Economia della cultura e cooperazione. Intervista a Giovanna Barni
- 06 Aprile 2022

Economia della cultura e cooperazione. Intervista a Giovanna Barni

Scritto da Giacomo Bottos

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L’economia della cultura – con la ricchezza di soggetti e forme che la contraddistingue – rappresenta un elemento significativo del sistema economico del nostro Paese. Dopo la difficile fase segnata dalla pandemia, quali sono le sfide principali nel futuro di questo settore? E quale apporto potrà fornire mondo cooperativo al sistema delle imprese culturali e creative?

Per provare a rispondere a queste domane, anche alla luce delle opportunità legate al PNRR e alla programmazione europea 2021-2027, abbiamo intervistato Giovanna Barni, Presidente di CoopCulture e di CulTurMedia, il settore Cultura Turismo Comunicazione di Legacoop.


Presidente Barni, inizierei chiedendole di tracciare un quadro sintetico della situazione dell’economia della cultura nel nostro Paese. Quali sono la sua composizione, le sue dimensioni economiche e le principali tendenze che la riguardano?

Giovanna Barni: Secondo quanto riportato dal Rapporto Fondazione Symbola – Unioncamere Io Sono Cultura 2021. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, nonostante l’analisi riguardi un anno particolarmente difficile, il settore culturale e creativo ha prodotto 86,4 miliardi di valore aggiunto (5,7% del totale nazionale) e occupa 1,5 milioni di persone (5,9% del totale nazionale). Sono questi numeri che ne attestano la centralità nell’ambito del sistema economico nazionale, tanto più se si guarda anche al moltiplicatore: 1,8 che sale a 2 per il settore storico-artistico e a 2,2 per le industrie creative, numeri che ne confermano l’importanza anche in termini di impatto sul resto dell’economia (155,2 miliardi di euro). Si tratta però di un settore molto articolato ed esteso all’interno del quale Symbola riunisce due macro-domini, quelli cosiddetti Cultura Core e quelli Cultura Driven, che in realtà sono le attività che dalla cultura “traggono solo spunto”, seppure possano esserne considerate un asset strategico. All’interno poi delle attività più propriamente culturali si distinguono quelle più industriali, come l’editoria e l’audiovisivo, e quelle invece live o non delocalizzabili, come il patrimonio culturale, le performing arts e le produzioni artistiche. In questo ambito, di dimensioni inferiori ma di estrema importanza in quanto “ponte” di tutti gli altri, la cooperazione occupa un peso maggiore, animando numerosissimi presidi culturali di vario genere: musei e aree archeologiche, teatri e cinema, spazi espositivi, biblioteche, circoli e arene e live club, diffusi in tutto il Paese. Tuttavia, questo è anche l’ambito più colpito dagli effetti della crisi legata alla pandemia da Covid-19, in specie le chiusure dei luoghi della cultura e di tutti gli eventi: mentre la media è 8,1% di perdita del valore aggiunto in generale, qui si raggiunge una perdita media che supera il 50% e impatta notevolmente anche sull’occupazione. La ripresa è tuttora molto lenta e piena di ostacoli soprattutto nel recupero del pubblico, laddove l’assenza di frequentazione dei luoghi di cultura è diventata un’abitudine sempre più radicata, e ciò vale soprattutto per i cinema. Guardando tuttavia alle tendenze, ritengo che la cultura possa fare da collante e rendersi driver di sviluppo in almeno due direzioni. Una prima direzione è quella della digitalizzazione del nostro patrimonio culturale materiale e immateriale, dai cui contenuti digitali potranno scaturire infine possibilità di nuovi prodotti della creatività e di comunicazione, tra virtuale e NFT, piattaforme innovative per eventi e per l’entertainment e laboratori per servizi educativi innovativi. Una seconda direzione è quella della rigenerazione territoriale a base culturale, in cui la cultura può fungere da motore di modelli alternativi di sviluppo sostenibile, anche per le aree più marginali del Paese, integrando le risorse culturali e naturali, con i saperi delle comunità e le nuove tecnologie e innestando nuovi turismi e nuove forme dell’abitare.

 

In questo contesto qual è la presenza del mondo cooperativo? Può tracciarci una panoramica?

Giovanna Barni: Da un punto di vista quantitativo la presenza è modesta rispetto all’ambito della cultura “industriale” mentre per la “cultura live” si attesta a oltre un terzo del settore. A mio parere però, al di là dei numeri che pure sono importanti, l’apporto della cooperazione al settore vale principalmente in termini qualitativi, grazie alle proprie caratteristiche distintive. Come ho provato a evidenziare nella recente Assemblea di metà mandato di CulTurMedia Legacoop, che include circa un migliaio di imprese, la cooperazione culturale si caratterizza per essere plurale, diffusa, coesiva e innovativa. Il primo concetto, quello della pluralità, attiene alla varietà di tipologie, dimensioni e forme: ci sono grandi cooperative (1% del totale che generano un fatturato del 30% del totale) ma anche cooperative piccole e medie, e ci sono nel settore anche cooperative di comunità, circoli, cooperative di produzione e lavoro, cooperative sociali e consorzi di terzo settore. La coesione è da intendersi in maniera estesa: è coesiva la presenza diffusa a tutte le regioni del Paese, contribuendo a ridurre i gap territoriali tra aree urbane e piccoli borghi o tra Nord e Sud. Ma è coesiva anche una base sociale che include a tutti i livelli l’occupazione femminile qualificata e a fronte delle disuguaglianze di genere e generazionali presenti in tanti altri settori dell’economia. L’innovazione è legata non solo al fatto che la cooperazione è intrisa di creatività perché basata sulle persone, sui loro talenti, sul comune capitale umano, ma anche al fatto che si pone in modo innovativo rispetto ai modelli. Le cooperative culturali sono sempre più portatrici di quell’innovazione sociale, che si esprime in forme collaborative di risposta e soddisfazione dei bisogni sociali emergenti, dalle cooperative di comunità ai partenariati pubblico-privati, dalle co-progettazioni alle cooperative di comunità.

 

Come questo mondo ha affrontato la pandemia? Quali le principali iniziative intraprese per far fronte a questa fase?

Giovanna Barni: Il mondo cooperativo è stato particolarmente colpito dalla crisi non solo perché ricomprende molte imprese che si occupano di cultura live (quella colpita da subito e più a lungo dalle chiusure), ma anche perché in molti casi si caratterizza per offrire attività ibride, difficilmente riconducibili alla rigida classificazione per Codici Ateco (frammentati in circa una cinquantina di subsettori) che è invece stata utilizzata per l’erogazione dei ristori nei diversi Decreti emergenziali. A ciò si aggiunga che, come ha bene evidenziato Paola Dubini, si tratta di una filiera che ha moltissime connessioni con il settore contiguo del turismo, con le produzioni locali e l’economia dei territori e che avrebbe richiesto da subito un approccio non puntuale e segmentato o tantomeno una ricetta unica, quanto piuttosto un mix integrato e ragionato di misure che guardasse da subito anche al di là dell’emergenza e che, oltre a perseguire la salvezza di un universo ricco ‒ seppure molto debole e frammentato perché sconta l’assenza da sempre di una politica industriale del settore ‒, mirasse anche a rigenerarlo con basi più solide e modelli sostenibili, in grado di moltiplicarne il valore di motore per il benessere dei cittadini oltre che per l’economia del Paese. Rendendosi promotrice del Manifesto La Cultura Cura, sottoscritto da oltre 30 associazioni tra le più attive nel compito, la cooperazione si è resa da subito portatrice di tali istanze fondate su logiche coesive e sostenibili, che riguardano tutti e che guardano al futuro, sottolineando la necessità di soluzioni che potessero contemplare una logica di filiera e multi-dimensionale: non solo ristori, ma anche misure strutturali dedicate alla ripresa del lavoro, come gli sgravi contributivi o la formazione di nuove competenze, al sostegno alla domanda trasversale a tutti i comparti, nonché incentivi a fare rete e ad innovare i processi per rafforzare l’intera filiera.

 

Quale ruolo svolge il mondo della cultura in relazione agli obiettivi di sostenibilità espressi negli SDGs dell’ONU?

Giovanna Barni: La relazione tra gli obiettivi espressi dall’Agenda 2030 e gli impatti prodotti dal settore culturale sono assolutamente evidenti, specie se si tratta del settore culturale cooperativo. Il patrimonio culturale è citato esplicitamente solo in un unico obiettivo, ma già l’UNESCO ha dimostrato in un apposito studio Culture 2030 Indicators UNESCO il contributo della cultura allo sviluppo sostenibile, trasversalmente ai diversi obiettivi. La rigenerazione di ambienti più sostenibili e resilienti, di paesaggi e biodiversità, insediamenti urbani più inclusivi e sociali, solo per citare alcuni obiettivi riconducibili ai punti 9,11,12,15, non possono essere ottenuti senza anche il soft power della cultura, un’azione immateriale di re-design che preceda sempre gli interventi materiali. Se poi, come nel caso delle rigenerazioni urbane partecipate, queste trasformazioni sono realizzate in forma cooperativa, allora l’esito è anche più inclusivo ed equo. Se poi guardiamo agli obiettivi che mirano più alle trasformazioni umane che a quelle dei contesti in cui viviamo (4,5,10,16), allora la cultura si pone in modo ancora più trasversale. L’accessibilità all’istruzione e all’educazione, l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e dei giovani, l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, sesso, disabilità, origine, religione, status economico o altro, sono effetti facilmente misurabili delle pratiche culturali e sempre più diffuse tra le organizzazioni culturali in genere e in specie tra quelle cooperative. Da anni i presidi culturali gestiti da cooperative svolgono attività museali per le disabilità e inclusive delle diverse comunità, portano il teatro nelle periferie urbane, promuovono la lettura, coinvolgono attivamente i pubblici in specie quelli più fragili. Ed è numericamente rilevante il grado di occupazione di qualità e femminile che le cooperative culturali detengono. Infine, mi soffermerei sul Goal 17, quello del partenariato come mezzo trasversale di attuazione dell’Agenda 2030, perché richiama all’assunzione, anche da parte delle imprese, di nuovi modelli più collaborativi e responsabilizzanti rispetto all’interesse generale e ad una sostenibilità di lunga durata dei propri progetti. Ovviamente la cooperazione ha innata la capacità di cooperare con la Pubblica Amministrazione, ma anche tra cooperative, per condividere best practice e modelli di sviluppo sostenibile. Forte anche della call VIVIAMO CULTURA, promossa dall’Alleanza delle Cooperative e dai Fondi della Cooperazione, prima esperienza italiana di promozione e tutoraggio su tutto il territorio nazionale delle nuove forme di partenariato pubblico-privato per il riuso e la valorizzazione dei beni scarsamente fruiti o abbandonati, ho portato all’attenzione del Congresso Annuale dell’ICA, svoltosi tra novembre e dicembre 2021 a Seul, il binomio cultura-approccio cooperativo affinché diventi essenziale per la futura identità della nostra organizzazione e chiave per lo sviluppo sostenibile.

 

Guardiamo al PNRR: quali missioni e componenti prevedono risorse significative per il mondo della cultura? Che valutazione si può dare del Piano dal punto di vista di CulTurMedia?

Giovanna Barni: Al PNRR va dato atto di aver introdotto un importante riconoscimento al settore culturale: ritengo corrisponda ad una precisa scelta politica l’inserimento di Cultura e Turismo nella Missione 1, quella che si concentra sul rilancio della produttività del Sistema Paese attraverso le leve strategiche dell’innovazione e della digitalizzazione nei settori della Pubblica Amministrazione, nella cultura, nel turismo e in generale nel sistema produttivo italiano. Corrisponde ad un riconoscimento inequivocabile della dimensione trasversale della cultura. Tuttavia, se si guarda più nel dettaglio, la maggior parte della dotazione è destinata ad interventi “materiali” più che alle organizzazioni e al loro capitale umano, cui viene destinata direttamente solo una percentuale inferiore al 5%. E se nella sezione Cultura e Turismo la filiera degli operatori culturali non è sempre adeguatamente mobilitata in tutti gli investimenti, con l’eccezione del Bando Borghi che premia proprio la collaborazione dei Comuni con i soggetti privati e in particolare le imprese culturali, nelle altre ben più ricche missioni (come nel caso della Transizione ecologica, dell’Istruzione e Ricerca e dell’Inclusione e coesione cui sono destinati oltre 100 miliardi) la cultura viene spesso chiamata in causa ma non sembrano coinvolti gli operatori. La digitalizzazione, le grandi opere, le riqualificazioni urbane, le infrastrutture sono mezzi e non fini. La cultura è infatti il campo di ibridazione, il laboratorio di sperimentazione affinché i due pilastri, green e digitale, non si esauriscano solo in investimenti strutturali, infrastrutturali e tecnologici ma anche nella loro necessaria animazione, vibrazione e umanizzazione, producendo effettivamente un miglioramento della qualità della vita e della partecipazione dei cittadini, con uno sguardo prioritario ai giovani. Un piano che non includa questa visione rischia di essere solo un elenco di spese, vanificando di fatto le priorità anche sociali e culturali del PNNR.

 

Che cosa è previsto, invece, nella programmazione europea 2021-2027?

Giovanna Barni: Fin dai primi tavoli nel 2019 con il Dipartimento per le Politiche di Coesione abbiamo colto le potenzialità del nuovo Accordo di Partenariato 21-27, poi sottoscritto lo scorso anno. Di nuovo, la Cultura non è obiettivo specifico ma intreccia come tema unificante quasi tutti i 5 obiettivi del ciclo di programmazione. Gli obiettivi più direttamente interessati alla filiera culturale e turistica sono senz’altro l’OP5 «Un’Europa più vicina ai cittadini» ‒ Sviluppo sociale, economico e ambientale integrato a livello locale e l’OP4 «Un’Europa più sociale», che ha visto introdurre dopo la pandemia un nuovo obiettivo specifico su Turismo e Cultura per il recupero e la ripresa dell’economia, l’inclusione e l’innovazione sociale: «rafforzare il ruolo della cultura e del turismo sostenibile nello sviluppo economico, nell’inclusione sociale e nell’innovazione sociale». Come cooperazione siamo assolutamente pronti a cogliere le sfide che pone, e possiamo già contare su molte sperimentazioni e best practice basate su un set di strumenti innovativi che incarnano una logica integrata a livello territoriale (intersettoriale, di filiera, multistakeholder) e un approccio di governance territoriale partecipata e inclusiva (i PSPP e la co-progettazione), da applicare tanto nelle città quanto nelle aree urbane, tanto nei borghi quanto nei parchi e nei cammini. Anche altri obiettivi di policy rappresentano opportunità di sostegno per le imprese culturali e creative. In particolare l’OP1 «Un’Europa più Intelligente» ‒ Digitalizzazione, sostegno alla competitività delle imprese di filiera culturale e creativa, dove possono trovare spazio i temi dell’innovazione e del rafforzamento del frammentato settore tramite reti e partenariati con le Università, così come nell’OP2 «Un’Europa più Verde» ‒ Prevenzione del rischio, efficienza energetica, valorizzazione del paesaggio ‒ può essere incentivato l’apporto di cultura e patrimonio culturale anche immateriale (i saperi e gli usi delle tradizioni) nella tutela del paesaggio e in un uso sostenibile e consapevole delle risorse naturali, nonché attraverso il turismo responsabile e sostenibile. Volendo in sintesi sottolineare i principali elementi di forza/innovazione della nuova programmazione nel suo complesso, mi concentrerei sul superamento di investimenti puntuali e frammentati a favore di una logica di valorizzazione integrata territoriale, così come sul recupero e conservazione del patrimonio culturale non separato da un progetto di gestione sostenibile. Aggiungerei infine l’attivazione di procedure negoziali con le Pubbliche Amministrazioni per un nuovo rapporto pubblico-privato e superamento dei contenuti contrattuali “rigidi” (appalti e/o concessione di servizi).

 

Quali sfide pongono i processi di digitalizzazione dal punto di vista delle imprese culturali e creative?

Giovanna Barni: Una domanda importante che deve essere declinata sotto vari profili. Il primo riguarda il contributo che il settore culturale può dare alla digitalizzazione perché tutti gli ambiti in cui sarà applicata la digitalizzazione attraverso il PNRR – quello delle infrastrutture e connessioni, quello dell’accessibilità dei servizi e quello delle competenze – potranno solo aumentare i gravi divari del Paese che invece il PNRR si propone di arginare, se non interviene anche la capacità critica, la consapevolezza, la visione che solo la cultura può attivare. Ad esempio, gli strumenti digitali per la fruizione del patrimonio culturale sono effettivamente utili affinché si diffonda in tante fasce diverse della popolazione l’uso del digitale, acquisendo contestualmente la consapevolezza della bellezza del proprio territorio e quel critical thinking che rende meno “schiavi” dalle tecnologie. Allo stesso tempo, affinché l’innovazione non si riduca al mero fine dell’efficientamento della PA e della produzione, ma si traduca anche in termini di welfare e di sviluppo dei talenti e delle persone, sarà opportuno che non venga attivato solo il settore informatico ma anche quello più ampio dell’educazione e della cultura che può assicurare contenuti culturali e creativi per orientare, in senso umanistico, gli sforzi verso la digitalizzazione. Infine, c’è la sfida dell’economia della conoscenza: quella che agisce come economia circolare e collaborativa rispetto all’uso, al riuso e alla rigenerazione e condivisione di una risorsa, quella culturale e dei talenti, che non solo è inesauribile e diffusa, ma che nel nostro Paese è quasi unica al mondo. E in questa sfida le imprese culturali e creative, come abbiamo già visto, possono fare da motori di filiere e, in specie se cooperative, da vero e proprio collante di piattaforme di rete della conoscenza, che sono le uniche a garantire sostenibilità e solidità ai progetti innovativi, altrimenti frammentati e a rischio sia di breve durata che di scarse prospettive di occupazione di qualità. Anche per questo motivo consideriamo l’investimento nella digitalizzazione del patrimonio culturale un’occasione per sviluppare in Italia un’economia della creatività unica al mondo, purché non sia solo un ennesimo investimento software di tipo massivo e di competenza pubblica, con fini esclusivamente di conservazione.

 

Dal punto di vista normativo quali iniziative ritenete più importanti?

Giovanna Barni: Come accennato più sopra, andrebbe operata una “transizione culturale” che, al pari di quella green e di quella digitale, dovrebbe essere human centered e accessibile a tutti. Lo strumento indispensabile affinché questo possa accadere, insisto, è il riconoscimento normativo dell’impresa culturale e creativa e del Partenariato culturale pubblico-privato quali fattori abilitanti per la realizzazione effettiva del PNRR, così come della futura Programmazione 21-27. In Italia il percorso di innovazione legislativa ha prodotto, negli ultimi anni, la nascita delle benefit corporation, delle imprese sociali, delle società sportive non lucrative e degli Enti del Terzo Settore. Si tratta di forme imprenditoriali ibride ispirate ad un nuovo modello in cui le risorse umane, economiche e fisiche sono orientate a produrre esternalità positive nell’ambiente in cui operano. E a questi soggetti il PNRR dedica apposite sezioni. Ma nel PNRR si cita, invece, molto poco l’impresa culturale e creativa: quel prezioso ecosistema economico che ruota intorno alla creatività e alla cultura e che è molto più ampio e diversificato del Terzo Settore, pur essendo strettamente connesso con l’economia sociale, in quanto la cultura è parte integrante del welfare e ancora di più laddove assume la forma cooperativa. Esso necessita di una propria disciplina in grado di cogliere le specificità e le spinte di innovazione del settore culturale. Le ICC sono una scelta di sviluppo per il Paese, per una digitalizzazione meno neutrale e una transizione green meno inconsapevole. Sono la scelta di questo Paese ogni volta che c’è stato un bisogno di rinascita, creatività e talenti, di un Rinascimento. Quanto invece al partenariato pubblico-privato (forma disciplinata sia dall’Art.151 del Codice dei Contratti Pubblico che dal Codice del Terzo Settore), occorrerebbe che fosse esplicitamente richiamato e previsto ogni qual volta l’investimento nella riqualificazione di spazi, porzioni di città, borghi o parchi debba sviluppare una gestione e manutenzione futura, una cura e partecipazione delle comunità, una moltiplicazione di opportunità e network, responsabilizzando fin dalla fase progettuale i soggetti che si prenderanno cura del futuro. Il Bando Borghi previsto dalla Missione 1 contiene davvero grandi elementi di innovazione in questa direzione che dovrebbero essere replicati anche nei bandi degli altri Ministeri, come la Coesione o gli Interni. Abbiamo assistito per anni a faraonici interventi di restauro di musei, monumenti e spazi culturali che nel migliore dei casi hanno prodotto qualche flusso turistico in più, ma certamente hanno poco influito sulla partecipazione culturale dei cittadini o moltiplicato benefici ai contesti territoriali. Il ruolo innovativo che i luoghi della cultura dovranno assolvere, come hub di un territorio, come spazi di inclusione e come generatori di innovazione, welfare e sviluppo non possono infatti che rinviare a modelli innovativi e partecipati di gestione degli investimenti e di governance futura.

 

È possibile migliorare la qualità del lavoro in un settore che sconta talvolta elementi di fragilità e discontinuità? In che direzioni occorre agire?

Giovanna Barni: Il tema del lavoro creativo e culturale è stato al centro del dibattito negli ultimi due anni, perché la pandemia ha acceso i riflettori su una situazione pre-esistente di precariato e ingiustizia sociale del lavoro culturale: sono tante le tipologie di lavoratori intermittenti e precari che contribuiscono nell’ambito dello spettacolo, della musica, della didattica museale e che hanno sofferto più di altri le stagioni delle chiusure, dei distanziamenti, dei cali del turismo e dei viaggi scolari. L’Alleanza delle Cooperative proprio pochi giorni prima dell’inizio della pandemia aveva siglato un nuovo contratto dello spettacolo a garanzia anche dei lavoratori intermittenti e delle nuove professioni creative. La forma cooperativa è stata un argine contro l’illegalità e il precariato e quindi è stata la maggiore tutela in questo periodo di crisi, anche solo per l’accesso dei lavoratori alla cassa integrazione, ed è nel contempo la forma che valorizza meglio i talenti perché crea un ambiente fertile per l’innovazione. Ecco, da una parte c’è il Disegno di Legge Delega sullo Spettacolo il cui iter dovrebbe essere completato, in specie per quanto riguarda il reddito di discontinuità per le figure artistiche e creative, e successivamente allargato agli altri comparti del settore. Dall’altra occorrerebbe che gli investimenti del PNRR vigilassero di più sull’affidabilità e le caratteristiche dei beneficiari, pubblici o privati che siano, e la sostenibilità degli interventi oltre la durata del Piano, privilegiando la partecipazione delle imprese labour intensive e con alto impiego femminile e di operatori qualificati, di quelle che operano anche nelle aree marginali del Paese e sono radicate nei territori, nonché di quelle che sanno fare rete. Senza un adeguato riconoscimento del lavoro culturale e creativo non c’è futuro e questo implica un adeguato riconoscimento delle diverse forme e organizzazioni della cultura. Il recente libro curato da Antonio Taormina, Lavoro culturale e occupazione, mette in luce che solo 3 lavoratori su 10 hanno un impiego pubblico e quindi non può essere che la restante parte, quella maggioritaria, non abbia adeguate tutele. Ripeto: questo è il momento di investire non solo sull’innovazione tecnologica ma anche sulle persone, formando le nuove generazioni con competenze ibride non scollate dalla realtà, affinché, una volta passata la fase emergenziale, il lavoro culturale possa trovare il riconoscimento e la dignità che merita.

 

Quali sfide principali vede per il futuro del mondo delle imprese culturali e creative? Quale apporto potrà fornire in questo quadro il mondo cooperativo?

Giovanna Barni: La sfida riguarda l’esistenza di una prateria di opportunità inesplorate per la cultura con un grande beneficio di risorse inesauribili: è inesauribile il patrimonio culturale e ambientale del Paese purché tutelato, rigenerato e valorizzato; è inesauribile il patrimonio di talenti e di antichi saperi purché preservato, trasmesso alle nuove generazioni e con loro rinnovato sfruttando il digitale; sono inesauribili i laboratori all’aperto e gli spazi intrisi di storia e di arte che possono attivare processi educativi permanenti, diventare location incredibili per le produzioni creative in ogni forma. Il mondo cooperativo ha le caratteristiche migliori per essere protagonista di queste sfide e le può vincere se abbraccia una logica di filiera, verticale e orizzontale – e cioè, da un lato, con il mondo della formazione e della ricerca, tornando ad essere attrattiva per i giovani e dotata, anche a livello di sistema, di quelle competenze necessarie alle nuove progettualità; dall’altro, superando la logica per vecchi settori, in una prospettiva tutta cooperativa di un Rinascimento multidisciplinare dei territori e delle comunità.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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