Across the metaverse: un’introduzione al metaverso
- 11 Luglio 2022

Across the metaverse: un’introduzione al metaverso

Scritto da Francesco Nasi

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Prima che Mark Zuckerberg annunciasse il cambio di nome della propria compagnia da Facebook a Meta erano probabilmente poche le persone che avevano già letto o sentito il termine “metaverso”. Tra questi non rientrano probabilmente gli appassionati di fantascienza. Come è ormai noto, infatti, il termine metaverso viene utilizzato per la prima volta da Neal Stephenson in Snow Crash, romanzo cyberpunk del 1992. Il libro di Stephenson è ambientato in un’America dove le istituzioni statali hanno ceduto il passo ad una forma di anarco-capitalismo estremo, in cui singole corporation arrivano a controllare interi settori della società e parti di territorio. A questa realtà analogica si affianca quella del metaverso, una realtà virtuale in cui le persone possono interagire attraverso avatar in tre dimensioni.

La scelta di Zuckerberg è stata vista inizialmente come un tentativo di rebranding per ripulirsi (almeno parzialmente) dagli scandali che hanno coinvolto la compagnia negli ultimi anni. Dallo scoppio del caso Cambridge Analytica in poi, infatti, si sono susseguite le inchieste e le rivelazioni che hanno messo in cattiva luce l’azienda di Menlo Park. Ultimi in ordine cronologico, i Facebook Papers, una serie di documenti consegnati dalla whistleblower Frances Haugen alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti, che, tra le altre cose, mostravano le lacune di Facebook nella moderazione dei contenuti e la discrasia tra le dichiarazioni pubbliche della compagnia e le proprie ricerche interne[1].

Quel che è certo è che il cambio di nome di Facebook ha contribuito a portare l’attenzione dell’opinione pubblica (e non solo) sul metaverso. Dopo l’annuncio di Zuckerberg, il termine “metaverse” è schizzato nelle ricerche di Google, per abbassarsi significativamente soltanto verso la fine di febbraio[2]. A ruota, altre big tech hanno annunciato di voler puntare sul metaverso, in primo luogo Microsoft, che l’ha elevato a successore di Internet per l’impatto che potrà avere sulla vita dei cittadini di tutto il mondo. Ma anche aziende meno note, magari impegnate in settori più specifici, come può essere Epic Games sul fronte del mercato videoludico, hanno accelerato i loro sforzi nella costruzione del metaverso. Ma di che cosa parliamo quando parliamo di metaverso? Chi sono gli attori principali che determineranno il suo futuro e quali gli ambiti in cui potrebbe svilupparsi? E, soprattutto, quali conseguenze potrebbe avere sulla società, dalla sfera politica a quella economica? Il tema è di una vastità e di una complessità che un articolo da solo non può ovviamente riassumere. Per questo, senza pretesa di esaustività, nelle prossime righe si cercherà di tratteggiare le caratteristiche principali di quello che fino ad ora si è detto sul metaverso, fornendo le coordinate fondamentali per orientarsi in un dibattito che, da qui ai prossimi anni, potrebbe toccare ogni persona molto da vicino.

 

La difficoltà di una definizione

Non è facile trovare una definizione condivisa di metaverso. La prima immagine che viene alla mente quando se ne parla è probabilmente una persona che indossa un visore per la realtà virtuale. Ma ridurre il metaverso a questa singola pratica rischia di essere fuorviante. Microsoft, che sta investendo nel settore soprattutto sul fronte del lavoro, lo descrive come “uno spazio digitale abitato dalla rappresentazione digitale di persone, luoghi e oggetti” o “una nuova versione di Internet con la quale è possibile interagire direttamente”. Su una linea simile si muove un report redatto da Citigroup[3], che parla del metaverso come della nuova “iterazione di Internet che supporta un insieme di applicazioni ed esperienze in tempo reale attraverso una serie di dispositivi”.

Secondo il venture capitalist Matthew Ball[4], invece, per parlare adeguatamente del metaverso bisogna tenere in considerazione almeno otto elementi. L’hardware (dai visori per la realtà virtuale ai dispositivi in grado di fornire sensazioni tattili), il networking (ovvero la messa a terra del sistema infrastrutturale per gestire le connessioni nel metaverso in tutto il mondo), il compute (e quindi la capacità computazionale per gestire una tale mole di dati), le piattaforme virtuali (tema su cui si ritornerà più avanti nel corso dell’articolo), tool e standard comuni (al fine di garantire l’interoperabilità tra le varie piattaforme e costruire un metaverso che sia il più possibile accessibile omogeneo), i pagamenti (che potranno variare significativamente nel caso di monete digitali “ufficiali”, criptovalute o altri strumenti appositi), la creazione di contenuti e servizi ad hoc (come asset digitali e NFT per garantire l’unicità di ciò che si fa e si possiede nel metaverso) e, infine, lo stesso comportamento degli utenti.

Si tratterebbe quindi di qualcosa che va ben oltre lo sporadico utilizzo della realtà virtuale per semplificare alcuni compiti della vita quotidiana, ma bensì di una vera e propria commistione tra digitale e analogico. Se in anni recenti alcuni studiosi avevano teorizzato questa fusione[5], il metaverso la porterebbe a livelli senza precedenti, creando una realtà dinamica in cui analogico e digitale si co-costruiscono costantemente. Nei video di presentazione delle varie compagnie che stanno investendo sul metaverso vediamo infatti, da una parte, una realtà virtuale abitata dagli avatar degli utenti dove è possibile lavorare, commerciare e passare il tempo libero e, dall’altra, l’inserimento di questa stessa realtà virtuale nella realtà analogica, grazie a visori e ologrammi che mescolano le due dimensioni. La parola d’ordine del metaverso sarebbe quindi interattività, con la costruzione di legami tra mondo digitale e mondo analogico, tra gli utenti e gli oggetti, tra gli utenti e i servizi e tra gli utenti stessi. L’obiettivo è quello di costruire ciò che Mark Zuckerberg ha definito “embodied Internet”, ovvero un “Internet incarnato” in cui diventa possibile interagire direttamente e costantemente con elementi della realtà analogica, ormai completamente fusi con la realtà digitale. Per comprendere cosa questo comporterebbe, diventa necessario approfondire i singoli ambiti di sviluppo del metaverso.

 

I principali ambiti di utilizzo

Seppur nella mente degli ingegneri e degli imprenditori che gli stanno dando forma il metaverso debba ambire a diventare qualcosa di capillare nella vita quotidiana delle persone, esistono comunque alcuni settori che potrebbero essere maggiormente toccati da questa rivoluzione. Innanzitutto, quello del gaming. Si tratta di un mercato fondamentale che già nel 2019 valeva più di 150 miliardi di dollari e che, secondo le stime, dovrebbe ulteriormente aumentare negli anni a venire[6]. Il settore videoludico è già quello in cui la realtà virtuale è più implementata, permettendo una maggiore immersione nel gioco e stimolando maggiormente “l’engagement” degli utenti. Non è un caso che la già citata Epic Games, così come tante altre case di produzione di videogiochi, stia lavorando intensamente su questo tema, arrivando recentemente ad annunciare una partnership con LEGO group per costruire uno spazio “sicuro e divertente” nel metaverso dedicato ai bambini[7].

Altro ambiente cruciale è quello del lavoro, un settore particolarmente enfatizzato anche nel video di lancio in cui Facebook ha annunciato il cambio di nome in Meta[8]. Dall’inizio della pandemia di Covid-19 le abitudini lavorative di miliardi di persone in tutto il mondo sono cambiate, rendendo mainstream pratiche prima minoritarie come il lavoro da remoto e i meeting sui vari Teams, Zoom e WebEx. Gran parte del lavoro si è già quindi spostato online. Il metaverso potrebbe renderlo più interattivo, portando ad un ulteriore commistione tra digitale e analogico: basti pensare a riunioni di lavoro con avatar 3D rispetto agli incontri in 2D sulle piattaforme o formazioni più interattive con l’opportunità di lavorare su ologrammi o proiezioni di oggetti. Questo potrebbe rivelarsi particolarmente utile per chi lavora nel settore secondario e primario o, comunque, ha bisogno di sviluppare una certa abilità partica e manuale con l’oggetto del proprio lavoro, che si potrebbe simulare nel metaverso. Allo stesso modo, quei tanti servizi pubblici o privati che richiedono un’interazione con un’altra persona (dagli sportelli dell’anagrafe fino alle visite dal medico di base) potrebbero essere facilitati da questa tecnologia, come già dovrebbe avvenire a Seul: la capitale della Corea del Sud ha annunciato che entro il 2023 verrà aperto il “Metaverse 120 Centre”, uno spazio pubblico virtuale in cui i cittadini potranno accedere ai servizi della pubblica amministrazione[9].

Tutto questo si lega anche al settore dell’educazione. L’EdTech (Education Technology) è uno di quegli ambiti in cui gli investitori di tutto il mondo si stanno concentrando, con un mercato dal valore stimato di 230 miliardi di dollari per il 2028[10]. Se uno dei principali problemi della didattica a distanza negli anni di pandemia è stato proprio quello di un’interazione tra alunni e docenti ostica e meccanica, se non addirittura impossibile, le lezioni nel metaverso potrebbero costruire un’alternativa che apre a nuove forme di dialogo, permettendo una maggior immersione e immedesimazione degli studenti, dalla possibilità di interagire con l’ologramma di una cellula alla ricostruzione digitale dell’antica Roma. Una maggior integrazione di questi strumenti potrebbe tra l’altro servire come volano per il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite numero 4, ovvero la diffusione un’educazione di qualità. O, al contrario, potrebbe rischiare di aumentare ulteriormente le disuguaglianze tra un Nord/centro del mondo che può permettersi le tecnologie e le competenze per accedere all’educazione nel metaverso, e un Sud/periferia che rimane indietro.

C’è anche tutta una parte legata alla socialità generalmente intesa: incontrarsi in spazi virtuali con altri avatar per chattare/parlare, fare sport dal proprio salotto di casa, ma anche seguire eventi, concerti o seminari. Il rischio in questo caso è avere una riproposizione della realtà esistente in un mondo simil-videoludico, che potrebbe non essere particolarmente attrattivo per gli utenti. La parola chiave diventa quindi, nuovamente, interattività. La differenza sostanziale tra un concerto nel metaverso e un concerto analogico potrebbe risiedere nella possibilità per il primo di offrire una serie di servizi aggiuntivi e appunto interattivi: dall’entrare nella rete del fan club dell’artista, alla possibilità di acquistarne il merchandising o vedere apparire, a fianco del gruppo che suona, le varie informazioni sul brano eseguito o i componenti della band. Il concetto chiave alla base del metaverso diventa quindi la costante interazione tra digitale e analogico, tra mondo “reale” e mondo virtuale, fino a perderne i confini esatti.

Il settore più importante, e che in un certo senso abbraccia tutti quelli sopra citati, rimane però quello commerciale. Non è un caso che la maggior attenzione sul tema del metaverso sia arrivata proprio dal settore dei mercati finanziari, che vi hanno visto un’opportunità di business straordinaria. Secondo il già citato report di Citigroup, adottando una definizione ampia di metaverso che non si limita al singolo segmento degli utilizzatori di visori per la realtà virtuale ma lo vede come una vera e propria estensione di Internet, si tratta di un mercato che già nel 2030 potrebbe valere tra gli 8 e i 13 trilioni di dollari. Da una parte vi sarebbe la possibilità di costruire mercati del tutto nuovi, come quelli delle tecnologie che faranno funzionare il metaverso a livello di hardware e di software, ma anche un rapido aumento nell’utilizzo di NFT per personalizzare il proprio avatar e i propri ambienti nel metaverso. Dall’altra, assisteremo probabilmente alla crescita di quelle che sono già fonti di guadagno imprescindibili per le grandi aziende del digitale. Un’immersione totale nel metaverso, infatti, comporterebbe la possibilità di datificare[11] (ovvero, trasformare in dati digitali e utilizzabili) un numero di esperienze senza precedenti, ben superiore a quello che si può oggi ottenere attraverso il tracciamento tramite social media, smartphone, dispositivi connessi a Internet o assistenti vocali. Tutto ciò avrebbe impatti estremamente significativi sulla profilazione degli utenti e quindi su tutto il settore del capitalismo della sorveglianza[12], a cominciare ovviamente dalla targhettizzazione pubblicitaria. Il livello più alto di interazione potrebbe facilmente tradursi in una maggiore capacità di comprare, vendere e consumare nel mondo digitale, offrendo costantemente servizi a pagamento (sia esso monetario o espresso come cessione di dati). Potenzialmente, si potrebbe arrivare alla monetizzazione di qualsiasi cosa, nel momento in cui tutto ciò che un utente vede e con cui può interagire è potenzialmente datificabile e utilizzabile per la profilazione del soggetto, andando poi a comporre quel “prodotto predittivo” che potrà essere venduto a enti terzi.

 

Chi governa il metaverso?

Una delle questioni più spinose quando si parla di metaverso è quella della governance. Le strade che si aprono sono almeno tre. La prima (l’oligopolio) vedrebbe una concentrazione oligopolistica delle attività nel metaverso nelle mani di poche aziende, tendenzialmente quelle che già adesso ricoprono un ruolo di primo piano nella governance di Internet: Google, Facebook, Amazon, Microsoft e Apple, almeno nel mondo occidentale. Le attuali grandi piattaforme, avvantaggiandosi della propria posizione sui mercati già esistenti, potrebbero così spartirsi come un “cartello” le principali aree d’azione del metaverso con, per esempio, Microsoft che occuperebbe il settore del lavoro e dell’educazione e Meta quello del tempo libero e dell’intrattenimento, acquistando o di fatto co-optando aziende minori, per esempio nel mercato videoludico.

La seconda strada (il modello aperto) cerca di evitare la concentrazione del metaverso nelle mani di poche aziende favorendo la partecipazione diretta dei singoli utenti nella sua gestione. Il modello è sostanzialmente quello del primo Internet degli anni Novanta, caratterizzato da un elevato numero di siti e dalla possibilità da parte degli utenti di modificarlo costantemente. Si tratterebbe quindi di un metaverso open source, accessibile e modificabile da tutti. In questa versione aperta del metaverso diviene fondamentale l’utilizzo di tecnologia blockchain per garantire allo stesso tempo decentralizzazione e sicurezza, così come una serie di strumenti (come un passaporto digitale in NFT) che permetterebbe di muoversi da un luogo/applicazione all’altra senza passare dalle autentificazioni centralizzate delle grandi piattaforme. Altro concetto chiave del modello aperto è quello di “self-sovereign identity[13], in base al quale ogni utente potrà avere il pieno controllo e la proprietà dei dati da lui o lei creati. Il modello aperto rischia però di essere difficilmente realizzabile, non solo per l’oggettiva difficoltà tecnica, ma anche perché appare arduo immaginare come le grandi aziende del digitale possano rimanere fuori dai giochi.

A questo punto prova a rispondere l’ultima strada, il modello a controllo o gestione pubblica. Negli ultimi anni i policymaker di tutto il mondo hanno cercato di regolamentare il settore del digitale. In Europa, un esempio paradigmatico (oltre al GDPR) è il pacchetto di misure recentemente approvato dal Parlamento Europeo, con il Digital Markets Act e il Digital Services Act. Anche negli Stati Uniti, patria del libero mercato e sede delle principali aziende del digitale, esiste un dibattito acceso su questi temi, che però attualmente non si è tradotto in azioni legali o politiche significative. È però la Cina il Paese che, prima di tutti, si è mosso verso una regolamentazione del metaverso. Mentre i campioni nazionali Tencent, Baidu e Huawei cominciano a sviluppare i loro progetti, l’azienda nazionale China Telecom ha inaugurato il Metaverse Industry Committee, una collaborazione tra le principali aziende impegnate nel settore per centralizzare e coordinare gli sforzi ed arrivare “primi” nella corsa al metaverso, che si prospetta essere l’ennesimo terreno di scontro nella sfida tecnologica tra Stati Uniti e Cina. La partecipazione pubblica al metaverso potrà quindi variare significativamente: dalla vera e propria simbiosi che sembra configurarsi in Cina fino al ruolo di regolatore che potrebbe assumere l’Unione Europea, le vie di mezzo in termini di poteri del decisore pubblico sono molteplici.

Naturalmente, l’oligopolio, il modello aperto e il modello pubblico sono tre tipi che molto probabilmente si mescoleranno tra loro, presentandosi in varianti che oggi difficilmente si possono immaginare. Quel che è certo è che la questione del rapporto tra politica e metaverso non potrà che porsi con particolare forza nel prossimo futuro. Se si riflette sulle problematiche relative ai social network che sono emerse negli ultimi anni (fake news, polarizzazione dell’opinione pubblica, enorme potere comunicativo concentrato in poche mani, discorsi d’odio, ripercussioni negative sulla salute mentale dei giovani, ecc.) è facile immaginare come il metaverso potrebbe rischiare di esacerbare ognuna di tali questioni. Se già oggi, per esempio, un feed di Instagram o Facebook rischia di limitare l’utente nella propria bolla, quanto l’effetto echo-chamber potrebbe essere amplificato nel momento in cui la realtà stessa (aumentata nel metaverso, in questo caso) potrà essere personalizzata sulla base di un tipo di profilazione? Senza considerare la moderazione dei contenuti, questione sulla quale soprattutto negli Stati Uniti si è acceso il dibattito politico, con l’accusa rivolta verso le principali piattaforme di silenziare gli esponenti repubblicani dopo la sospensione da Twitter di Donald Trump. Dove e come porre un limite alla libertà d’espressione nel metaverso sarà una sfida ardua da risolvere, con il rischio di arrivare a chiedere l’aiuto di un sistema di sorveglianza ancora più pervasivo per controllare che ogni azione rispetti le linee guida stabilite dalle varie piattaforme.

Vi è poi una questione di natura più psicologica e sociale, con conseguenze non indifferenti anche sulla sfera politica. L’espansione del metaverso potrebbe limitare ulteriormente le relazioni personali, permettendo a un numero crescente di persone di vivere la propria vita dai confini apparentemente sicuri della propria stanza. Il metaverso tenderebbe così a disaggregare ulteriormente il tessuto sociale, isolando sempre di più gli individui e facendone monadi che vivono sostanzialmente distaccate da qualsiasi dimensione di aggregazione sociale, esperendo tutta la propria vita attraverso gli occhi della propria bolla digitale ed esacerbando ulteriormente la tendenza verso la costruzione di una bubble society[14]. Oppure, al contrario, il metaverso potrebbe configurarsi come un Internet maggiormente partecipato, come sperano i promotori del “modello aperto”, dove all’isolamento dietro gli schermi che ha contraddistinto l’Internet dei social media potrebbe sostituirsi una relazione digitale e significativa con altri utenti/soggetti, capace di costruire comunità e rapporti sociali. La questione, di nuovo, dipenderà in larga da parte da quale configurazione assumerà il metaverso, ovvero quale dei tre scenari di governance precedentemente citati riuscirà ad avere la meglio.

 

Possibili limiti del metaverso

Il metaverso viene spesso raccontato come un futuro inevitabile, che anzi è già in larga parte presente nella vita quotidiana di molti cittadini, lavoratori e utenti[15]. Ma ad ostacolare questa visione intrisa di determinismo tecnologico ci sono innanzitutto problemi squisitamente tecnici. Due dei principali sono senza dubbio la modalità di accesso e l’infrastruttura Internet. Ad oggi, l’utilizzo di visori per la realtà virtuale rimane imprescindibile per un’immersione nel metaverso, ma questi sono lungi da essere una tecnologia diffusa o mainstream. I motivi sono molti: dal senso di estraneità che comporta ancora (e comporterà forse anche domani) l’idea di indossare un visore di quel tipo al fatto di essere sostanzialmente vulnerabili al mondo esterno, con il limite di dover utilizzare i visori esclusivamente in ambienti protetti, come la propria abitazione, e non come accade oggi con lo smartphone, in qualsiasi contesto, dall’ufficio alla metropolitana fino alla strada. Senza considerarne la scarsa comodità, dovuta per esempio al peso di questi dispositivi, che li rende scomodi da portare per un lungo periodo di tempo. Su questo tema sta lavorando proprio Meta con il nuovo headset Project Cambria, di cui per ora si sa molto poco, ma che dovrebbe essere caratterizzato da un maggior livello di comfort e da una tecnologia più avanzata che potrebbe essere in grado di tracciare il volto e gli occhi, per riportare la mimica del volto e l’espressività facciale nella realtà virtuale.

I potenziali problemi non riguardano però soltanto gli headset. La diffusione del metaverso passa necessariamente anche dalla questione infrastrutturale, a cominciare dalla velocità di Internet. Per raggiungere una reale commistione interattiva tra digitale e analogico, l’attuale infrastruttura di Internet non è infatti sufficiente. Basti pensare che una normale videochiamata (che già oggi è considerata comunque un’attività richiedente una grande quantità di dati) può avere una latenza di 75-150 millisecondi (ovvero il tempo richiesto a un dato per viaggiare da un punto all’altro di Internet e tornare indietro) mentre un’esperienza veramente immersiva nel metaverso dovrebbe stare sotto i 12 millisecondi. Le attuali infrastrutture non riescono essere all’altezza della sfida, soprattutto nelle zone più svantaggiate del pianeta. Ad andare al 2025, per esempio, è previsto che solo il 25% della popolazione potrà godere di una connessione 5G. C’è quindi un grande salto tecnologico da fare ancora. Un salto tecnologico che potrebbe però avere ricadute non indifferenti sulla questione ambientale, sia per quanto riguarda le sempre maggiori emissioni di CO2 causate dal settore digitale, sia, soprattutto, per quanto riguarda l’estrazione di materie prime e metalli rari, indispensabili per la produzione di nuove tecnologie[16].

Oltre a tutta la parte tecnica che necessita ancora di essere sviluppata, vi è una seconda questione che potrebbe fermare l’avanzata del metaverso e che viene spesso trascurata nel dibattito sul tema. Ovvero quanto, semplicemente, gli utenti abbiano veramente interesse a entrare nel metaverso stesso. Come più volte affermato in precedenza, una delle parole chiave per capire il metaverso è “interattività”. È legittimo però chiedersi se sia davvero questo l’obiettivo perseguito dalla maggior parte degli utenti su Internet o se, piuttosto, si ricerchi la più semplice e passiva comodità. Davvero un lavoratore preferirebbe indossare un visore per la realtà virtuale o aumentata rispetto a premere un link e connettersi semplicemente dal proprio desktop? Discorsi analoghi si possono fare per la messaggistica (perché incontrare l’avatar del mio amico se posso mandargli un messaggio su WhatsApp che mi permette di rimanere distaccato da lui?), le riunioni o la partecipazione a qualsiasi altro evento (come dimostra l’utilità della telecamera spenta, che permette di seguire “passivamente” qualcosa impegnandosi nel frattempo in altre attività). Il successo dei social media dipende dalla possibilità data a miliardi di persone di condividere attivamente le proprie esperienze o, piuttosto, di vedere passivamente le esperienze condivise dagli altri? In questo caso, una maggiore interattività e un più alto livello di engagement rischierebbero di allontanare la maggior parte degli utenti piuttosto che avvicinarli. Comodità e interattività, in sostanza, non sempre vanno a braccetto. Quale delle due trionferà sarà forse la variabile più decisiva nella corsa per costruire il metaverso.


[1] Cristiano Lima,  A whistleblower’s power: Key takeaways from the Facebook Papers, «The Washington Post», 26 ottobre 2021.

[2] https://trends.google.it/trends/explore?q=metaverse

[3] Citi GPS: Global Perspectives & Solutions – Citigroup,  Metaverse and money. Decrypting the future, marzo 2022.

[4] Mauro Lombardi, Dal metaverso al metacapitalismo: un nuovo stadio del capitalism della sorveglianza?, «Agenda Digitale», 11 gennaio 2022.

[5] Luciano Floridi, The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, Cham Springer Open, 2015.

[6] GVR, Video Game Market Size, Share & Trends Analysis Report By Device (Console, Mobile, Computer), By Type (Online, Offline), By Region (North America, Europe, Asia Pacific, Latin America, MEA), And Segment Forecasts, 2022 – 2030.

[7] Epic Games, The LEGO Group and Epic Games Team Up to Build a Place for Kids to Play in the Metaverse, 7 aprile 2022.

[8] Meta, The Metaverse and How We’ll Build It Together — Connect 2021, YouTube, 28 ottobre 2021.

[9] Julie Gaubert, Seoul to become the firsty city to enter the metaverse. What will it look like?, «Euronews», 11 novembre 2021.

[10] PRNewswire, EdTech Market Will Reach USD 230 Billion By 2028 Growing At A GAGR of 15% – Valutates Reports, 31 marzo 2022.

[11] Jose van Dijck, Datafication, dataism and dataveillance: Big Data between scientific paradigm and ideology, «Surveillance & Society», 12(2): 197-208, 2014, ISSN: 1477-7487.

[12] Shoshana Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power, Public Affairs, New York 2019.

[13] Alexander Mühle, Andreas Grüner, Tatiana Gayvoronskaya, Christoph Meinel – Hasso Plattner Institute,  A Survey on Essential Components of a Self-Sovereign Identity, «Computer Science Review», Volume 30, pp. 80-86.

[14] Il riferimento è al concetto di bubble democracy introdotto da Damiano Palano in: Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione, Editrice Morcelliana Scholè, Brescia 2020.

[15] Su questi temi, si veda il recente lavoro di Gabriele Balbi: L’ultima ideologia. Breve storia della rivoluzione digitale, Laterza, Bari 2022.

[16] Sul tema si veda: Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale, Luiss University Press, Roma 2019.

Scritto da
Francesco Nasi

Dottorando in Sociologia della cultura e dei processi comunicativi all’Università di Bologna. Ha lavorato presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il Centro Studi di Politica Internazionale (CESPI). I suoi interessi di ricerca si concentrano sull’impatto politico e sociale delle nuove tecnologie, in particolare per quanto riguarda l’IA e l’innovazione democratica.

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