Recensione a: Emanuele Felice, Ascesa e declino. Storia economica d’Italia, il Mulino, Bologna 2015 (nuova edizione 2018), pp. 392, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Raffaele Danna
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La storia economica è un campo di studi che sta attraversando un notevole fermento. Da un lato, in seguito alla volontà di ampliare l’evidenza economica a nostra disposizione, si sta verificando su scala internazionale un crescente sforzo di ricostruzione di serie storiche quantitative (indirizzo di studi che va sotto il nome di “cliometria”). Dall’altro, a partire dalla storia economica, si sono sviluppati interessanti concezioni alternative della politica economica e del suo ruolo nello sviluppo economico (approcci che possono essere raccolti nell’ambito della cosiddetta “New Institutional Economics”).
All’interno di queste ricerche diversi studiosi hanno iniziato a indagare approfonditamente anche la storia economica d’Italia, riuscendo a ricostruire un quadro, prima in larga parte ignoto, degli andamenti dei principali indicatori macroeconomici e sociali del nostro Paese (reddito, disuguaglianze, povertà, divari regionali, condizioni di vita, andamento dei principali settori). Sull’impulso della ricorrenza dei 150 anni dall’unificazione si è inoltre ultimato un lavoro collettivo che ha permesso di ricalcolare e ricostruire l’andamento del PIL italiano a partire dal 1860.
Ascesa e declino. Storia economica d’Italia di Emanuele Felice attinge a piene mani sia dall’ultima evidenza a disposizione, sia dai nuovi approcci alla politica economica. Si tratta di un testo di grande interesse, che sviluppa un’analisi della storia economica italiana fino ai giorni nostri offrendo uno sguardo critico di lungo periodo a partire dal quale si propone una lettura coerente e argomentata del nostro recente passato. Il testo ha anche il grande pregio di riuscire a coniugare il rigore scientifico alla facilità di lettura, risultando perciò godibile anche da un pubblico più vasto dei soli addetti ai lavori. È un libro che si può raccomandare a chiunque sia sinceramente interessato a comprendere alcune questioni cruciali sia per il nostro recente passato sia per il nostro futuro. Si segnala inoltre che il volume è accompagnato da un ricco database, gratuitamente disponibile online sul sito dell’editore[1].
Emanuele felice e la nuova storia economica d’Italia
Il libro si apre con un capitolo, breve ma argomentato con cura, in cui l’autore fa riferimento ai due grandi momenti di splendore dell’economia italiana pre-industriale: Roma e il Rinascimento. È interessante notare – come ci invita a fare Emanuele Felice – che la storia economica d’Italia rappresenta un caso unico all’interno della storia dell’Occidente. Non esistono molti altri territori che possano vantare di aver raggiunto più volte, e più volte abbandonato (le «ascese» e i «declini») un indiscusso primato nello sviluppo economico e civile del momento. Questa osservazione suona come un monito di fronte a ogni tipo di disfattismo da un lato, e di entusiasmo dall’altro. Sia il caso di Roma antica sia quello delle città rinascimentali vengono affrontati in modo problematico, discutendo le diverse tesi che si sono proposte in letteratura intorno alle cause del mancato sviluppo del sistema economico in senso industriale e del successivo declino del primato della penisola. In entrambi i casi la discussione viene affrontata facendo riferimento, da un lato, a una consolidata bibliografia, dall’altro ai recenti tentativi di ricostruzione delle serie storiche dei trend economici e demografici.
I rimanenti sei capitoli – vero fulcro del testo – sono interamente dedicati all’analisi della storia economica post-unitaria, ma mantengono l’impianto del primo: l’autore fa sempre riferimento a fonti quantitative e qualitative, e presenta lungo la trattazione una panoramica delle diverse posizioni presenti in letteratura, discutendone di volta in volta i punti di forza e quelli di debolezza. In questo modo il livello macroeconomico (quantitativo, “Economic history”) e quello microeconomico (qualitativo, “Business history”) si integrano e si illuminano a vicenda, caratteristica che costituisce il secondo punto di forza del volume.
Questo approccio integrato è caratteristico degli ultimi sviluppi della storia economica. Alla descrizione macro delle performance del sistema si affianca una trattazione micro del comportamento dei singoli agenti (imprese, classe politica). Il livello micro viene poi nuovamente integrato in quello macro osservando come il comportamento dei singoli agenti influenzi l’evolvere del sistema socio-economico. Il neoistituzionalismo sottolinea il ruolo centrale delle istituzioni – intese in senso lato come insieme di regole formali, comportamenti, sistemi di aspettative dei singoli agenti economici – nello svilupparsi di un’economia. L’intuizione economica è abbastanza semplice: se esiste un sistema istituzionale efficiente dal punto di vista giuridico, fiscale, burocratico-amministrativo, dello stato di diritto (l’intraducibile “rule of law”), dei mercati concorrenziali, gli agenti (economici, politici) sono nelle condizioni di poter “giocare” il proprio ruolo seguendo un insieme di regole date, uguali per tutti gli agenti. In questo modo si abbattono le inefficienze e i costi di transazione, e il sistema permette agli agenti di operare in modo equo e inclusivo.
La prospettiva cui fa esplicitamente riferimento Felice è quella di Daron Acemoğlu e James A. Robinson[2] che distinguono fra istituzioni «estrattive» e istituzioni «inclusive». Le prime sono istituzioni che pongono le condizioni perché la crescita economica sia incentrata sullo sfruttamento («estrazione») di una rendita, tipicamente appannaggio di una élite privilegiata. Le istituzioni «inclusive» sono invece caratterizzate dalla capacità di includere all’interno del processo di sviluppo economico fasce sempre più ampie della popolazione, favorendo dunque il loro contributo al sistema economico e, dunque, alla sua crescita. Ma, come riconosce lo stesso Felice, «l’Italia repubblicana costituisce […] un esempio assai carente di ordine ad accesso aperto, e tale ancora oggi rimane. […] Si può dire che istituzioni economiche e politiche di tipo inclusivo si sono affermate nel nostro Paese solo parzialmente, attraverso marcate disparità regionali e anche con gravi difficoltà a livello nazionale» (p. 99).
A partire da questo punto di vista, che cerca «di spiegare i risultati economici a partire dalle variabili politiche e socioistituzionali», deriva inevitabilmente «una grande attenzione per il ruolo delle classi dirigenti» (p. 346), sulle quali pesa la responsabilità di orientare l’evoluzione del sistema politico e socio-istituzionale stesso. Attraverso questo impianto teorico e concettuale Emanuele Felice ripercorre la storia economica post-unitaria, affrontandola in modo articolato e facendo riferimento all’ampia evidenza di cui si è detto. Lungo questo cammino l’autore presenta il mutare del «modello di sviluppo» italiano, sulla spinta del modificarsi della tecnologia disponibile, del contesto internazionale e del ruolo di orientamento della politica. Per necessità di brevità non è possibile in questa sede fare riferimento ai numerosi interessanti stimoli e insight che questo percorso storico-cronologico articolato offre su diversi snodi della storia post-unitaria, oggetto dei capitoli centrali del volume.
Capire le cause dell’ascesa e del declino
Si segnala invece che nell’ultimo capitolo Emanuele Felice offre un modello interpretativo attraverso il quale riconsiderare la storia presentata nei capitoli precedenti. Questo modello, basato sui principi teorici che sostengono l’impianto del testo, viene applicato alle diverse fasi dello sviluppo del nostro Paese e ne offre una lettura interessante e sotto diversi punti di vista condivisibile. Forte di questo punto di vista, Felice esprime un giudizio sulla capacità o meno della classe dirigente italiana di essere stata, nelle diverse fasi storiche, all’altezza del presente e delle sfide che tale presente poneva. Questo giudizio fa numerosi sommersi ma anche numerosi – e a volte inaspettati – salvati. La chiave di lettura fondamentale è che l’Italia è stata in grado di crescere nel momento in cui è stata in grado e nelle condizioni di aprirsi al contesto internazionale e di darsi istituzioni «inclusive». Un’analisi dettagliata che tiene conto delle specificità delle singole fasi e delle singole personalità che le hanno improntate.
Inoltre, in quello che forse è il capitolo più bello e più ricco del libro, Emanuele Felice sposta il suo sguardo al futuro della penisola e, sulla base dell’analisi e dell’evidenza raccolta lungo tutta la trattazione precedente, offre al lettore una prospettiva sui grandi nodi ancora insoluti del nostro Paese, sulla necessità di ripensare profondamente il «modello di sviluppo» su cui fondare la nostra economia, e sulle sfide che ancora si devono affrontare. Il volume si chiude con un appello alla classe politica, che riprende esplicitamente, si direbbe anche nel tono, l’appello finale del Principe di Machiavelli, «perché solo una politica lungimirante e un’intera classe dirigente adeguatamente attrezzata possono avere le competenze e la forza per riformare il sistema» (p. 364).
In definitiva, Ascesa e declino di Emanuele Felice risulta un testo interessante, articolato, ben documentato e ambizioso. L’autore non nasconde infatti il desiderio di contribuire non solo al dibattito accademico, ma anche, e soprattutto, a quello politico. È un testo che si rivolge sia all’opinione pubblica sia al politico deliberante, e che aspira a chiarire il passato per poter meglio operare per il futuro. L’unico suggerimento che si potrebbe dare all’autore è di anteporre al testo, in una eventuale seconda edizione, una prefazione che espliciti fin dalle prime pagine l’impostazione del libro. In questo modo si lascerebbe al lettore la libertà di scegliere se seguire prima la vicenda storico-cronologica dei fatti per poi inquadrarla nello schema offerto in coda (come al momento è obbligato a fare), oppure se utilizzare lo schema esplicativo già alla prima lettura (forse con minore effetto sorpresa e piacere intellettuale, ma risparmiando quella risorsa scarsa che è sempre il tempo).
[1] Il link all’appendice statistica è reperibile a questo indirizzo.
[2] Daron Acemoğlu e James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono. Alle origini di prosperità, potenza e povertà, il Saggiatore, Milano 2013.