, dove il governo ha introdotto nel 2019 la legge POFMA (Protection from Online Falsehoods and Manipulation Act), un’arma contro le fake news che rischia di soffocare il dissenso. Dall’altro, nel caso della Cina di Xi Jinping il controllo delle informazioni è stato portato a livelli mai visti prima, con la digitalizzazione della memoria storica e la repressione di ogni voce dissidente. La manipolazione delle informazioni, dunque, non è solo un problema di disinformazione, ma un elemento fondamentale delle politiche autoritarie in Asia. Lo si comprende chiaramente anche nel capitolo dedicato alla sorveglianza, dove l’autore esplora come il controllo digitale sia diventato una caratteristica distintiva di diverse realtà asiatiche in cui vige un sottile equilibrio tra stabilità e repressione. L’utilizzo del riconoscimento facciale in Vietnam e il sistema di tracciamento dei dati biometrici in India non solo sollevano preoccupazioni sulla privacy, ma evidenziano anche una tendenza crescente verso la sorveglianza di massa e un aggressivo controllo sociale. Il sistema Aadhar in India, che raccoglie enormi quantità di dati personali, rappresenta l’esempio più lampante di come la tecnologia venga utilizzata come strumento di potere politico, spingendo la democrazia verso una forma sempre più centralizzata e controllata. In Corea del Nord, dove lo Stato spia persino gli insegnanti attraverso le telecamere nelle aule, la sorveglianza capillare è la risposta a una crisi economica endemica che minaccia di scatenare tumulti sociali. Il Myanmar, infine, offre uno scenario distopico: in seguito al colpo di Stato del 2021, il Paese è sprofondato in una “dittatura digitale” dove le telecamere con riconoscimento facciale e gli spyware sulle telecomunicazioni rendono ogni tentativo di resistenza un’impresa disperata.
Emerge in questo capitolo il quadro inquietante e attuale di come la tecnologia, nelle mani sbagliate, possa diventare uno strumento pervasivo di controllo e repressione, di privazione della libertà in nome di un concetto astratto di sicurezza. In molti Paesi asiatici, la pressione esercitata dai sistemi di potere si riflette però anche negli ambienti di lavoro. Il fenomeno dei tang ping in Cina, che rifiutano il sistema lavorativo “996” (lavorare dalle 9 alle 21 sei giorni su sette), rappresenta una reazione contro un sistema che ha ridotto i lavoratori a ingranaggi di una macchina impazzita. La già citata Corea del Sud, con la sua cultura del lavoro massacrante, ha visto una drammatica impennata dei suicidi tra i lavoratori, una tragedia che dimostra le conseguenze di un sistema economico che non lascia spazio alla vita privata. In Giappone, sottolinea Pieranni, recentemente sono stati compiuti passi storici per aumentare significativamente gli stipendi dei lavoratori, segnando il rialzo più consistente degli ultimi trent’anni, con l’impegno di garantire 120 giorni di ferie pagate all’anno e due giorni di riposo settimanali.
Nel capitolo finale, l’autore esplora come l’intelligenza artificiale rappresenti una nuova frontiera per il potere politico e sociale. Il suo utilizzo da parte di figure politiche come Imran Khan, che ha usato la tecnologia per parlare agli elettori pakistani mentre si trovava in carcere, è un chiaro esempio di come questa possa veicolare e amplificare i messaggi aggirando gli ostacoli fisici. Una tecnologia di cui Pieranni evidenzia anche gli sviluppi positivi, come le applicazioni in medicina nel caso MedGPT[2], sollevando però interrogativi cruciali sul suo utilizzo per scopi bellici e sul suo potere di rafforzare le posizioni dominanti delle élite.
2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi di Simone Pieranni è dunque un’indagine profonda su come le diverse trasformazioni del continente asiatico stiano ridefinendo il panorama globale, spingendoci a riflettere su come esse ci riguardino direttamente. È un libro per chi vuole comprendere le sfide, ma anche le opportunità che emergono da un continente che intreccia antiche tradizioni e straordinarie innovazioni. Dai sistemi tecnologici avanzati alla crescente urbanizzazione, dalla crisi ambientale ai diritti civili, 2100 presenta un’Asia capace di offrire risposte audaci ai problemi globali più urgenti, collegando i processi interni alle sfide planetarie. Con uno stile acuto e diretto, l’autore ci invita a rivedere le nostre convinzioni, lasciando da parte l’orientalismo[3] che spesso permea il nostro sguardo sull’Asia. Non propone soluzioni facili ma domande cruciali: come risponderemo alle sfide di un mondo sempre più interconnesso e complesso? Quale ruolo avremo noi, cittadini del presente e del futuro, e quale tipo di mondo vogliamo lasciare alle prossime generazioni? Come sarà l’Asia, come saremo noi è un libro che, oltre a descriverci l’Asia del futuro, invita a una riflessione su quale sarà il nostro ruolo nel mondo che stiamo costruendo. Un futuro che non è predestinato, ma plasmato dalle scelte del presente.
[1]Cambridge Analytica è una società britannica di consulenza politica al centro di uno scandalo nel 2018 per l’utilizzo improprio dei dati di milioni di utenti di Facebook. Accusata di aver sfruttato informazioni personali raccolte senza consenso per influenzare campagne elettorali, tra cui il referendum sulla Brexit e le elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Lo scandalo ha sollevato preoccupazioni globali su privacy e manipolazione dei dati.
[2] MedGPT è una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale progettata per supportare professionisti e pazienti nel settore sanitario. Utilizza modelli linguistici avanzati per fornire informazioni mediche, assistere nella diagnosi preliminare, suggerire trattamenti e migliorare la comunicazione tra medico e paziente, sempre nel rispetto della privacy e delle normative sanitarie. Al momento, viene utilizzata in Cina e Regno Unito.
[3] Orientalismo (1978) di Edward Said è un saggio fondamentale che analizza e ridefinisce il modo in cui l’Europa ha storicamente rappresentato quello che definiva “Oriente”. Said critica le stereotipizzazioni e le dinamiche di potere che emergono in queste rappresentazioni, sostenendo che esse servano a giustificare la dominazione occidentale sulle culture orientali. Pieranni cita Said nell’introduzione alla sua opera per sottolineare l’importanza di questo approccio critico nella comprensione delle relazioni tra l’Occidente e l’Oriente.