“Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo?” di Erle C. Ellis
- 07 Febbraio 2021

“Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo?” di Erle C. Ellis

Erle C. Ellis, Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? Giunti, Milano 2020, pp. 224, 18 euro (scheda libro)

Scritto da Giulio Pennacchioni

12 minuti di lettura

Reading Time: 12 minutes

Erle C. Ellis è uno scienziato ambientale americano. Dal 2016 è professore di Geografia e Sistemi ambientali presso l’Università del Maryland, nella contea di Baltimora, dove dirige anche il laboratorio per l’ecologia del paesaggio antropogenico. Nel suo lavoro indaga le cause e le conseguenze dei cambiamenti ambientali causati dall’uomo a livello locale e globale. Fa parte dell’Anthropocene Working Group (AWG)[1], è fellow del Global Land Programme[2], senior fellow del Breakthrough Institute[3] e consulente del movimento Nature Needs Half[4]. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e ha scritto per riviste come «Nature» o «Science», o per giornali come il «New York Times». Il suo primo libro, Anthropocene, a very short Introduction[5]è stato pubblicato ad Oxford nel 2018, quindi tradotto nella sua edizione italiana nel 2020 con il titolo: Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo?[6].

L’obiettivo di Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? è duplice. Da una parte, Erle C. Ellis vuole «riscrivere la storia» (per usare le sue stesse parole), ma a patto che non si tenga conto soltanto della storia dell’uomo, ma anche di quella della «Terra» (da intendere qui nel suo senso più ampio), con cui da sempre “conviviamo”, ma che non sempre è stata presente nelle nostre narrazioni. Secondo Erle C. Ellis, ad oggi, non si può più “fare storia” senza considerare la Terra, infatti questa è stata così alterata dagli uomini nel suo funzionamento, che sarebbe sbagliato continuare a escluderla.

Dall’altra, come già espresso dal titolo di quest’opera, Erle C. Ellis vuole parlare di questa nuova era geologica, che sempre più spesso è al centro di molti dibattiti e che sconta come presupposto proprio la considerazione dell’interazione fra l’elemento umano e quello naturale: l’Antropocene[7]. Dunque, partendo dall’analisi di questo nuovo concetto, il proposito di Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? è nuovamente doppio. Da un lato, vuole fornire le basi necessarie a comprendere l’Antropocene come proposta scientifica e spiegare perché tale concetto sia diventato così influente; dall’altro, Erle C. Ellis cerca anche di parlare di futuro, con la premessa però che ciò venga fatto mantenendo sempre il riferimento alla Terra.

A partire dalla Preistoria fino ai giorni nostri, il ruolo svolto dall’uomo nella natura è stato definito e ridefinito dai miti che accompagnavano la sua comparsa sulla Terra. Per un verso, come per esempio nelle religioni abramitiche, i racconti sulle origini dell’umanità offrivano all’uomo un posto privilegiato al centro della creazione divina. Per l’altro, gli studi di Copernico e Darwin, basati su prove scientifiche, hanno costruito una narrativa in cui l’uomo era diventato un animale tra gli altri, su un pianeta come tanti, in orbita attorno ad una stella qualsiasi. «Noi siamo entrati nell’Antropocene!» ha esclamato frustrato Paul Crutzen, vincitore del Nobel per i suoi studi sulla chimica atmosferica. Ma qual è il significato di questo nuovo concetto in merito al ruolo svolto dall’uomo nella natura?

Come mostrato da Erle C. Ellis nel primo capitolo (Origini), il concetto di Antropocene rappresenta una novità senza precedenti nella storia dell’uomo. Per la prima volta, l’uomo potrebbe essere considerato la principale causa di un nuovo capitolo della storia della Terra.

Ma che cos’è la Terra? A partire da questa domanda, nel secondo capitolo (Sistema Terra) Erle C. Ellis ripercorre tutte le tappe che hanno permesso all’uomo di arrivare allo stadio attuale delle ricerche in materia, consentendogli quindi di teorizzare il concetto stesso di Antropocene.

A porre le basi per una scienza del sistema Terra è stato il geologo austriaco Eduard Suess, il quale per primo ha introdotto i termini litosfera, idrosfera e biosfera nel suo popolare libro L’aspetto della Terra del 1875. Partendo da questi studi, nel 1926, il mineralogista e geochimico russo Vladimir Vernadskij ha scritto La biosfera, in cui ha proposto un modello scientifico della Terra, per la prima volta intesa come un sistema complesso basato su interazioni dinamiche tra sfere. Il funzionamento della Terra descritto da Vernadskij si basava su scambi di energia e materia tra le varie sfere e al centro di questi aveva posto la biosfera, responsabile della regolazione e del bilanciamento delle interazioni.

Sulla scia di questa ricerca, nei primi anni Settanta, James Lovelock e Lynn Margulis hanno scoperto che gli organismi viventi, che agiscono collettivamente come biosfera, erano i responsabili della regolazione del clima terrestre e del mantenimento delle condizioni necessarie alla vita. Questa scoperta è culminata poi nella meglio nota «Ipotesi Gaia», nella quale si sosteneva che è la biosfera a regolare il clima, agendo come un sistema di continuo bilanciamento (se, per esempio, la Terra si scalda eccessivamente, la biosfera risponde producendo un effetto di raffreddamento). Insomma, dall’«Ipotesi Gaia» in poi la Terra viene pensata come un sistema complesso e dinamico, continuamente stabilizzato dalle interazioni dei feedback, positivi e negativi, delle varie sfere.

Nel 1958, Charles David Keeling faceva installare un analizzatore a gas infrarossi in cima al vulcano Mauna Loa, nelle Hawaii, al fine di misurare le oscillazioni stagionali di anidride carbonica e scoprendo la «respirazione della biosfera». Tuttavia, quella che oggi è conosciuta come «curva di Keeling» ha rilevato una tendenza all’aumento di CO₂, che andava ben oltre i cicli stagionali della biosfera. Nel 1985, in Antartide, gli accumuli stagionali di CFC[8] avevano catalizzato una completa perdita localizzata di O3 , poi denominata «buco dell’ozono».

Insomma: da queste prime ricerche sul sistema Terra stava emergendo che l’essere umano era in grado di alterare drasticamente il funzionamento dello stesso. Il ciclo globale degli elementi, cioè l’insieme dei cicli bio-geochimici, si stava modificando e le osservazioni documentavano chiaramente che le attività umane erano legate a doppio filo con le alterazioni del sistema Terra. Nonostante tutto (come sottolineato da Erle C. Ellis alla fine di questo secondo capitolo[9]), per quanto evidenti i risultati delle sempre più numerose ricerche sul sistema Terra, questi dati non erano sufficienti a giustificare una modifica nella scala dei tempi geologici. Per poter annunciare una nuova era, i geologi (“detentori” della suddivisione ufficiale del tempo) dovevano compiere delle verifiche. Bisognava dimostrare che l’uomo aveva lasciato un “segno chiaro e indelebile”.

Nel terzo capitolo di Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo?, Erle C. Ellis indica quelli che sono i metodi scientifici di cui si servono i geologi per classificare cronologicamente la storia della Terra. In particolare, in questo capitolo vengono poste le basi della stratigrafia. Gli stratigrafi possono essere considerati i «custodi del tempo geologico» (per usare le parole di Erle C. Ellis), quindi saranno loro ad avere l’ultima parola sul destino dell’Antropocene.

La stratigrafia è nata verso la fine del XVIII secolo grazie alle ricerche di Nicolaus Steno. Il concetto chiave di tale scienza è la «legge della sovrapposizione», secondo cui gli strati più recenti di rocce sedimentarie si depositano sopra quelli già esistenti, a cui va aggiunta l’idea che le proprietà fisiche (dei vari strati) possono essere considerate come degli “strati” del tempo. La scala dei tempi geologici (Geologic Time Scale, GTS) raccoglie il lavoro di generazioni di stratigrafi in un’unica geocronologia standardizzata della storia della Terra[10].

La scala dei tempi geologici è stata suddivisa in intervalli attraverso l’identificazione dei limiti stratigrafici. A partire dal 1977, questi limiti sono stati individuati utilizzando dei marcatori ben definiti, ufficiosamente noti come «chiodi d’oro» e formalmente chiamati GSSP (Global Boundary Stratotype Section and Point). Dunque, dalla domanda del geologo Zalasiewicz, pubblicata sul mensile «GSA Today» dal titolo Are we now living in the Anthropocene? non restava da far altro che identificare tale epoca mediante il metodo sopra descritto dei marcatori. Tuttavia, nonostante le numerose proposte[11], solo una possedeva una base degna di un marcatore globale (in grado di rispettare tutti i requisiti finora seguiti per le altre epoche): la diffusione del fallout radioattivo in seguito ai test sulle armi nucleari, iniziato nel 1945.

Nel quarto capitolo, Erle C. Ellis prosegue quel tentativo di individuazione del punto di origine dell’Antropocene, già iniziato nel precedente (Tempo geologico), ma da un altro punto di vista. In effetti, se nel terzo capitolo aveva mostrato la declinazione dell’Antropocene attraverso i segni (da non intendere, questi, in senso diacronico, ma come testimoni del passaggio da una fase a un’altra), ora il fine è quello di far luce su tale concetto, ma mediante una teoria che intrecci i cambiamenti sociali, politici ed economici. Da questa prospettiva, l’Antropocene non avrebbe avuto inizio con l’avvento dell’agricoltura e nemmeno con la Rivoluzione Industriale, bensì dopo il 1945, con l’ascesa su larga scala delle società industriali e con le loro inaudite capacità di alterare gli ambienti terrestri a un ritmo accelerato[12]. In un articolo apparso nel 2016 sulla rivista «Science», l’Anthropocene Working Group ha riconosciuto la «grande accelerazione» come la principale causa del passaggio della Terra all’Antropocene. Questa prospettiva circa l’origine dell’Antropocene era già stata sostenuta dal chimico Will Steffen e dalla comunità dell’IGBP[13] (con A Planet Under Pressure) e, ancora prima, dallo storico ambientale John Mcneill in Qualcosa di nuovo sotto il sole.

Il quinto capitolo di Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? mostra un ulteriore punto di vista sull’origine del concetto di Antropocene. «Quando esattamente l’uomo ha ottenuto il controllo degli ambienti terrestri?» si sono chiesti nel 2013 gli archeologi Bruce Smith e Melinda Zender nella rivista «Anthropocene». Gli archeologi per decenni hanno accumulato un numero impressionante di prove che dimostrano come l’uomo abbia modificato drasticamente gli ambienti terrestri; eppure, secondo il punto di vista di Smith e Zender, l’inizio dell’Antropocene non dovrebbe essere definito esclusivamente dalle conseguenze ambientali delle attività umane, ma piuttosto dalla capacità senza precedenti sviluppata dall’uomo di alterare gli habitat della Terra. Tuttavia, se da una parte gli antropologi Smith e Zender pongono la necessità dell’elemento “controllo della natura” per poter parlare di Antropocene, secondo altri basterebbe riconoscere l’“influenza” dell’uomo sulla Terra per far iniziare questa nuova era geologica. Attraverso la prospettiva di questi ultimi, l’Antropocene la si potrebbe far cominciare molto prima della metà del XX secolo e non sarebbe poi così sbagliato pensare che questa “nuova” epoca abbia in realtà ben poco di nuovo, ma che, al contrario, sia in grado di includere molti più eventi di quelli che normalmente le vengono attribuiti; come, per esempio, l’estinzione della megafauna verificatosi nel Tardo Pleistocene o la stessa nascita e diffusione dell’agricoltura. All’interno di tale disputa, nonostante un numero sempre maggiore di archeologi si stia convincendo della proposta di Smith e Zeder, ad oggi il dibattito è tutt’altro che concluso, come ben segnalato da Erle C. Ellis.

Un’ulteriore posizione riferita è quella del paleo-climatologo William Ruddiman, secondo cui non bisognerebbe neppure ufficializzare il concetto di Antropocene[14]. Secondo Ruddiman, la Rivoluzione Industriale e la Grande Accelerazione costituiscono solo i capitoli più recenti e incisivi di una storia dell’influenza umana sulla Terra molto più lunga. A differenza di Smith e Zeder, secondo Ruddiman non è necessario che l’uomo abbia il “controllo” dell’elemento naturale per poter parlare di Antropocene: il mondo umano è sempre stato antropogenico.

Nel sesto capitolo Erle C. Ellis si pone un obiettivo differente rispetto alla linea seguita nei capitoli precedenti, in cui presenta i differenti punti di vista sull’origine di tale concetto. Nel sesto capitolo (Oikos) l’obiettivo non è più quello di fornire un’ulteriore teoria sul punto di inizio dell’Antropocene, ma vuole mostrare i nuovi e differenti approcci adottati dall’ecologia per studiare le caratteristiche di una Terra sempre più antropogenica. Alla fine del XVIII secolo, a partire dalla distinzione posta dal conte di Buffon (George-Louis Leclerc) tra la «natura originaria» e la «natura civilizzata», si è sviluppata l’ecologia[15].Questa operazione di separazione ha portato a dividere la natura in due parti (una “umana” e una “naturale”). Tuttavia, come riferito da Erle C. Ellis, questo atto di separazione potrebbe anche aver favorito il lavoro degli ecologi nello studio delle capacità trasformative delle società umane. Nel 1778, il conte di Buffon era già pronto ad affermare che «l’intera faccia della Terra porta il segno del potere umano». Nel 1997, l’ecologo Peter Vitousek e i suoi colleghi pubblicavano sulla rivista “Science” un articolo estremamente influente, nel quale si affermava che il nostro pianeta è, appunto, dominato dall’attività umana. La prima persona a nominare l’Antropocene, in effetti, non è stato Paul Crutzen, ma l’ecologo delle acque dolci Eugene Stoermer.

Nel settimo capitolo viene spostata completamente l’attenzione verso un altro piano del discorso sull’Antropocene. Attraverso il riferimento all’articolo The Climate of History. Four Theses dello storico Dipesh Chakrabarty, Erle C. Ellis ci informa della possibilità di legare il concetto di Antropocene a un discorso politico. Infatti, mentre gli stratigrafi hanno continuato a cercare di definire il «chiodo d’oro» dell’Antropocene, altri hanno messo in discussione il significato e le implicazioni di questa nuova era di dominio dell’uomo sulla natura, inserendola nel discorso sull’etica ambientale o mostrando le difficoltà nel pensare una possibile convivenza fra le nostre democrazie liberali (nelle forme in cui le conosciamo oggi, soprattutto in Occidente) e un cambiamento globale potenzialmente catastrofico[16]. Persino Stan Finney, ex presidente della Commissione internazionale di stratigrafia, ha domandato se l’Antropocene non fosse più una dichiarazione politica che un imperativo scientifico.

In questo capitolo (Politikos), Erle C. Ellis passa in rassegna alcune delle principali interpretazioni politiche del concetto di Antropocene. In particolare, viene presentata la teoria che vede nell’Antropocene l’era geologica della catastrofe per il sistema Terra, sostenuta (tra i più autorevoli) dal filosofo Clive Hamilton, dal geografo Eirk Swyngedouw e dal geologo James Scourse.

Il «Capitalocene» è la teoria che lega il concetto di Antropocene al capitalismo, secondo cui gli uomini non hanno mai modificato la Terra equamente. Il capitalismo ha causato la trasformazione della Terra e lo ha fatto creando insieme enormi disuguaglianze sociali. Alcuni tra i protagonisti di questa interpretazione sono l’ecologo umano Andreas Malm, il geografo Jason Moore[17], l’antropologo Alf Hornborg, l’attivista Naomi Klein. I sostenitori del Capitalocene hanno criticato le teorie che descrivono il cambiamento ambientale globale come il prodotto di un’umanità indifferenziata. A questo proposito, in L’evento Antropocene. La terra, la storia e noi[18] Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz si sono spinti anche oltre e hanno denunciato l’indifferenza da parte della classe politica intorno al tema dell’Antropocene. A loro avviso, le classi elitarie responsabili di danneggiare gli ambienti sono sempre state consapevoli delle conseguenze negative delle loro azioni e hanno lavorato costantemente per tenere l’opinione pubblica all’oscuro[19].

In ultimo, Erle C. Ellis riferisce della posizione della teorica femminista e filosofa Donna Haraway[20]. Secondo la filosofa, molto brevemente, limitarsi ad immaginare un mondo controllato dall’uomo significa abbracciare il modello «estinzionista», che è stato in primo luogo la causa della trasformazione iniqua del pianeta. In questo senso, si pone invece la necessità di “reinventare” l’uomo, proprio cominciandolo a pensare come un essere ingarbugliato e inserito in un mondo più ampio, composto da «raggruppamenti multi-specie co-dipendenti». Secondo Donna Haraway, la soluzione potrà venire solo ponendosi tutti in antitesi a quel modo di pensare distruttivo, che ha giustificato e guidato la trasformazione antropogenica della Terra.

L’ultimo capitolo (Prometeo) è la conclusione di quest’opera, scritta allo scopo di far luce su tutti i possibili significati derivati (o fondanti) il concetto di Antropocene.

Ripartendo dal duplice obiettivo posto all’inizio (quello di «riscrivere la storia» e di indagare il concetto di Antropocene), questo capitolo si pone come la sintesi finale di entrambi i punti.

Per quanto riguarda “il lato storico”, nell’ultimo capitolo Erle C. Ellis riferisce dei risultati del Congresso internazionale di geologia, in cui a seguito di una votazione, che ha visto coinvolti i trentacinque membri dell’AWG, un consenso quasi unanime ha votato a favore dell’ufficializzazione di questa nuova era geologica, fatta cominciare in via definitiva alla metà del XX secolo.

Per quanto concerne il secondo obiettivo, Erle C. Ellis in Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? ha voluto sottolineare come i problemi intorno ai discorsi sull’Antropocene non siano tutti ricompresi nel cambiamento climatico globale, che è soltanto uno dei problemi ambientali (forse il più noto). La prospettiva di un «cattivo Antropocene» (ambienti tossici, salute e benessere umano in declino, guerra, agricoltura infruttuosa, città sommerse, cambiamenti climatici catastrofici, estinzione di massa, collasso sociale) potrebbe essere inevitabile ed è per questo che bisogna sottolineare la portata politica di tale concetto. D’altra parte, forse è possibile un «buon Antropocene» (espressione coniata dal giornalista scientifico ed ambientale Andrew Revkin), ma a patto che sia «prometeico» (da cui il titolo di quest’ultimo capitolo). Erle C. Ellis, per quanto in Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? abbia voluto mostrare tutte le più differenti linee interpretative su questa nuova era geologica, nella parte finale non si riserva dal rivelarci anche la sua posizione:

«Le speranze per un Prometeo tecnocratico sono più di semplici chimere […]. Le prospettive per un Antropocene decisamente migliore rispetto a quello che stiamo plasmando ora si fanno via via sempre più reali»[21].

Dunque, come il titano Prometeo, che rubò il fuoco agli dei per darlo agli uomini, secondo Erle C. Ellis, l’umanità deve migliorare ulteriormente il proprio sapere tecnico per poter fronteggiare tutti i pericoli di questa era geologica e vivere un buon Antropocene.

Tuttavia, questa fiducia verso l’utilizzo della tecnica come soluzione a tutti i rischi che l’Antropocene si porta con sé non è altro “una” fra le posizioni (come ben mostrato dallo stesso Erle C. Ellis nel corso di tutta quest’opera); peraltro non scevra di punti deboli. A proposito di ciò, già i pensatori della Scuola di Francoforte Horkheimer e Adorno, in merito a quest’operazione di “dominio” dell’uomo sulla natura attraverso la tecnica, si esprimevano così:

«Oggi che l’utopia di Bacone –“comandare alla natura nella prassi”- si è realizzata su scala tellurica […] l’Illuminismo al servizio del presente si trasforma nell’inganno totale delle masse»[22].


[1] L’Antropocene Working Group (AWG) è un gruppo di ricerca interdisciplinare dedicato allo studio dell’Antropocene come unità di tempo geologico. È stato istituito nel 2009 come parte della Subcommission on Quaternary Stratigraphy (SQS), un organo costituente della International Commission on Stratigraphy (ICS). A partire dal 2019, il programma di ricerca dispone di 35 membri (compreso il premio Nobel Paul Crutzen, che ha reso popolare la parola “Antropocene” nel 2000), tra cui un convocatore gruppo di lavoro ed un Segretario, rispettivamente, il paleobiologo Jan Zalasiewicz e il geologo Colin Neil Waters. L’obiettivo principale del AWG sta fornendo prove scientifiche abbastanza robusto per l’Antropocene per essere formalmente ratificato dal Unione Internazionale delle Scienze Geologiche (IUGS) come Epoca all’interno della scala dei tempi geologici .

[2] Il Global Land Project è un’iniziativa di ricerca di Future Earth (originariamente International Geosphere-Biosphere Program e International Human Dimension Program). Mira a comprendere i cambiamenti dei sistemi terrestri date le prospettive di un cambiamento ambientale globale rapido e massiccio. L’obiettivo di GLP è «misurare, modellare e comprendere il sistema accoppiato uomo-ambiente».

[3] Il Brekthrough Institute è un centro di ricerca ambientale situato a Oakland, in California.

[4] Il Nature Needs Half è una coalizione internazionale di scienziati, ambientalisti, organizzazioni no-profit e funzionari pubblici che difendono la natura nella scala di cui ha bisogno per continuare a funzionare a beneficio di tutta la vita e sostenere il benessere umano.

[5] Erle C. Ellis, Anthropocene. A very short Introduction. Oxford University Press, 2018.

[6] Erle C. Ellis, Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? Giunti Editore, 2020.

[7] Termine entrato definitivamente nel 2014 nell’Oxford English Dictionary.

[8] A proposito di ciò, si vd. https://www.treccani.it/enciclopedia/clorofluorocarburi/

[9] Erle C. Ellis, Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? Milano. Giunti Editore. 2020. pp 41-45

[11] Tra le tante ricerche, mi permetto di segnalare alcune ipotesi. Paul Crutzen aveva ipotizzato che l’inizio dell’Antropocene fosse collegato alla Rivoluzione Industriale. Will Steffen sostenne che l’Antropocene fosse iniziata alla metà del XX secolo, periodo in cui si verificò la «grande accelerazione». William Ruddiman, invece, aveva suggerito che l’Antropocene potesse risalire a centinaia di anni prima della Rivoluzione industriale, in seguito all’esteso disboscamento dei terreni per l’agricoltura. Altri ancora ritengono che l’Antropocene sia nata con il neolitico.

[12] In merito, mi permetto di consigliare https://www.pandorarivista.it/articoli/grande-accelerazione-mcneill-engelke/

[13] L’International Geosphere-Biosphere Program è stato un programma di ricerca che si è svolto dal 1987 al 2015, dedicato allo studio del fenomeno del cambiamento globale

[14] Secondo William Ruddiman, infatti, è sufficiente utilizzarlo in via ufficiosa come «antropocene», con la «a» minuscola, proprio a sottolineare la natura continua (perenne, si potrebbe dire) del cambiamento ambientale causato dall’uomo

[15] La scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo, gli organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui vivono

[16] In merito a ciò, mi permetto di segnalare la teoria della «collassologia»; corrente di pensiero che studia i rischi di un possibile crollo della civiltà industriale e del suo impatto sulla società. In particolare, si veda. Pablo Servigne, Raphaël Stevens, Gauthier Chapelle Un’altra fine del mondo è possibile. Treccani 2020 o Pablo Servigne, Raphaël Stevens Comment tout peut s’effondrer. Éditions du Seuil, Parigi 2015.

[17] Jason W. Moore, Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria. Ombre Corte. Verona 2017.

[18] Christophe Bonneuil, Jean-Baptiste Fressoz, L’Evento Antropocene. La terra, la storia e noi. Treccani 2019

[19] Per esempio, Naomi Orkenses, storica della scienza e membro dell’AWG, ha dimostrato come le multinazionali impegnate nel settore dei combustibili fossili abbiano nascosto le informazioni sul cambiamento climatico antropogenico e abbiano finanziato campagne per seminare dubbi su basi scientifiche.

[20] Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Edizioni Nero, Roma 2019.

[21] Erle C. Ellis, Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? Milano. Giunti Editore. 2020. cit. it. p. 193

[22] Marx Horkheimer Theodor W. Adorno Dialettica dell’Illuminismo Torino. Einaudi Editore. 2010 cit. it. p. 50

Scritto da
Giulio Pennacchioni

Dottorando in Filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Si è laureato a Bologna in Scienze filosofiche e ha svolto un periodo di ricerca all’estero presso l’Université Paris-Nanterre. Si occupa di filosofia francese contemporanea, in special modo del lavoro di Merleau-Ponty, di teoria critica ed ecologia politica, quest’ultima trattata soprattutto dal punto di vista del pensiero morale.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici