Scritto da Nicola Dimitri
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In L’Europa matura (Linkiesta Books 2024 – Prefazione di Donato Bendicenti), Nicoletta Pirozzi racconta le sfide poste all’Europa dalle più recenti crisi globali, focalizzando inoltre l’attenzione su alcune possibili strategie che l’Unione Europea dovrebbe perseguire per consolidare nel prossimo futuro il suo peso politico. In questa intervista vengono delineati alcuni dei temi al centro del volume.
Nicoletta Pirozzi dirige il programma sull’Unione Europea dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma ed è membro del Comitato scientifico della Foundation for European Progressive Studies (FEPS) di Bruxelles. Ha lavorato presso l’Università degli Studi “Roma Tre”, l’European Union Institute for Security Studies (EU ISS) di Parigi e il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) a Bruxelles.
Nel libro ampio spazio è dedicato al momento pandemico. Ebbene, a distanza di quattro anni dalla prima “ondata” dell’emergenza sanitaria è forse ora possibile stilare dei bilanci. L’Unione Europea ne è uscita più forte o più indebolita?
Nicoletta Pirozzi: La drammatica esperienza legata alla diffusione del Covid-19 ha sicuramente segnato nel profondo l’Unione Europea, rappresentando un momento cruciale per la tenuta del suo assetto politico-istituzionale. Nel momento iniziale, coincidente con lo scatenarsi della prima ondata pandemica, in Europa hanno prevalso le forze centrifughe: quando l’entità e la portata della minaccia erano ancora poco chiare si è assistito alla corsa dei singoli Stati membri a chiudere i canali di collaborazione, al fine di tutelare i propri interessi e la propria sovranità. Tuttavia, superato questo iniziale momento di difficoltà, si è assistito a una inversione di rotta. Hanno infatti prevalso le forze centripete: l’impegno profuso dalle istituzioni europee ha permesso di affermare una strategia comune tra i vari Stati membri, attuando in poco tempo inediti meccanismi di solidarietà sovranazionale con l’intento di contrastare l’impatto socioeconomico del Covid-19. L’esperienza della pandemia ha perciò permesso di mettere in evidenza l’importanza dell’Unione Europea. È stata l’occasione (per quanto negativa e nefasta) per rinforzare l’idem sentire europeo e dimostrare che l’Unione in momenti di “crisi esistenziale” riesce ad arrivare dove gli Stati membri, da soli, non riescono. L’acquisto congiunto di vaccini a livello europeo, l’articolazione del NextGenerationEU, tra le altre misure, non solo hanno concretamente favorito la gestione del picco pandemico e della ripresa post-emergenza, ma hanno rappresentato anche delle politiche rilevanti dal punto di vista simbolico. La risposta congiunta per affrontare le avversità legate alla pandemia ha confermato che l’essenza dell’Unione Europea non si risolve soltanto, come tenta di suggerire una certa narrativa anti-europeista, in apparati burocratici elitari e lontani dai cittadini, ma si manifesta concretamente nella vita di tutti i giorni, dando vita a progetti capaci di fare la differenza per il benessere del tessuto sociale.
Come si evince molto chiaramente dal libro, tra Unione Europea e il concetto di “crisi” corre un rapporto, si direbbe, viscerale. Inalienabile. Ogni crisi che nel tempo ha attraversato l’Europa ha favorito, direttamente o indirettamente, il lento, e ancora incompiuto, processo di integrazione. Quali sono oggi le crisi che l’Unione Europea è chiamata a fronteggiare e in che misura il conflitto in Ucraina contribuisce ad alimentare questo paradigma?
Nicoletta Pirozzi: Come ci insegna Jean Monnet l’idea dell’Europa che progredisce è legata alle crisi che è chiamata ad affrontare, poiché proprio le soluzioni adottate per superarle permettono di proseguire nel percorso di integrazione. Tuttavia, se è vero che il concetto di crisi è connaturato all’essenza stessa dell’Unione Europea, oggi il contesto è cambiato e non permette più di riferirsi a questo termine al singolare. Non esiste più “la crisi”, ma, al contrario, in Europa esistono crisi plurime. Non a caso, nel libro, per riferirmi alla condizione di cronica difficoltà che caratterizza l’Unione utilizzo il noto concetto di “policrisi”. A mio avviso, si tratta di un termine particolarmente adatto per spiegare l’attuale momento storico. L’Europa non si trova più, come invece è spesso accaduto in passato, a dover affrontare minacce o emergenze provenienti da un’unica fonte. Ora le crisi sono multiple e contemporanee, e spesso sono legate tra loro. Il concetto di crisi, intesa come singola emergenza che di volta in volta si manifesta in Europa, è perciò, per certi versi, superato. La congiuntura internazionale porta la nostra realtà a doversi confrontare con uno scenario costellato di “criticità”. È dunque importante, a mio avviso, prendere consapevolezza di questa circostanza per dotarsi di politiche e strumenti atti non soltanto a “sopravvivere” (dunque a gestire nell’immediato il momento di difficoltà), ma anche a progredire. Nel libro, partendo da questa premessa, mi soffermo sulle crisi principali che hanno attraversato e attraversano l’Unione Europea, dunque la pandemia, la Brexit, il fenomeno migratorio, il cambiamento climatico. Particolare attenzione dedico, inoltre, alle crisi di ordine politico-sociale legate al conflitto in Ucraina. La guerra che si sta consumando sul territorio ucraino rappresenta infatti una sfida fondamentale per l’Unione, potenzialmente idonea a mettere in discussione (in crisi) la sicurezza dei cittadini europei e la posizione dell’Unione nello scacchiere internazionale. A tal riguardo, nell’ottica di comprendere il fenomeno bellico in corso e individuare le soluzioni migliori per gestire questa congiuntura dal punto di vista europeo, credo che l’Unione, come del resto è riuscita sinora a fare, debba continuare a promuovere una strategia politico-istituzionale unitaria e strutturata. Protesa a difendere i valori della democrazia, in questo momento contrapposti alle mire di un sistema politico autocratico. In questo senso, al netto di tutte le polemiche emerse attorno alla questione del supporto militare all’Ucraina, ritengo sia fondamentale dare sostegno pieno al governo ucraino. Nella situazione in cui ci troviamo, perseguire la pace duratura significa mettere a disposizione dell’Ucraina tutte le misure necessarie per conseguirla, tra cui anche gli armamenti. La Russia non ha l’obiettivo di conquiste territoriali limitate. E neppure intende promuovere una guerra chirurgica come si pensava all’inizio. Piuttosto, la Russia ha l’obiettivo ormai palese di ridurre l’Ucraina a uno Stato vassallo (nella migliore delle ipotesi) e di lanciare una minaccia diretta alla sicurezza europea. L’Unione ha reagito alla guerra di aggressione russa con molti strumenti, ma sicuramente, a mio avviso, la decisione politica fondamentale è stata quella di aprire le porte all’Ucraina come potenziale membro dell’Unione. Questa prospettiva, del resto, tiene conto di un desiderio dichiarato del popolo ucraino, che in più di un’occasione ha chiesto all’Unione Europea di entrare a far parte della sua famiglia.
A proposito di gestione dell’emergenza pandemica, è pressoché condivisa la percezione che la Germania abbia svolto, grazie soprattutto alla figura carismatica e politicamente accreditata di Angela Merkel, un ruolo cruciale in particolare nei negoziati per il NextGenerationEU. Questa circostanza, per certi versi, non stupisce. La Germania è stata, non senza polemiche, a lungo considerata il Paese più influente dell’Unione Europea. Ebbene, cosa è cambiato in Europa ora che la Merkel è uscita di scena? Quali sono, oggi, gli Stati che stanno ridisegnando gli equilibri politici dell’Unione?
Nicoletta Pirozzi: L’epoca merkeliana è stata significativa per l’Europa, nel bene e nel male. Quanto alle conseguenze negative di quella stagione, basti solo pensare alla scelta di legarsi “mani e piedi” alla Russia di Putin, soprattutto dal punto di vista energetico. Tuttavia, appunto, sono numerosi i meriti di Angela Merkel. In particolare, questo è vero in termini di stabilità politica dell’Unione Europea. Se guardiamo al passato recente, nel delicato frangente della pandemia l’Europa è riuscita a rimanere unita anche grazie al peso politico della Cancelliera: è anche per Merkel che si è riusciti ad attuare per la prima volta lo strumento del debito comune e a rompere, sempre nel momento pandemico, le resistenze dei cosiddetti “Paesi frugali”, per dare avvio a un’inedita strategia comune di gestione dell’emergenza, attuando nuove forme di solidarietà economico-finanziaria. Ma non è tutto. Merkel, e quindi la Germania, ha giocato un ruolo cruciale anche nella gestione dei rapporti con l’Ungheria e la Polonia, spesso rivelatesi refrattari nel rispettare le politiche e i valori dell’Unione. Si prenda a riferimento, ad esempio, la questione di non poco conto del rispetto dello Stato di diritto. Adesso però le cose sono cambiate. La Germania è in una situazione diversa da quando Merkel ha detto addio al cancellierato e, conseguentemente, anche l’Europa si trova in un contesto profondamente mutato. Complice il conflitto in atto alle porte dell’Unione, la guerra in Ucraina, in Europa si sono ridisegnati gli equilibri, e queste ultime elezioni europee sono intervenute per cambiarli ancora più in profondità. In particolare, mi riferisco al ruolo crescente che hanno assunto i Paesi dell’Europa centro-orientale e del Nord: quindi i Paesi baltici, e quei Paesi che, come la Polonia, si sono trovati in prima linea nella risposta alla guerra e che ora, per via del ruolo strategico che rivestono, rivendicano un peso politico più importante a Bruxelles. Con l’addio di Merkel alla politica tedesca ed europea a essere cambiato, inoltre, è il rapporto con la Francia. Il motore franco-tedesco che ha certamente dettato la linea dei più recenti orientamenti politici in Europa, ora un po’ barcolla. Certamente, si tratta di un asse che ancora incide in Europa, soprattutto in materia di politica estera e in punto di questioni economiche, ma sicuramente ha perduto quella funzione trainante che abbiamo visto negli anni precedenti. In buona sostanza, in Europa (come dimostrano, tra l’altro, le recenti elezioni del Parlamento Europeo) è in corso un processo di riscrittura degli equilibri interni e questo processo si inscrive in una più ampia fase di messa in discussione del ruolo rivestito dall’Unione Europea nel contesto internazionale. Ebbene, nell’ambito di questo ampio processo di riscrittura degli equilibri e dei poteri, ovviamente, si creano dei vuoti o, in base ai punti di vista, delle opportunità. Non è un caso se, in quest’ultimo periodo, l’Ungheria di Viktor Orbán sta provando a ritagliarsi un ruolo ben più ampio rispetto al passato. Tuttavia, questa circostanza potrebbe essere o, meglio, senz’altro è, problematica. Si tratta, infatti, di uno Stato membro che ha scelto apertamente di percorrere una strada che politicamente diverge, se non addirittura si contrappone, rispetto ad alcuni elementi cardine della costruzione europea. E mi riferisco soprattutto al mancato rispetto dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali, che sono poi i valori contenuti all’interno dei trattati. I pilastri su cui abbiamo costruito tutta l’architettura europea. Orbán deroga a questi principi in maniera molto palese, con la conseguenza di creare, da una parte, attriti interni tra gli Stati membri, spesso chiamati (non senza difficoltà) a introdurre delle risposte idonee a contrastare questo tipo di condotte. Dall’altra, imbarazzi esterni. La Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea ricoperta da Orbán nel secondo semestre del 2024, alla luce delle sue discusse e non condivise posizioni, proietta a livello internazionale un’immagine di un’Europa fragile, non coesa, o che comunque tollera al suo interno una politica di doppi standard. Non è di poco conto il fatto che Orbán, da quando ha preso in mano la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, ha intrapreso iniziative diplomatiche autonome che hanno dato vita a numerose polemiche: si pensi alle sue “missioni di pace” in Cina o in Russia. Ebbene, in questo momento di profondi cambiamenti, con una Germania più debole, non possiamo permetterci di alimentare confusione e disordini, non solo dal punto di vista politico, ma anche di immagine, con i nostri interlocutori internazionali. Come in buona parte argomento nel libro, ritengo che sia arrivato il momento di dare nuova organizzazione agli equilibri in Europa. A partire, ad esempio, dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea che permette di privare di alcuni diritti gli Stati membri che non rispettano i valori fondamentali dell’Unione, e consente di utilizzare in maniera più incisiva lo strumento del budget e il meccanismo della condizionalità. A partire dal rispetto unanime delle regole fondamentali su cui si regge l’Unione Europea è possibile garantire la convivenza tra Stati diversi. Altrimenti il rischio di una frattura interna è molto alto.
Nella parte conclusiva de L’Europa matura si affrontano questioni cruciali per il futuro dell’Unione Europea, quali multilateralismo, sicurezza globale, integrazione differenziata. Dal punto di vista interno ed esterno, quali sono le strategie politico-istituzionali che l’Unione dovrebbe seguire per risultare (citando il libro) «un attore credibile nel nuovo “disordine” internazionale»?
Nicoletta Pirozzi: La relazione transatlantica, come argomento diffusamente nel libro, è in un certo senso il pilastro su cui, soprattutto oggi, si fonda l’azione internazionale dell’Unione Europea. Si tratta di una rete da cui non si può prescindere per tutta una serie di ragioni, una delle quali è emersa chiaramente con il conflitto in corso: il sostegno americano, in particolare nell’ambito del settore militare e della difesa, è fondamentale per assicurare la sicurezza europea. Questo è particolarmente vero quando si tratta di affrontare sfide con player molto competitivi o ben più strutturati e grandi dell’Unione Europea, come la Russia o la Cina appunto. Nel libro sottolineo che una maggiore convergenza tra Unione Europea e Stati Uniti sarebbe di mutuo beneficio. Tuttavia, anche in considerazione del fatto che davanti a noi ora ci sono le elezioni di novembre, anche questo ambito si colora di incertezza. Nel caso di una seconda amministrazione Trump, ad esempio, la saldatura della relazione transatlantica potrebbe entrare in crisi o comunque potrebbe dover essere ricalibrata, alla luce della nuova postura che la politica americana prenderebbe. Per questa ragione l’Unione Europea dovrebbe perseguire un doppio binario: per un verso, ritengo necessario approfondire il rapporto con gli Stati Uniti dal punto di vista politico, per un altro, credo che l’Unione dovrebbe lavorare per riuscire ad affermarsi anche come attore autenticamente autonomo e strategicamente rilevante, in grado di gestire efficacemente i suoi interessi. L’Unione quindi si trova nella difficile posizione di dover bilanciare bene le proprie priorità. A tal riguardo, e nell’ambito di questo discorso, come suggerisco nel libro, l’Unione deve riuscire dal punto di vista interno (per non fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro) a fare un “salto di qualità”. Altrimenti detto, l’Unione deve favorire la creazione di un sistema partitico realmente europeo, con elezioni sovranazionali, deve impegnarsi per raggiungere una maggiore condivisione della sovranità tra gli Stati, deve infine allargare lo spettro delle sue competenze. Mi riferisco, in particolare, al settore della salute, a quelli fiscale, sociale e della difesa. Evidentemente si tratta di una proposta che sottende un processo importante di modifica dei ruoli degli Stati e dei poteri delle istituzioni europee, ma tenuto conto del delicato momento storico credo sia giusto premere l’acceleratore in tale direzione. Proprio per questo motivo, non ritengo sbagliata l’idea di promuovere meccanismi di cooperazione o di integrazione differenziata all’interno dell’Unione Europea, dando la possibilità anche solo a un gruppo ristretto di Stati membri di andare avanti nell’integrazione in alcuni settori, e lasciando le porte aperte a chi potrà e vorrà unirsi in un secondo momento.