Recensione a: Paolo Borioni, Il ministero Brodolini. Poteri pubblici, welfare e Statuto dei lavoratori, Biblion edizioni, Milano 2023, pp. 376, 30 euro (scheda libro)
Scritto da Enrico Cerrini
6 minuti di lettura
Paolo Borioni è professore di culture politiche alla “Sapienza” Università di Roma, incarico assunto in seguito a una formazione da scandinavista e una collaborazione organica con la Fondazione Giacomo Brodolini. Borioni ha quindi una profonda conoscenza della socialdemocrazia nordica e dei suoi tentativi di applicazione in Italia.
La genesi del volume
Il ministero Brodolini si concentra sulla storia di un’esperienza politica breve, ma fondamentale per il percorso democratico italiano. Giacomo Brodolini ha ricoperto l’incarico di Ministro del lavoro nel governo di Mariano Rumor solo per pochi mesi, tra il dicembre 1968 e luglio 1969. In quei mesi ha accelerato il processo di approvazione dello Statuto dei lavoratori, la riforma più importante nel campo dei diritti sociali della prima repubblica.
Il processo di approvazione dello Statuto è terminato nel 1970 e il giuslavorista Gino Giugni è considerato come il padre della riforma, che non sarebbe però stata approvata senza la decisiva spinta politica del ministro Brodolini. Il volume di Borioni analizza quindi il funzionamento del Ministero del Lavoro in quel periodo storico, mostrandoci la continua danza tra tecnici, parti sociali e politica. Nell’introduzione, l’autore disegna la metodologia usata con la figura del triangolo, al cui vertice ci sono le istituzioni politiche e alla base la struttura socioeconomica e la cultura politica.
Borioni specifica che la permanenza di una struttura socioeconomica informale e lo sfruttamento del mercato del lavoro erano (e restano) le differenze principali tra l’Italia e il Nord Europa. Date tali differenze, Brodolini intendeva attuare non tanto un riformismo dall’alto basato sul controllo pubblico dell’economia, ma dal basso, in grado di appianare le differenze tra capitale e lavoro attraverso la costruzione del welfare e dell’autonomia sindacale.
Ritornando al triangolo, Brodolini intendeva usare la cultura politica per influenzare il comportamento delle istituzioni, le quali avrebbero dovuto modificare la struttura socioeconomica nella giusta direzione, rafforzando la democrazia e il consenso delle forze di sinistra.
Per studiare questi fenomeni, l’autore ha rivolto lo sguardo al funzionamento del Ministero del Lavoro, guidato da Brodolini insieme alla sua squadra di tecnici, politici ed esperti. Borioni ha utilizzato le numerose fonti che ha accumulato durante la sua collaborazione con la Fondazione Brodolini. Inoltre, ha consultato i documenti inerenti al Ministero del Lavoro e alla Presidenza del Consiglio nell’Archivio Centrale dello Stato, oltre che quanto presente nell’Archivio Storico del Senato della Repubblica, nel Fondo Giugni e nella Fondazione Nenni. Infine, ha preso visione delle memorie e degli studi di tutti coloro che hanno partecipato al lavoro ministeriale.
La teoria politica
Nel primo capitolo, la ricostruzione storica di Borioni si concentra sulla teoria politica, approfondendo la differenza tra il pensiero di Giacomo Brodolini e quello di un altro esponente della corrente di sinistra del PSI, Riccardo Lombardi.
Secondo Lombardi, si dovevano introdurre riforme strutturali e irreversibili, le quali avrebbero assegnato allo Stato un forte ruolo di controllo delle aziende pubbliche e di indirizzo della proprietà capitalistica. Lombardi non si mostrava entusiasta del modello di welfare scandinavo, che ai suoi occhi non esprimeva tanto il socialismo quanto una forma di capitalismo maturo.
Al contrario, Brodolini e il suo riferimento politico, Francesco De Martino, aspiravano a una programmazione economica che promovesse la partecipazione, il welfare e la democrazia sindacale. Secondo loro, il potere di indirizzo dello Stato era importante, ma non quanto la libera espressione della dialettica di classe. Il compito del socialismo era di fornire strumenti ai lavoratori per poter scontrarsi con il capitale, senza preordinare gli esiti del conflitto di classe.
Nella loro visione, i diritti sociali avrebbero portato ai lavoratori immediati benefici, che si sarebbero diffusi anche alle altre classi subalterne, in modo da espandere il consenso del PSI e rafforzare il processo democratico.
Nel secondo capitolo, Borioni cala le teorie di Lombardi e Brodolini nel congresso del PSI dell’ottobre 1968. Nel 1963, il PSI era entrato nel governo formando i primi esperimenti di centrosinistra con la DC, che non avevano apportato le riforme sperate. Di conseguenza, malgrado il riavvicinamento tra PSI e PSDI (uniti sotto la sigla PSU alle elezioni del 1968), i consensi dei partiti socialisti arretrarono. Dopo le elezioni di maggio 1968, si formò un governo monocolore democristiano, mentre il PSI-PSDI discutevano se ritornare o meno nella maggioranza.
A seguito del congresso di ottobre 1968, si creò un governo di centrosinistra guidato da Mariano Rumor, a cui partecipavano DC, PSU e Repubblicani. Il governo si insediò a dicembre 1968 e Brodolini assunse la carica di Ministro del lavoro.
L’azione politica
Una viva discussione tra correnti caratterizzò il congresso del PSI. Mario Tanassi, uomo del PSDI, presentò la mozione più favorevole all’esperienza di centrosinistra, mentre Riccardo Lombardi espose quella più critica. Un altro esponente della sinistra socialista, Antonio Giolitti, presentò una mozione critica sull’esperienza del centrosinistra, ma aperta al ritorno al governo. Giacomo Mancini esprimeva la visione del presidente del partito Pietro Nenni, per cui il PSI non poteva rinunciare al centrosinistra e al rapporto con il PSDI, seppure fosse necessario rilanciare l’iniziativa riformatrice del governo.
De Martino e Brodolini esposero la mozione “Riscossa Socialista”, secondo cui il partito poteva tornare al governo solo con la finalità di intessere uno stretto rapporto con i lavoratori, grazie a riforme in loro favore. Nel centrosinistra, il PSI doveva essere autonomo, perché governare con la DC non doveva entrare in contraddizione con la costruzione di un’alternativa di sinistra. Ciò non significava la mera collaborazione con la sinistra parlamentare, ma anche la partecipazione attiva nella società.
Il terzo capitolo si concentra sulla squadra di Brodolini al Ministero del lavoro, la cui formazione si colloca in una precisa fase storica descritta dalla sociologa Stephanie L. Mudge. L’autrice ha studiato il mutamento del ruolo di tecnici ed esperti nell’elaborazione della politica socialista. Nella prima fase, che termina intorno alla grande depressione del 1929, Mudge colloca i “teorici di partito”, i quali erano organici ai partiti e dibattevano su quale fosse la migliore versione di socialismo da applicare. Negli anni più recenti, i teorici si sono invece occupati di gestire il consenso, anziché elaborare una propria visione del mondo.
Nel mezzo, si colloca la fase di interesse per il volume, ovvero quella dei “teorici economici”, caratterizzata dalla presenza di accademici che intervenivano durante il momento egemonico del socialismo democratico. Questi teorici erano in genere professori che usavano le proprie conoscenze per ottenere i medesimi obiettivi dei partiti, ovvero trasformare la società, a partire dai rapporti di potere tra le diverse classi sociali.
La squadra di Brodolini si rispecchiava nei “teorici economici” di Mudge, in quanto gli esperti si erano formati a seguito di studi universitari affiancati all’attività politica; collaboravano con il PSI in maniera paritaria; erano consapevoli che il cambiamento della società passasse attraverso l’azione di partito.
Le riforme
I capitoli quattro e cinque sono i più rilevanti sul piano della ricerca storica. In particolare, il quarto capitolo analizza le carte che documentano il lavoro svolto dalla squadra di Brodolini per elaborare la proposta dello Statuto dei lavoratori. Qui, Borioni compie un lavoro metodico sulle fonti, partendo dai verbali della Commissione presieduta da Giugni.
Il quinto capitolo si concentra sui rapporti tra il ministero di Brodolini e una serie di attori esterni, come partiti, sindacati, associazioni di categoria e gli altri uffici del governo. Qui, l’autore si concentra sul quadro di insieme, analizzando l’azione di governo nell’intraprendere la riforma.
Il sesto capitolo analizza la tematica del welfare, che Brodolini intendeva utilizzare per rafforzare la democrazia e incrementare il potere contrattuale di sindacati e lavoratori. Il governo di centrosinistra provò a realizzare questo obiettivo, anche se la DC ha spesso utilizzato il welfare per erogare privilegi e sussidi in modo da aumentare il proprio consenso. Il ministro socialista rimarcò le sue idee anche di fronte agli operai, quando esplicitava di non credere in uno Stato neutro, ma in un governo che si schiera nel conflitto sociale dalla parte dei lavoratori.
Il settimo capitolo analizza un altro importante risultato dell’azione di Brodolini, ovvero la riforma pensionistica del 1969. La riforma metteva a regime la previdenza contributiva e introduceva la pensione sociale per gli anziani sprovvisti di reddito che avessero compiuto i 65 anni. In questo capitolo, una tabella mostra come la costruzione del welfare italiano non abbia contribuito ad aumentare la pressione fiscale, come nella maggioranza degli Stati.
In Scandinavia, Borioni sottolinea che l’aumento delle tasse è stato accettato tramite l’eliminazione delle zone a basso salario e la crescita dell’occupazione, specialmente femminile. I governi nordici stabilirono un compromesso per cui le famiglie pagavano più tasse ma aumentava la loro ricchezza complessiva. La ricchezza privata contribuiva quindi a finanziare lo Stato tramite le tasse, al contrario del caso italiano, in cui lo Stato è rimasto povero.
Il volume di Borioni si rileva quindi utile a comprendere la genesi di una precisa stagione riformatrice che aveva un chiaro impianto teorico e politico. A livello teorico, i tecnici hanno collaborato con i partiti socialisti per creare una cultura politica volta ad appianare le differenze sociali tra le varie classi, garantendo maggior reddito e poteri contrattuali ai lavoratori.
Sul piano politico, possiamo notare la differenza tra il primo e il secondo centrosinistra. La prima stagione ha rappresentato un insuccesso per il PSI, mentre successivamente i socialisti hanno acquisito quella cultura necessaria a indirizzare il governo, pur rappresentando una minoranza all’interno dello stesso.
Il volume insegna quindi che i compromessi politici sono necessari quando i partiti hanno le idee chiare sulle riforme da effettuare e sulle classi sociali da aiutare e rappresentare. Al contrario, i compromessi fatti “tanto per governare” e le riforme rivolte a un indeterminato “bene generale” rischiano di essere controproducenti e di alienare il consenso.