“Crisi, disuguaglianze, diversità”. Saraceno e Luongo alla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna
- 02 Dicembre 2020

“Crisi, disuguaglianze, diversità”. Saraceno e Luongo alla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna

Scritto da Davide Regazzoni

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Il primo incontro del ciclo di seminari organizzati dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna “Rischio globale: emergenza, globalizzazione, disuguaglianze” ha avuto luogo il 24 novembre con la presenza dell’economista e professore presso l’Università di Bologna Gustavo Gozzi, della sociologa e honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino Cristina Saraceno e dell’economista e ricercatrice del Forum Disuguaglianze e Diversità, Patrizia Luongo. Questo primo incontro dal titolo “Crisi, disuguaglianze, diversità” ha l’obiettivo di analizzare e comprendere come queste tematiche stiano impattando sull’economia e sulla società italiana, dando impulso ad una discussione che deve essere uno spunto di riflessione per la ripartenza dell’Italia in un futuro scenario post-Covid.

Apre l’incontro il discorso introduttivo tenuto da Gustavo Gozzi che, riportando il resoconto della Federal Reserve Bank of St. Louis “Scarring Body and Mind: The Long-Term Belief-Scarring Effects of COVID-19” [1], descrive uno scenario poco rassicurante mostrando come gli effetti disastrosi della pandemia sull’economia mondiale potranno durare fino a dieci anni. Una condizione che in Italia è aggravata dall’assommarsi di criticità e problematiche già presenti ben prima dell’avvento della pandemia. Il rapporto ISTAT del gennaio 2020 restituisce infatti anch’esso un’immagine poco rasserenante: 9 milioni di italiani in condizioni di povertà relativa e 5 milioni in povertà assoluta. Il rapporto CENSIS, presentato in senato il 23 novembre 2020, mostra come gli effetti della pandemia hanno peggiorato una situazione già molto critica: 600 mila individui si sono aggiunti alle persone che già vivevano in povertà; 7,6 milioni di famiglie hanno registrato negli ultimi mesi un severo peggioramento del tenore di vita; 4,4 milioni di lavoratori sono non regolari e 3 milioni di lavoratori sono occupati in imprese a rischio. La crisi si è però manifestata più acutamente nelle fasce sociali notoriamente più deboli: le donne, gli anziani e i minorenni. La DAD, ad esempio, non solo ha drasticamente peggiorato la condizione del lavoro femminile, facendo aumentare il divario tra le lavoratrici madri (54%), che hanno dovuto in molti casi rimanere a casa per accudire i figli, a fronte del lavoro dei padri (83%), ma ha colpito anche le fasce degli anziani e dei bambini, che hanno dovuto rinunciare alla reciproca socialità per tutelare la salute anziani. Gustavo Gozzi sottolinea anche come le disuguaglianze hanno enfatizzato tre aspetti principali:

  • Aspetto istituzionale. Le disuguaglianze hanno ripercussioni a livello istituzionale, occorre cioè analizzare non soltanto gli aspetti economici e sociali, ma anche quelli istituzionali, perché la crescita delle disuguaglianze sociali è una causa d’instabilità delle democrazie.
  • Aspetto culturale. Si è evidenziata la differenza nella gestione della pandemia tra i Paesi occidentali e i Paesi orientali: il sistema liberale occidentale, infatti, privilegia l’individualismo e non favorisce l’altruismo sociale. La centralità del soggetto individualistico dipende in Occidente dall’attenuarsi del senso di appartenenza ad una comunità, un fattore che rafforza le disuguaglianze.
  • Aspetto ideologico e politico. L’economista Thomas Piketty osserva che il problema delle disuguaglianze, più che economico, è un problema ideologico e politico. In questi tempi manca un pensiero critico che sappia costruire un nuovo paradigma che diventi fondamento di una ricostruzione.

A fronte di questa grave situazione, Gustavo Gozzi coglie però una irripetibile opportunità poiché ogni crisi è fonte di cambiamenti radicali e pone la società di fronte alla necessità di un ripensamento che può creare degli effetti positivi. Secondo Gozzi, occorre quindi capire come questa crisi stia incidendo sull’economia e sulla società e come si possa partire da questi dati per proporre una visione del “dopo” che possa generare un cambiamento positivo.

A conclusione del suo intervento introduttivo, Gozzi afferma che, a fronte delle misure prese, ciò che manca non è l’assenza di una visione, ma l’assenza di finalità, ovvero: l’obiettivo deve essere quello di una crescita economica cui possa seguire un eventuale riduzione delle disuguaglianze oppure si deve lavorare ad un progetto che, come hanno scritto Fabrizio Barca e Patrizia Luongo[2], metta al centro la giustizia sociale e ambientale e possa quindi modificare le strutture che producono le disuguaglianze contribuendo a creare spazi di confronto dove lavoro e società civile possano pesare sulle scelte strategiche, cioè un progetto che anteponga lo sviluppo umano come condizione di sviluppo economico?

 

L’intervento di Patrizia Luongo

Per rispondere al quesito, Patrizia Luongo riporta l’attenzione al cuore della questione: le disuguaglianze. Negli ultimi quarant’anni si è verificata, a livello mondiale, una diminuzione generale delle disuguaglianze tra Paesi, ma contemporaneamente si è riscontrato un aumento delle stesse all’interno degli Stati. Infatti, secondo l’indice di Gini in Italia le disuguaglianze economico-sociali sono riiniziate a crescere a partire dagli anni Ottanta. Patrizia Luongo identifica le cause di questo aumento in tre fattori principali:

  • Cambiamento del potere negoziale del mercato del lavoro a svantaggio dei lavoratori, che hanno visto indebolita la propria capacità contrattuale;
  • Cambiamento del senso comune, cioè il radicarsi della convinzione che la ricchezza coincide sempre con il merito, e al tempo stesso il considerare la povertà come una colpa (causa principale dell’avversione da parte della popolazione verso gli interventi redistribuitivi della ricchezza);
  • Cambiamento delle politiche pubbliche, a partire dagli anni Ottanta si è radicata l’idea che l’intervento dello Stato fosse sempre negativo e che invece, attraverso la crescita, il mercato avrebbe avvantaggiato tutti, arricchendo gli appartenenti agli strati sociali più bassi, riducendo così le disuguaglianze.

Dati questi fattori, Luongo afferma che in Italia, e più in generale in Occidente, la riduzione delle disuguaglianze è sempre stata vista come sottoposta alla crescita. Approfondendo la questione e osservando in che modo le disuguaglianze tra minorenni e di genere possono incidere sulla crescita, la dottoressa Luongo afferma l’infondatezza del paradigma tradizionale. Ad esempio, i minori che vivono in condizioni di povertà, hanno inferiori possibilità di acquisire competenze cognitive e non cognitive, fondamentali per il mondo del lavoro. Per quanto riguarda la condizione femminile, oltre agli stereotipi di genere, dove il ruolo della donna è ancora considerato legato alla casa e alla cura dei figli piuttosto che al lavoro e al contribuire quindi al reddito famigliare, la condizione lavorativa delle donne è fortemente discriminata dai gap salariali e dagli ostacoli lavorativi che impediscono loro di raggiungere posizioni apicali nel mondo del lavoro. Intervenendo su questi aspetti avremo un aumento della ricchezza famigliare e del benessere della collettività, ottenendo quindi una conseguente diminuzione della povertà e della spesa pubblica.

Questi dati sottolineano l’opportunità, in primo luogo, di perseguire la riduzione delle disuguaglianze economiche, sociali e ambientali per determinare, in secondo luogo, una maggiore crescita economica.

Patrizia Luongo però si interroga anche su come si possa rovesciare concretamente questo paradigma. Osserva infatti che per agire concretamente in questa direzione serve un aumento del confronto e del dibatto pubblico: il governo ha il compito di definire quali sono gli scopi da perseguire, ma gli strumenti attraverso cui raggiungere questi obiettivi devono essere dibattuti, decisi e condivisi con i destinatari delle politiche. Se non aumenta questo importante e necessario confronto la diretta conseguenza sarà l’aumento della disuguaglianza di riconoscimento, cioè la sensazione da parte di larghe fette della popolazione di non vedere riconosciuti i propri bisogni e le proprie aspirazioni, generando così un sentimento di frustrazione e rabbia. Patrizia Luongo osserva infine che questa frustrazione può venire politicamente sfruttata in due opposte maniere: strumentalizzandola per accresce l’intolleranza tra le persone, ciò che di solito avviene quando si instaura una dinamica autoritaria; o alimentandola per permettere un confronto e un dibattito che generi poi delle decisioni condivise e quindi meglio accettate da tutti.

Patrizia Luongo conclude l’intervento affermando che sarà proprio il modo in cui il governo maneggerà questo sentimento a far comprendere la direzione che la politica prenderà per risolvere la crisi, se con una tendenza autoritaria o in favore di una maggiore giustizia sociale, portata avanti dal confronto e dal dialogo, che avrà come conseguenza diretta la creazione di un “futuro più giusto”[3].

 

L’intervento di Chiara Saraceno

Proseguendo il discorso sul tema delle disuguaglianze, anche la sociologa Chiara Saraceno si mostra favorevole al cambio di paradigma: occorre diminuire le disuguaglianze sociali per promuovere la crescita, ma per far in modo che ciò avvenga si deve capire in profondità qual è la loro origine[4]. Secondo Chiara Saraceno, la crisi pandemica non solo ha fatto riesplodere le “vecchie” disuguaglianze, già affrontate da Patrizia Luongo, ma ne ha causate anche di nuove:

  • Disuguaglianza tra ricchi e poveri. I vecchi divari sono aumentati: sono state le famiglie a più basso reddito a perdere di più. Contemporaneamente ci sono tante persone e famiglie che non solo non hanno perso introiti ma, avendo risparmiato, la loro ricchezza è risulta aumentata.
  • Disuguaglianza lavorativa. Da parte politica, la problematica più spinosa da gestire in termini di equità sociale è spiegare alle persone il perché alcuni hanno perso il lavoro o la propria impresa e altri no, e non per una colpa imputabile al lavoratore o all’imprenditore.
  • Disuguaglianza tra lavoratori pubblici e privati. Per quanto riguarda la disuguaglianza tra il lavoro pubblico e privato non è pensabile chiedere ai lavoratori pubblici di cedere una parte del loro stipendio per tutelare il reddito dei privati. Però esiste un problema di diversi gradi di protezione: nessun dipendente pubblico ha rischiato il licenziamento al contrario di molti lavoratori privati.
  • Disuguaglianza di protezione sociale. Non c’è stata solo una differenziazione tra chi ha potuto lavorare e chi no, ma anche tra chi ha potuto accedere al sistema di protezione sociale. Questo divario è stato causato anche dal sistema lavorativo italiano che è estremamente frammentario e produce esso stesso disuguaglianze. Per esempio, lo stesso codice Ateco è un sistema frammentato e categoriale che non corrisponde al modo in cui è organizzato il lavoro. Ma anche quando ci sono state provvidenze e ristori da parte dello Stato, il grado di intervento è risultato fortemente disuguale. Un elemento che porta ad interrogarsi su quanta iniquità e inefficienza venga prodotta da un sistema di protezione sociale così fortemente categoriale come è quello italiano. Si sono quindi create disuguaglianze sia all’interno del mercato del lavoro, sia nel modo in cui si sono protetti i redditi.
  • Disuguaglianza tra studenti minorenni. La DAD ha provocato perdite di apprendimento formale, di sviluppo cognitivo e di motivazioni che per i giovani in futuro sarà difficile recuperare. Oltre a ciò, non tutti hanno avuto accesso alla DAD, secondo i dati del Ministero dell’Istruzione il 10% ne è rimasto escluso. Questo tipo di disuguaglianza si è aggravata anche perché, a parità di offerta, le capacità, le risorse tecniche e abitative e di capitale culturale disponibili per fare in modo che questa didattica potesse essere usufruita al meglio, non sono state omogeneamente distribuite tra tutte le famiglie.
  • Disuguaglianza generazionale. In un Paese socialmente poco mobile, negli ultimi vent’anni si è prodotta una differenza di opportunità lavorative tra i giovani di oggi e la generazione dei genitori. Con la pandemia, questa e la prossima generazione di giovani, che si affacceranno sul mercato del lavoro, dovrà affrontare maggiori difficoltà.

A conclusione di queste nuove disuguaglianze venutesi a creare ed enfatizzate a causa della pandemia, Chiara Saraceno termina facendo un’ultima riflessione sul conflitto generazionale. Se sul piano della salute stanno pagando moltissimo gli anziani, sul piano delle opportunità di vita e di sviluppo personale, quelli che stanno pagando di più sono i giovani. Se sono gli anziani che si contagiano più facilmente, si devono anche assumere la responsabilità di proteggersi, per sé stessi, per non gravare sul sistema sanitario e per permettere ai giovani di andare a scuola. Per Chiara Saraceno il punto centrale della discussione è proprio questo: In Italia l’attenzione della classe dirigente è rivolta in prima istanza sempre agli anziani. Per esempio, anche se i minorenni hanno i tassi di povertà più alti di quelli degli adulti e degli anziani, il Reddito minimo è stato garantito prima agli anziani che ai giovani. Chiara Saraceno è ben consapevole che per gli anziani può essere uno sforzo gravoso ridurre la vita sociale, ma afferma che è ancora più grave ridurre le possibilità di apprendimento e di sviluppo dell’autonomia tra i più giovani poiché questo, nel lungo periodo, avrà effetti da non sottovalutare, non solo dal punto di vista del loro benessere, ma dal punto di vista del futuro del sistema-paese. Bisogna imparare da questa crisi per creare una situazione meno iniqua e meno dannosa, non investire nei minorenni significa infatti “tagliare le gambe” del futuro e dello sviluppo del nostro Paese.

Dopo aver mostrato le crepe e le criticità che la società italiana ha vissuto e sta vivendo, l’incontro si conclude con la speranza che il dibattito possa aver fornito utili spunti di riflessione su un’idea di sviluppo che non persegua solo la crescita economica, ma che ponga al centro la persona, poiché, come è stato ampiamente discusso e dimostrato, solo tramite l’eliminazione delle disuguaglianze si può vivere in una società più giusta e meno iniqua.


[1] J. Kozlowski, L. Veldkamp e V. Venkateswaran, Scarring Body and Mind: The Long-Term Belief-Scarring Effects of COVID-19, Federal Reserve Bank Of St. Louis – Research Division, Working Paper 2020-009A, aprile 2020.

[2] F. Barca e P. Luongo (a cura di), Un futuro più giusto. Rabbia, giustizia e conflitto sociale, il Mulino, Bologna 2020.

[3]Per approfondire: F. Barca e P. Luongo, Come sarà il modo post Covid 19? Cinque obiettivi per un futuro più giusto.

[4] Per approfondire l’argomento della povertà in Italia vedi: G. Bottos, La povertà nella crisi. Intervista a Chiara Saraceno.

Scritto da
Davide Regazzoni

Nato nel 1996, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze storiche e orientalistiche all’Università di Bologna. I suoi interessi principali riguardano i rapporti politici, religiosi e culturali tra Chiesa Cattolica e Cina sia in epoca medioevale che contemporanea.

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