Recensione a: Alessandro Aresu, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Feltrinelli Editore, Milano 2024, pp. 576, 24 euro (scheda libro)
Scritto da Giacomo Centanaro
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L’ultima fatica di Alessandro Aresu dedicata all’intelligenza artificiale è un saggio imponente. Lo è nella sua strutturazione, nel numero dei suoi protagonisti provenienti da quattro continenti diversi, e nelle decine di filoni narrativi e di analisi che si intrecciano e che rappresentano le radici profonde e nascoste dell’intelligenza artificiale, che mai come negli ultimi anni è stata discussa da un pubblico così ampio. È anche un saggio complesso per il suo approccio, la cui riflessione parte da lontano e che passa anche per l’Italia, che anche in questa storia globale ha dato il suo contributo originale. Il lettore avrà l’occasione di conoscere i meccanismi e i concetti che guidano le creazioni dell’intelligenza artificiale, e di comprendere come questi si siano tramutati in prodotti commerciali, anche grazie al cast che anima il libro e alle sue parole in centinaia di conferenze, articoli e interviste, che Aresu ha scandagliato; ricordiamo qui: Jen-Hsun “Jensen” Huang, fondatore e amministratore delegato di NVIDIA; Morris Chang, fondatore nel 1987 della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC); Geoffrey Hinton, pioniere delle reti neurali; Demis Hassabis, co-fondatore e amministratore delegato di DeepMind (oggi Google DeepMind); Sam Altman, co-fondatore con Elon Musk, e amministratore delegato di OpenAI; Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e Palantir. Da notare, quindi, come il grosso dei protagonisti non siano esponenti governativi, esponenti di alto livello delle migliori università americane o europee, bensì imprenditori e investitori con una profonda formazione scientifica, in alcuni casi derivata da esperienze di ricerca.
Nella cronologia minima che chiude il libro, che termina al 2031 e che serve al lettore per orientarsi sulla linea del tempo, la prima data indicata da Aresu è il 1624, data di scrittura della Nuova Atlantide di Francesco Bacone: racconto utopico dell’isola di Bensalem, dove nella Casa di Salomone si compiono complessi esperimenti scientifici per migliorare quella piccola società e imbrigliare le forze della natura. Questo anche perché, come in numerose altre storie di progressi tecnologici, non vi è una storia ufficiale – tecnica o filosofica – dell’intelligenza artificiale e, come testimonia l’impegno accademico dell’informatico tedesco Jürgen Schmidhuber, la concezione degli eventi fondamentali dell’intelligenza artificiale può variare molto. Schmidhuber ha scritto «Facciamo un passo indietro e guardiamo all’intelligenza artificiale nel contesto storico più ampio: tutto il tempo dal Big Bang». A questo punto Aresu mette subito in chiaro uno dei tanti postulati che bisogna ricordare quando si considerano gli avanzamenti in questo campo: «L’intelligenza artificiale non può essere una scienza astratta rispetto al tema della resa commerciale dei suoi prodotti. In questo senso, la sua “maturità” non esiste in purezza ma è sempre legata a dinamiche di mercato e agli interessi degli attori di mercato» (p. 123).
L’intelligenza artificiale è stata resa protagonista dei nostri tempi da particolari esperienze personali – che Aresu racconta dettagliatamente – ma anche, e soprattutto, da grandi operazioni commerciali e di investimento da parte di grandi imprese. L’espressione “intelligenza artificiale”, oggetto forse di un certo abuso, nasce più o meno consapevolmente da una trovata di marketing: nella metà degli anni Cinquanta, un giovane John McCharty per ottenere una borsa di studio estiva da parte della Fondazione Rockefeller scrisse che il suo progetto si sarebbe incentrato sulla “intelligenza artificiale”, e non usando termini affini allora in uso. Aresu aiuta a far luce anche su cosa permette, concretamente, l’intelligenza artificiale che sembra pervadere (o poter pervadere) ogni ambito dell’azione umana.
Dalla riflessione di Aresu è possibile trarre alcune evidenze: l’intelligenza artificiale ha alla base ed esiste grazie alla potenza di calcolo e, quindi, a grandi infrastrutture tecnologiche; su determinate partite tecnologiche sono i governi e le istituzioni pubbliche a dover dipendere dalle capacità di grandi aziende tecnologiche, e non viceversa.
Viene ovviamente dedicata anche attenzione ai “grandi modelli linguistici”, come l’applicazione ChatGPT, che più di ogni altro prodotto tecnologico ha impersonato e diffuso il fenomeno dell’intelligenza artificiale nell’opinione pubblica. Questi modelli sono rappresentabili dal lavoro collegato di due file: il file dei parametri e quello dell’esecuzione dei parametri e, poi, «il modello statistico viene formato raccogliendo e analizzando grandi quantità di dati, che vengono utilizzate per una fase di addestramento resa possibile dall’uso di cluster di GPU [Graphics Processing Unit – unità di elaborazione grafica, ndr] per diversi giorni» (p. 247). Ma a dove risalgono le radici di questi funzionamenti? Agli inizi del Novecento, nell’esperimento del matematico russo Andrej Markov, che dimostrò, analizzando la frequenza di vocali e consonanti, come anche in un testo letterario esistano dei percorsi statistici che possono essere descritti in termini probabilistici: le cosiddette “catene di Markov” (p. 247). Come è possibile oggi addestrare e affinare il funzionamento e le abilità di questi grandi modelli? Aresu lo racconta con un esempio efficace: OpenAI, anche grazie alle risorse ottenute da Microsoft ha pagato a cottimo diverse aziende per affinare i risultati del modello (lavorando sia sulla qualità che sulla rimozione dei contenuti problematici), «OpenAI tra il 2021 e il 2022 si è affidata a un’azienda, Sama, che ha assunto lavoratori kenyani a meno di 2 euro l’ora per svolgere questi compiti» (p. 248).
La storia dell’intelligenza artificiale è però, principalmente, una storia di sviluppo tecnologico, di avanzamento tecnico e, come ogni episodio economico della storia umana, anche questa “industria” particolare ha dei propri simboli e luoghi concreti, che non sono solo loghi o siti web dal design futuristico. Questi luoghi sono i grandi data center, le fabbriche dell’intelligenza artificiale. Non solo sono le dimostrazioni plastiche del progresso tecnico del XXI secolo, ma sono anche la rivelazione degli attori che nel nostro tempo presiedono l’intersezione tra l’avanzamento scientifico e il supercalcolo, ossia grandi imprese. Imprese come NVIDIA, fondata da Jensen Huang nel 1993, che producono le GPU fondamentali non solo per i videogiochi (che, come ricorda Aresu, hanno cambiato il mondo) ma anche per permettere calcoli impensabili, trainando l’apprendimento profondo e l’intelligenza artificiale.
Il velo di astrattezza e impalpabilità dell’intelligenza artificiale viene così squarciato, così come viene squarciato dal punto di vista finanziario il mito dell’unicità delle storie imprenditoriali delle nuove grandi società: per crescere, testare servizi e prodotti, avviare processi di ricerca e sviluppo servono ingenti fondi, generosi investitori propensi al rischio e disposti ad accettare perdite anche per anni di seguito. Questo ruolo è stato ricoperto per esempio da Google nel caso di DeepMind, che continuava a essere sostenuta nonostante perdite di 470 milioni di sterline nel 2018 e di 477 nel 2019 (p. 175).
Nel libro di Aresu c’è anche spazio, come anticipato, per raccontare i dettagli di una storia poco conosciuta dell’imprenditoria italiana. Gli spot che hanno reso celebre il liquore Cynar erano guidati dallo slogan “Contro il logorio della vita moderna”. Ed è proprio con la profonda convinzione che fosse necessario recuperare la dimensione umana nell’impetuoso sviluppo tecnologico che il padre del Cynar, Angelo Dalle Molle (1908-2002), imprenditore visionario legato al pensiero di Luigi Einaudi, nel 1987 avviò a Lugano le attività dell’Istituto Dalle Molle di Studi sull’Intelligenza Artificiale, dopo il precedente istituto per gli studi semantici e cognitivi del 1973 (e anche un istituto di ricerca a Polignano a Mare dedicato al carciofo). L’Istituto Dalle Molle formerà e permetterà lo sviluppo di nomi centrali per gli sviluppi tecnologici di questa storia, come Shane Legg e Jürgen Schmidhuber. È un esempio di imprenditoria disposta a investire e a rischiare, che porta Zurigo, e in un certo senso anche l’Italia, nella geografia di questa epopea tecnologica. A questa vicenda e ai suoi sviluppi Aresu dedica la seconda parte del saggio intitolata, non a caso, L’intelligenza del carciofo.
Aresu dedica ovviamente anche grande spazio alla competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina, cui ha dedicato Le potenze del capitalismo politico (La nave di Teseo 2020) e Il dominio del XXI secolo (Feltrinelli 2022), e, infine, tira le fila delle connessioni tra investimenti, tecnologie, scoperte scientifiche e ripercussioni sugli equilibri internazionali. Riguardo all’Europa afferma: «Evitare di raccontarci favole non è un gesto cinico. È provare a stare al mondo» (p. 438). L’Europa, come comunità di “capitali”, sconta la mancanza di ambizioni, e il non aver saputo coltivare e finanziare le sue scoperte e i suoi talenti che aveva maturato anche nel campo dell’intelligenza artificiale («la Ferrari […] è il simbolo di ciò che ci è veramente rimasto»), trovandosi ora incapace di poter competere in futuro con quanto negli Stati Uniti è stato realizzato. Il mondo in cui l’Europa si ritrova è quello dello spostamento della manifattura verso l’Asia orientale (dove le innovazioni create negli Stati Uniti possono scalare e crescere), della digitalizzazione pervasiva di economia e società, e della pressione politica attraverso la sicurezza nazionale. Allo stesso tempo, come Aresu argomenta in modo dettagliato, credere che i tragitti e le ambizioni di grandi e capillari entità private, come ad esempio Microsoft, possano essere influenzati da una qualche decisione politica europea è indice di ingenuità. Non rincorrendo ambizioni digitali europee (ad esempio il cloud europeo) si può invece presidiare le proprie nicchie di specializzazione (ad esempio biotecnologie, meccanica, aviazione civile o la produzione di gas industriali), mantenere una minima capacità industriale, diversificare i propri mercati asiatici di riferimento, sempre più destinazione di decine di miliardi di dollari annui di investimenti in settori chiave come quello dei data center. In sostanza, secondo Aresu, all’ambizione di creare e di scommettere, gli Stati europei e l’Unione Europea hanno sostituito da decenni quella di regolare.
Geopolitica dell’intelligenza artificiale è però anche un saggio sull’evoluzione della cultura occidentale nei confronti della tecnica, delle macchine. In un apposito intermezzo, Aresu dedica uno spazio alla Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi, satira composta da Giacomo Leopardi nei confronti della “età delle macchine” che si andava affermando nell’Ottocento. Leopardi immaginava un’accademia che premiasse gli inventori di macchine che potessero alleviare le fatiche e accompagnare gli umani anche sotto il profilo filosofico, per esempio una medaglia d’oro di quattrocento zecchini sarebbe stata riservata a chi avesse costruito una macchina con la capacità di agire come un amico, attraverso un addestramento sui trattati sull’amicizia, come quelli di Cicerone. La Proposta venne scritta nel 1824, esattamente due secoli prima della pubblicazione di questo saggio, e Aresu fa comprendere come una sua rilettura contemporanea non desterebbe più alcun tipo di stupore.