Recensione a: Paolo Missiroli, Il posto del negativo. Filosofia e questione dell’umano alla luce dell’Antropocene, Meltemi, Milano 2023, pp. 320, 24 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pennacchioni
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Il posto del negativo. Filosofia e questione dell’umano alla luce dell’Antropocene è la seconda monografia di Paolo Missiroli. Collocata sul solco della precedente[1], l’obiettivo principale di questo lavoro, come ben si evince dal titolo stesso, è quello di fornire una lettura del concetto di Antropocene a partire da quello di negativo. Ma che cosa si intende con questi due termini? Per quanto riguarda il primo, la risposta è fornita già nell’Introduzione: «“Antropocene” [è] il termine con cui si vuole indicare la nostra epoca geologica, che vedrebbe come principale fattore di influenza stratigrafica l’essere umano, concepito secondo un’astrattezza indeterminata storicamente». Per quanto non esaustiva, questa prima definizione, che certamente «porta con sé una serie di problemi di ordine teorico», è anche il punto di inizio di Missiroli per questa ricerca. Ma che cos’è invece il negativo? Facendo luce sulla maggior parte dei discorsi sull’Antropocene, Missiroli rivela al lettore il principale modo in cui questo concetto è inteso. Il negativo, all’interno della narrazione sull’Antropocene più diffusa, quella prometeica[2], è l’essere umano. Il posto del negativo è l’uomo, perché pensato come l’unico essere vivente capace di controllare e dominare (negare) la natura. L’Antropocene si rivela essere non “soltanto” l’epoca geologica della frattura tra il livello di sviluppo e di consumo umano e i limiti bio-geo-logici propri del pianeta Terra, ma anche la dimostrazione della superiorità ingegneristica dell’uomo nel risolvere i problemi eco-sistemici da lui stesso causati. Lo stesso presupposto è quello che sta dietro all’interpretazione collassologica[3] dell’attuale epoca della Terra, che seppur opposta negli esiti, sconta lo stesso presupposto: «il binomio umano-negativo» (p. 24). In quest’ottica, o la natura è ciò che può essere completamente determinata dall’uomo (lettura prometeica) o ciò che l’uomo subisce (lettura collassologica), ma da cui comunque è completamente estraneo. Questa posizione è classicamente moderna, almeno secondo la definizione di modernità fornita da Bruno Latour, per il quale la caratteristica principale di tale epoca consiste nel fondamentale dualismo posto tra natura e cultura[4]. Ma, oltre a ciò, il secondo motivo indicato da Missiroli per cui tale discorso è così diffuso, è che esso risulta «estremamente efficace nel giustificare lo stato di cose presente» (p. 26), in cui il complesso socioeconomico vigente ha potuto e continua a causare la sesta estinzione di massa, il cambiamento climatico e una serie indefinita e indefinibile di crisi ecologiche localizzate. L’obiettivo principale de Il posto del negativo è non solo quello di mostrare in che termini questo presupposto sia inadeguato a pensare l’attuale condizione storica, ma anche quello di ripensare tale binomio, proponendone uno alternativo.
Il libro è diviso in due parti. Lo scopo della prima, composta dai tre capitoli iniziali, è quello di approfondire lo sviluppo teorico che il binomio umano-negativo porta con sé. Missiroli ripercorre una vera e propria storia filosofica del negativo, e già questo è senza dubbio uno degli elementi di assoluta originalità del suo lavoro. Non potendo indagare le radici del binomio moderno a partire dalla lettura prometeica dell’Antropocene – «nella misura in cui la sua povertà teorica non consente un approfondimento reale» (p. 27) –, l’autore svolge questo compito attraversando la storia del pensiero filosofico. Nella seconda parte, tutta concentrata nel quarto capitolo, Missiroli propone invece una diversa lettura dell’Antropocene, non più prometeica (moderna), ma ecologica.
Il primo capitolo inizia con l’analisi del binomio umano-negativo nel dibattito tedesco dei tardi anni Venti e dei primi anni Trenta, in particolare in Max Scheler, Helmuth Plessner e, in un intermezzo successivo, in Arnold Gehlen. Sia nel pensiero di Scheler che in quello di Gehlen, non essendo l’uomo semplicemente parte della natura, ma avendo anzi la capacità di negare quest’ultima, viene posta al centro proprio la distanza del loro rapporto. In tal senso, la posizione di Plessner brilla per la sua differenza rispetto a questo panorama dei tardi anni Venti e Trenta tedeschi. «Partendo [infatti] da una filosofia della natura e pensando l’umano come grado dell’organico, nonché come essere in grado di cogliere l’aspetto negativo delle cose (e non di negarle) egli mostra, già in questo contesto storico-culturale, una possibile alternativa al binomio umano-negativo» (p. 94). Sullo sfondo di questo contesto, inizia quindi il capitolo successivo. Qui Missiroli analizza invece il panorama della filosofia francese degli anni Trenta, nella misura in cui essa si struttura intorno all’asse del rapporto tra l’idea di umano e quella di nulla. È in particolare mostrando la ricezione che il pensiero di Heidegger ha avuto in suolo francese che Missiroli ragiona sul binomio umano/negativo. L’“Heidegger francese” è stato appunto colui che per primo ha consentito di riflettere in Francia sul rapporto umanità/nulla. Questo lo si vede in particolare nel pensiero di Jean Wahl e di Günther Stern (conosciuto ai più come Günther Anders). Secondo il primo, per quanto il negativo non sia escluso dalla realtà – ma ne sia anzi parte costitutiva –, comunque esso non pertiene affatto al piano dell’esistenza dell’uomo, in quanto autonomo da quest’ultima. A differenza che nella lettura prometeica, in Jean Wahl il negativo non è ciò che porta all’annullamento delle cose stesse da parte dell’uomo, ma è ciò che garantisce la permanenza delle cose in uno spazio di totale indipendenza e di impossibilità di presa radicale. Questa separatezza originaria dal mondo, questo essere dell’uomo costitutivamente “a distanza” da esso ha invece in Günther Anders altro esito. In lui è proprio l’essere dell’uomo, costitutivamente in-adatto ed estraneo al mondo, a far sì che l’unica forma di identificazione risieda nella “ricostruzione” di quel mondo. Ricostruzione che rende possibile la creazione di uno spazio integralmente umano e che consente il superamento della distanza con la natura in un mondo completamente assimilato e del tutto sottoposto al dominio dell’uomo. Il terzo capitolo chiude la prima parte. Al centro di questo, due pensatori di importanza capitale: Alexandre Kojève e Jean-Paul Sartre, in particolare approfonditi nelle loro riflessioni antropologiche, cioè fino al 1946. Ed è proprio questo presupposto antropologico a non consentire ai due autori di riconoscere il negativo fuori dell’uomo, ossia ciò che conferisce al mondo naturale quello spessore, quella resistenza, quell’autonomia delle cose fuori della vita umana. Sono infatti queste due riflessioni i luoghi teorici dove si esplica con maggior forza il binomio umano-negativo. Dalla loro analisi, Missiroli rende evidente l’inservibilità di tale binomio ai fini di un ragionamento ecologico.
Ora, per quanto certamente nessuno di questi autori possa essere considerato un “pensatore ecologico”, questa prima sezione non va semplicemente interpretata come la pars destruens del libro. Come ben chiarito dall’autore, dal momento che ognuno dei pensatori analizzati rivela sempre una certa ambiguità di fondo, sarebbe sbagliato ridurli completamente al paradigma astratto del binomio. Ed è proprio questa irriducibilità di fondo degli autori all’astrattezza del binomio a esprimere con forza la necessità di una seconda parte del libro, dedicata al concreto: il quarto capitolo. Quest’ultimo, tutto concentrato sul pensiero di Maurice Merleau-Ponty e di autori a lui vicini teoreticamente, è la parte dove Missiroli fa emergere la sua nuova idea di Antropocene. L’ipotesi fondamentale di questo capitolo è che in quel panorama francese degli anni Trenta emerga sia la forma più radicale del binomio in questione, sia una posizione che scarta da essa, che è appunto quella di Merleau-Ponty. Nel suo percorso complessivo si dispiega quella che Missiroli definisce una “antropologia dell’espressione”, irriducibile al binomio di cui sopra. Irriducibilità che non è però da rinvenire in un generico rifiuto del problema del negativo o nella proposta di un naturalismo radicale o di un immanentismo assoluto: al contrario, l’operazione che Merleau-Ponty compie, in rottura con il paradigma umanistico-negativo tipico degli anni Trenta francesi, consiste proprio nel cambiare posto al negativo. Citando Missiroli, «nel portarlo cioè all’incrocio tra il corpo e il mondo, rendendo quest’ultimo, per definizione, inappropriabile» (p. 31). È in questo senso che Missiroli può parlare di un’antropologia dell’espressione autenticamente ecologica. L’ipotesi che questo libro riesce a dimostrare è che solo dalla disarticolazione del binomio umano-negativo – resa possibile, appunto, dalla disarticolazione orientata dell’opera merleau-pontyana – può sorgere un discorso ecologico sull’Antropocene.
Ad emergere, in conclusione, è che non per forza bisogna pensare l’Antropocene come l’epoca dell’umanizzazione totale della natura, dell’homo deus, per citare il bestseller[5] di Yuval Noah Harari. L’Antropocene può essere anche l’esito dell’interazione tra un Sistema Terra fortemente attivo e l’attività umana nella sua modalità più diffusa, secondo cioè il modo di produzione capitalistico. Di questo, il Marx del Capitale ma soprattutto Engels erano consapevoli, come sottolinea Missiroli. È in effetti possibile, quindi, un altro Antropocene, diverso rispetto a quello con cui siamo abituati a confrontarci. Ma che posto spetta all’uomo? Chi è il soggetto di questo diverso Antropocene? Dov’è? «Pare quasi che, per fare politica, per creare il conflitto, si debba “dimenticare” l’ecologia» (p. 310). Difficile, su questo, non essere d’accordo con Missiroli. Le stesse manifestazioni di Parigi di quest’anno sembrano esserne una prova. Non che non vi siano rivendicazioni ecologiche, sull’ abitare, per citare Augustin Berque; ma non è forse vero che queste sono emerse solo in un secondo momento? Una lotta ecologica per essere anche politica ha certamente bisogno di un soggetto. E tuttavia è possibile che già ci sia; o almeno questa è la grande ipotesi di Missiroli. Qual è la differenza tra un povero e un ricco se non il diverso modo di abitare? Con questa domanda si chiude Il posto del negativo; punto di inizio, forse, per una vera ecologia politica e un nuovo Antropocene.
[1] Paolo Missiroli, Teoria critica dell’Antropocene. Vivere dopo la terra, vivere nella terra, Mimesis, Milano-Udine 2022. Per una introduzione a questo testo si rimanda alla recensione di chi scrive: Giulio Pennacchioni, “Teoria critica dell’Antropocene” di Paolo Missiroli, «pandorarivista.it», 19 luglio 2022.
[2] Per un chiarimento sul senso in cui questa espressione va intesa, si rimanda sempre a Paolo Missiroli, Teoria critica dell’Antropocene, op. cit., pp. 31-32.
[3] Per un approfondimento a proposito dei “precursori” della collassologia, cfr. Joseph A. Tainter, The Collapse of Complex societies, Cambridge University Press, Cambridge 1988; Jared Diamond, Armi, acciaio, malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi, Torino 1997 / 2014; Id., Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino 2005 / 2014. Per un approfondimento più attuale sulle ricerche intorno alla collassologia, cfr. Renaud Garcia, La collapsologie ou l’écologie mutilée, L’Echappée, Parigi 2020.
[4] Cfr. Bruno Latour, Nous n’avons jamais été modernes, La Dècouverte, Paris 1991, tr.it. Non siamo mai stati moderni, Elèuthera, Milano 1995 / 2018.
[5] Yuval Noah Harari, Homo deus. Breve storia del futuro, Bompiani, Milano 2018.