“La Passione secondo Maria” di Massimo Cacciari
- 23 Dicembre 2024

“La Passione secondo Maria” di Massimo Cacciari

Recensione a: Massimo Cacciari, La Passione secondo Maria, il Mulino, Bologna 2024, pp. 136, 15 euro (scheda libro)

Scritto da Alessandro Aresu

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In uno degli incontri sul libro che nel 2017 ha aperto la collana de il Mulino “Icone” da lui architettata, Generare Dio, Massimo Cacciari ha affermato: «Apposta ho lasciato fuori la Madonna del Parto. È qualcosa di troppo grande. Ha bisogno di un discorso a sé».

Generare Dio è incentrato sulla figura della Madonna, attraverso lo stretto rapporto tra discorso filosofico e analisi di opere d’arte[1]. Già in quel testo, l’autore parte da un’iconografia apparentemente familiare e semplice, ben presente nella tradizione occidentale, ma allo stesso tempo carica di significati profondi che invitano a una continua interpretazione.

C’è una Madonna dei filosofi[2], o meglio del filosofo Cacciari, che intende recuperare questa figura cruciale della teologia, dell’iconografia e della devozione occidentale anche all’interno di una dimensione filosofica. Cacciari con quest’operazione si pone oltre una tradizione che, perfino nei vertici del pensiero dell’idealismo con Hegel e Schelling, dentro il discorso filosofico-teologico sull’economia divina non considera la figura di Maria e la questione di Maria, se non in termini secondari.

Secondo Cacciari, invece, la maternità di Maria è essenziale per comprendere la stessa incarnazione divina. Per rendere reale l’incarnazione, per conoscerne la concretezza, per far sì che il verbo si faccia pienamente carne, è necessario pensare a un grembo materno in Dio, altrimenti l’incarnazione si ridurrebbe a una mera rappresentazione gnostica. C’è una logica della generazione. Secondo Cacciari, appunto, la filosofia non ha sempre dato il giusto peso a questo aspetto nel confronto costante con la teologia. Non ha affrontato fino in fondo la «grande figura della Vergine, decisiva per la storia di Europa o Cristianità»[3]. Mentre l’arte, attraverso le immagini, ci pone davanti sempre la centralità della figura femminile, della madre, nella generazione del divino. In particolare, ciò avviene per quella stagione artistica italiana dove le opere – che siano scritte attraverso la pittura o attraverso la stampa – si intrecciano e si parlano costantemente: quell’umanesimo che è un filone di lungo corso della ricerca di Cacciari. Una filosofia attraverso le immagini e dentro le immagini.

Le immagini che Cacciari esamina sono simboli: perfettamente comprensibili e allo stesso tempo interroganti. Un mistero che appare, secondo la traccia di Goethe che lo stesso Cacciari cita spesso. Così si svolge l’indagine delle opere in Generare Dio, tra Mantegna, Bellini, Van der Weyden, Michelangelo e le diverse rappresentazioni della Pietà, nonché la riflessione sull’iconografia occidentale e orientale in cui la Madre tiene il bambino guancia a guancia. In questi simboli subito evidenti, affiorano gli altri significati, come avviene per la stessa vita di Cristo nella rappresentazione del bambino, tra cui il presagio della fine, della morte di Gesù, in una prossimità tra la nascita e la morte incarnata dal dolore di Maria della deposizione che riprende il travaglio del parto. Nei simboli, va considerato anche il tema dell’età della Madonna: più giovane del figlio, della stessa età o più vecchia. Questo legame tra le età, questo pensiero delle età della donna e dell’uomo, tornerà ne La Passione di Maria.

E La Passione di Maria è proprio quel «discorso a sé» preannunciato da Cacciari nelle sue conferenze e discussioni, che ruota attorno all’opera di Piero della Francesca, la Madonna del Parto conservata a Monterchi. L’opera rappresenta la Vergine Maria incinta, ritratta in piedi, con il ventre prominente dell’avanzata gravidanza, evidenziato dall’abito azzurro che si apre su una sottoveste bianca. La Madonna è posizionata al centro di un padiglione regale, le cui tende sono sorrette da due angeli che si trovano a terra, vestiti di verde e di rosso, sovrastati dalla Vergine.

«Qualcosa di troppo grande». In una presentazione dell’ultimo libro a Brescia, dopo averne esposto le tracce principali, Cacciari ha parlato della Madonna di Monterchi con una battuta: «L’ho vista secoli fa, e me ne sono un po’ innamorato». La vicenda di questa visione può essere facilmente intrecciata con gli spostamenti dell’opera e col suo legame intimo e sanguigno con la comunità di Monterchi, il piccolo comune dell’alta Valtiberina da dove proveniva la madre di Piero.

Così, in un giorno imprecisato del Novecento (di certo ben prima degli anni Novanta), lei, la Madonna del Parto se ne sta appoggiata dentro la Cappella di Momentana nel cimitero di Monterchi. Quel giorno, Cacciari va a recuperare un guardiano tra i campi e gli chiede di aprire la porta per vederla. Come per ogni visitatore che guarda la Madonna, si apre allora un sipario. Un doppio sipario. Il sipario di quel piccolo mondo, il mondo di un paesello di un’Italia che era stata il mondo, secoli fa, mentre lo stesso Piero pensava, dipingeva, teorizzava. Come altri ma in un modo distintivo, così fortemente suo, nel suo pensiero per immagini sentiva le doglie della sua epoca e le sue rivelazioni. Si squarcia il velo del tempo e dello spazio ed eccola lì, la Madonna del Parto col sipario presente nella stessa opera. Cacciari pensa quasi di portarsela via, tanto non c’è nessuno, se non il guardiano e il suo potere delle chiavi, o il suo fardello. In realtà, non c’è alcun bisogno di portarsi a casa l’opera, perché quel volto della Madonna rimane con chi l’ha visto, quel volto continua a guardarlo. Di certo, quel volto guarda Cacciari, nel suo itinerario filosofico. Come lo guarda un altro volto di Piero della Francesca, quello del Cristo risorto di Sansepolcro.

Il risorto di Sansepolcro “flagella” i dialoghi sulla Trinità e l’Età del Figlio in Dell’Inizio[4]. Sempre lui, sempre quel volto, è l’icona dell’Oltreuomo nella ricerca sull’Europa di Cacciari[5]: nessuno può rappresentare, dipingere l’idea di Oltreuomo, eppure Piero della Francesca è in grado di scriverla. E “la vera immagine” della Passione si trova a Sansepolcro. La risurrezione irrompe, il ritorno avviene, con le ferite che hanno tutto il loro peso proprio perché non sono espressioniste. Il volto, così potente e penetrante, ci guarda e là attorno sono tutti appisolati. Non gliene importa niente a nessuno, la potenza del suo volto non ha avuto nessun effetto su di loro, e quella scena restituisce un fardello più profondo di ogni ferita. Gesù, scrive Cacciari, «deve riapparire del fondo del sepolcro per provare tutto il peso di non essere accolto, di non poter essere compreso. Quest’altro itinerario mancava a quello che porta alla Croce: essere testimone, martire a nessuno»[6]. Come si può facilmente intuire, questa ricerca dentro e attraverso i volti di Piero della Francesca accompagna così il pensiero di Cacciari tra filosofia-scienza e teologia, dalle opere degli anni Ottanta come Icone della Legge – per l’importanza del numero in quell’opera – fino a oggi. È un pensiero, un laboratorio che possiamo leggere anche attraverso questa chiave. Indagini su Piero[7], ma in una prospettiva pienamente filosofica.

Nel percorso che congiunge Generare Dio e La Passione di Maria, la Madonna è essenziale nel piano divino, nel pleroma divino, e non relegabile al ruolo di semplice strumento dell’incarnazione. Lei genera Dio, e allo stesso tempo il suo ruolo eccede la generazione, culminando nella creazione libera di un nuovo evo, di una nuova età. La nostra età, che in questo caso è costruita non tanto dalle parole dure dei Vangeli quanto dalle tracce profonde delle immagini.

L’immagine della Madonna del Parto irrompe con la sua bellezza, alla quale «nessuna riproduzione è in grado di rendere giustizia»[8], come scrive il regista Andrej Tarkovskij nel 1979 dopo averla filmata. L’immagine fa da sé giustizia, è la propria giustizia. Non è una semplice rappresentazione, bensì una verità concreta. Secondo Cacciari, la Madonna del Parto parla e dice: «Io sono la verità». La verità è «l’essenza divina del reale stesso» (p. 12). La verità si offre con l’apertura di un sipario. «Si toglie il velo e vediamo» (p. 15). Vediamo ciò che esiste: una donna concreta, reale, che aspetta un bambino. Una donna che espone un mistero immediato, «cosmo del cosmo» (p. 19). Maria incarna il «manifesto enigma» (p. 14) di Goethe. Nell’immediatezza dell’immagine c’è tutto, eppure in quell’immagine tutto ancora può essere compreso e ricercato, come in una fonte inesauribile. L’immagine, che sta lì compiuta, definita, e ci guarda imperturbabile, ci obbliga dunque a questo continuo “lavoro dello spirito” per dare significato a ciò che è compiuto e continuamente vitale. Il significato dell’opera ci nutre, così come la madre ci nutre, e non può smettere di nutrirci. Ci avviciniamo sempre all’immagine che ci sta davanti.

Questa logica dell’interpretazione non è un gioco fine a sé, proprio perché si tratta di “cosmo del cosmo”; tutto è fondato su un ordine che l’immagine rappresenta e a cui l’immagine corrisponde. La Madonna del Parto è reale, è verità in quanto realtà, proprio poiché costruita secondo proporzioni matematiche e geometriche, pilastri che ne garantiscono l’immutabilità, la verità. Tali proporzioni sono espressione dell’armonia cosmica, del logos, e lo incarnano, lo rendono carne. La Madonna di Monterchi contiene ed esprime il pensiero dell’età europea e cristiana ma anche della sua epoca specifica, del mondo in cui viene alla luce. Un mondo di doglie apocalittiche, come testimonierà poi soprattutto la Flagellazione. Nel pensiero dell’immagine di Monterchi, c’è un concetto “nato in Platonia”: le letture umanistiche del Timeo, la centralità dell’opera tenuta in mano da Platone nella Scuola di Atene, per rappresentare la concezione platonica (e ancor prima pitagorica) del numero come essenza della realtà, immutabile e necessaria, e non solo come strumento pratico.

Piero della Francesca è un teorico della prospettiva, un matematico e un artista: nella stessa persona ma anche dentro e attraverso le stesse opere. La sua prospettiva – la sua filosofia – è, nell’immediato, una semplice e ordinata rappresentazione geometrica. Nell’itinerario del simbolo, è una forma simbolica che esprime la potenza della mente. La prospettiva non è solo un modo per aprire una finestra sulla realtà e rappresentare le cose secondo rapporti e ragioni, ma è un modo per illuminare e ordinare la scena, svelando ciò che l’occhio naturale non coglie. La prospettiva è una penetrazione che indaga il mistero. Mai in modo confuso ma sempre secondo misure e ragioni rigorose, perché è attraverso la forma che si può indicare la sostanza del reale. L’assoluto rigore e l’astrazione stanno insieme, mentre i volti ci fissano e ci indicano una “via” tra le ombre, la via che ci guarda e ci porta alla nostra essenza, alla ricerca del nostro volto tra le ombre in cui siamo gettati.

Questa ricerca può avvenire solo attraverso un criterio di precisione e proporzione: la divina prospettiva che assume una dimensione spirituale, fondata su un accurato armamentario scientifico e tecnico. Non a caso Pavel Florenskij deve “lottare” con la prospettiva per giustificare la piena dignità intellettuale dell’approccio della “sua” arte, la prospettiva rovesciata[9]. A costruire il metodo delle opere di Piero della Francesca vi sono le sue stesse competenze matematiche e geometriche, in opere come il Trattato d’abaco, il De prospectiva pingendi e il Libellus de quinque corporibus regularibus, che testimoniano il suo impegno tecnico. E c’è una dimensione profonda secondo cui in quel tempo «l’Italia, o più precisamente Firenze, è anche la culla della ragioneria»[10], per citare Sombart. Cacciari invita a leggere, a vedere la Madonna del Parto accanto alle opere del frate Luca Pacioli, grande sistematizzatore del sapere del tempo di Piero, in una concezione della matematica come scientia da applicare a ogni aspetto dell’umano che si vuole fondato su criteri di verità. Questi saperi comprendono anche aspetti di “gioco”, come nelle partite di scacchi nel De ludo schachorum. Perfino nel gioco, come in tante fasi della nostra cultura, c’è l’attenzione per un calcolo ben fondato, realizzato su numeri e illustrato, come nelle celebri illustrazioni di Leonardo da Vinci presenti nel De Divina Proportione (1509). Guardando La Madonna del Parto, possiamo allora sentire anche Luca Pacioli che nel 1508 tiene una prolusione a Venezia[11] nella chiesa di San Bartolomeo di Rialto sull’epoca della prospettiva come diffusione delle “verissime matematiche” che consentono di vedere realmente, di vedere in verità. I trattati di Piero e Pacioli contribuiscono a rendere i solidi platonici artefatti matematici di spicco, utilizzati nella prospettiva e diffusi nella cultura rinascimentale. Questo è l’inizio della tradizione dei “poliedristi”, per riprendere la ricerca di Noam Andrews[12], il cui libro recente ha nella copertina il dettaglio del dodecaedro del celebre ritratto di Luca Pacioli conservato al Museo di Capodimonte a Napoli. La pratica di disegnare i poliedri, come si vede nei lavori di artisti come Leonardo, Parmigianino, Dürer e Carpaccio, sottolinea la crescente importanza della conoscenza geometrica come soggetto artistico. La visualizzazione, la logica del vedere la realtà di Pacioli, diviene fondamentale per la comprensione e la trasmissione della matematica. La richiesta di libri che trattavano di curiosità geometriche aumenta in quei decenni, portando alla creazione di taccuini privati che documentano l’attività di copia, essenziale per la diffusione della conoscenza dei poliedri. Andrews si sofferma sulla circolazione dei Lehrbücher (testi pratici), pieni di solidi elementari, che sottolineano l’importanza della visualizzazione e della manipolazione fisica dei solidi per l’apprendimento della geometria.

La Madonna del Parto è costruita su proporzioni geometriche, dove i solidi creano un’armonia complessiva. Maria è il centro da cui si dipanano queste forme geometriche. All’interno del grande cerchio è iscritto in prospettiva un dodecaedro regolare (poliedro con dodici facce di pentagoni regolari): non a caso, la figura che sta tracciando Pacioli nel quadro conservato al Museo di Capodimonte (p. 20), incarnazione della combinazione tra i quattro elementi e la triade. Così, l’opera così costruita matematicamente è il “cosmo del cosmo”, l’ordine dove le distanze tra gli elementi della composizione sono colmate dalle misure, da un logos armonico. Il verbo si fa carne dentro questa composizione, rivelandosi dentro il sipario. L’epoca umanistica risiede dentro il sipario matematico, nella razionalità del numero. Nella Madonna del Parto non sono i «numeri del mercante» (p. 18) ma il sapere dei numeri fonda la stessa razionalità contabile e il calcolo mercantile, perché sancisce una verità ripetibile e calcolabile. Senza il tempo e lo spazio dei solidi, non ci sono nemmeno il tempo e lo spazio del mercante, perché non potremmo più calcolare secondo criteri di verità e il nostro gioco di domanda e offerta sprofonderebbe nella confusione, nell’incomprensione.

L’occhio dell’epoca di Piero è «inquieto»[13] nella penetrazione della realtà e, con essa, di sé. Se si toglie il velo, ciò che si vede e si sente non è solo l’ordine geometrico. Nel cosmo irrompe la Passione. Senza questa ferita, l’ordine sarebbe incompleto. Cacciari sottolinea come la figura di Maria, pur essendo costruita secondo criteri matematici, non perda in alcun modo la sua dimensione umana e invece la rivendichi con ancor più potenza. Potenza della passione. Non sono solo tracce di umanità (dubbi, incertezze, presagi) ma pienezza dell’umanità, in un sapere specifico: il sapere della passione. La sofferenza di Maria è sempre presente, anche nella Madonna del Parto, certo, ma non in modo sentimentale o idealizzato. La sua capacità di elevare il dolore, di dominarlo, è un tratto distintivo. Cacciari – come in Generare Dio – lega il parto della Madonna alla sua sofferenza sotto la croce quando comprende la sua maternità. Com’è noto, nella Madonna del Parto c’è questa forma, che nella logica del simbolo ci colpisce immediatamente per la sua centralità, e per la sua semplice potenza. È l’indicazione con la mano di Maria dell’eccedenza rispetto al suo vestito, il segno della gravidanza ormai quasi a termine. Il nuovo corpo, il corpo del figlio è così un taglio, una ferita (p. 26). Il sapere della donna contiene e conosce il punto in cui deve uscire la vita. Questo è ciò che lei ha visto e ha vissuto: il bambino che è il centro della composizione e il centro del mondo.

Certo, la dimensione umana può essere colta anche sotto il profilo storico e sociale. Così come Gesù Cristo è nato, cresciuto, crocifisso sotto Ponzio Pilato, è nella storicità, anche Maria non può essere semplicemente la Donna, ma è quella donna nello specifico, che sta in un contesto storico e che per questo continua a parlare. L’arte occidentale – l’arte italiana, anzitutto – nel parlare alle comunità dei credenti, nel rivolgersi alla gente di Monterchi e degli altri paeselli dove le persone vogliono vedere e vivere la fede nella semplicità e profondità delle loro vite, salva questa presenza, la impone come storicità. Così la sofferenza di Maria echeggia quella delle altre persone e delle altre madri, come ha detto una volta Enzo Bianchi, “curvate” dalla vita, dalle sue ferite, che si ritrovano in lei. Che guardano la sua ferita e vedono in lei molto più di uno specchio. Anche in questo senso, quella della Madonna del Parto è una maestà. Di che cosa è “signora”? Signora del patire, del sapere fondamentale relativo all’esistenza umana. Il sapere della ferita, del taglio. Il sapere della passione che viene dal rapporto indissolubile tra madre e figlio, e dal fatto che viene spezzato: sentire l’abbandono. La veste della Madonna «funge da panno funebre» (p. 104) quando la madre sorregge il figlio nella Pietà di Michelangelo a San Pietro. Se ci facciamo caso, vediamo quanto il figlio morto sia piccolo rispetto alla madre, che è “maestosa” rispetto a lui, come nel compimento di una Madonna con bambino.

Dalla Madonna del Parto alle altre opere, il libro di Cacciari è ricco di molti altri riferimenti, che aiutano a comprendere con grande profondità la Passione. Ritornano in vari momenti le differenze tra l’arte orientale e occidentale e c’è una specifica riflessione sul ruolo “secondario” del Padre nel pensiero per immagini, il problema di quel “vecchio con la barba” che da ultimo non sappiamo rappresentare in modo convincente, come dice una volta Cacciari in modo tranchant in una conferenza.

Altre immagini della Madonna sono illustrate e pensate nella Passione di Maria, fino alla chiusura con Lucio Fontana (p. 130). Sono pensate insieme ad altre età del figlio, rispetto a quel taglio che le contiene tutte: per esempio, la sposa di Cristo, l’iconografia di Maria nelle nozze divine. Nel nesso tra annunciazione e deposizione, c’è anche l’invecchiamento di Maria, la madre che porta il peso degli anni. La Maria “rugosa”, che vive nel suo corpo le varie età umane. Noi siamo uomini perché siamo propriamente gettati in queste età, non incarnati solo in quella che accade temporaneamente. La passione della nostra vita è la relazione tra le età in cui abbiamo vissuto, quelle che ci attendono e la nostra fine. E tutto questo sta dentro al nesso madre/figlio.

La Passione di Maria si lega anche alle opere di interpreti italiani che, come avviene spesso nelle sue ricerche, Cacciari recupera e colloca in una prospettiva filosofica più vasta. Qui la ricerca sull’epoca della prospettiva, per esempio, riprende i classici studi di Alessandro Parronchi[14] ma anche i libri sui concetti umanistici e rinascimentali di un personaggio singolare e coltissimo come Romeo De Maio. In quanto allievo di Cacciari, conosco bene questo procedimento sugli autori e sui riferimenti “secondari” (solo in apparenza)[15]. Io poco più di vent’anni fa gli ho sentito dire, mentre spiegava Dante, che noi studenti dovevamo «leggere tutto Bruno Nardi»[16] per capire qualcosa di Dante, cioè di tutto, e non sapendo in quel momento chi fosse Bruno Nardi, mi sono sentito la persona più ignorante dell’intero cosmo, condannato a un disordine eterno da cui solo l’apprendimento dell’intera opera di Nardi poteva salvarmi. Ho poi letto tutto Bruno Nardi, obbligato dalla regola del buon vicino degli scritti di Cacciari.

Da ultimo, per leggere La Passione di Maria, bisogna tornare di nuovo su quelle mancanze dei Vangeli – e della filosofia – sulla figura di Maria, su cui Cacciari si sofferma. Chi ha generato Dio è per Gesù una “donna” da cui il figlio rivendica la distanza in alcune parole dure. Parole come pietre, figlie della logica del giudizio che fa parte dell’incarnazione, della presenza di Dio nella storia. Il sipario è aperto. L’Apocalisse rivela che la storia è stata già tagliata dal giudizio di Dio. La storia è giudicata[17]. Potremmo dire: è “tagliata”. Agli uomini che si affollano attorno a lui, a volte adulatori a volte già assopiti, Gesù parla con le «parole dure»[18] del giudizio. Questa è la sola verità della storia, nella nostra età del mondo. La Passione di Maria ricorda che il taglio nel corpo della donna ha sempre il diritto di stare a fianco al giudizio di Dio e di pregare per tutti. La storia tagliata è il “suo” taglio. Dentro e attraverso di lei il Verbo si fa carne. La vera immagine della Passione: l’eloquenza di un silenzio che disarma le parole.

Il pensiero per immagini è la logica della collana “Icone” del Mulino che, in questo volume, si fa apprezzare particolarmente per l’integrazione delle immagini tra le pagine e non in una sezione in cui vengono sistemate a parte. Facendosi vedere, le immagini appartengono veramente al testo. Ma cosa ci dicono veramente queste immagini? Una lezione di Cacciari è che anche il pensare per immagini ha una carne, un corpo. Sono davanti a te, sono dentro di te. Le immagini ti chiamano, i volti ti guardano, e a volte ti ossessionano e ti perseguitano. Certi volti hanno questa potenza. Ti chiamano. Non basta nessuna pagina o nessuna riproduzione. Devi proprio andare a vedere. Io devo andare a Monterchi. Dovrei andarci adesso perché quell’immagine mi chiama. Devi andarci, devi farlo, come puoi restare fermo? Che ci facciamo qui, addormentati, ammassati l’un l’altro a dormire attorno al sepolcro, se non ci mettiamo in cammino verso quelle immagini che ci chiamano? Verso un anonimo paesino che per il tocco di quest’artista brillerà nel nostro pianeta anche quando l’Italia non sarà né un mondo, né una culla, insomma questa specie di niente che già siamo. La verità è che, se non andiamo lì, noi ci sentiamo veramente una materia indistinta, una chora confusa, senza l’immagine che ci guarda e che ci chiama. Questo è quello che penso e che provo io, quello di cui sono certo.

Si apre un sipario. Ed è il sipario del “gran teatro del mondo”. Una scena sontuosa, eppure semplicissima. Tutti sono accolti là sotto. Tutti possono trovare una casa costruita secondo le regole della visione, le regole del reale. Una vera casa. Il mondo è un dodecaedro contenuto in una sfera: la perfezione delle forme, i numeri che cantano. La verità rivelata alle nostre inquietudini contiene anche un’altra indicazione, immediatamente evidente: la perfezione dei solidi, delle figure, è tagliata. Un dettaglio. Un taglio.


[1] Un aspetto ben presente, tra l’altro, nella fondamentale opera Umanisti italiani. Pensiero e destino, a cura di Massimo Cacciari e Raphael Ebgi, Einaudi, Torino 2016.

[2] Il riferimento, come facilmente intuibile, è al celebre titolo di Carlo Emilio Gadda.

[3] Così nella lezione Alle Madri di Massimo Cacciari, ripresa in AA.VV., Madre, Madri, a cura di Ivano Dionigi, BUR, Milano 2008.

[4] Massimo Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, Milano 1990, p. 604.

[5] È il finale di Massimo Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997.

[6] Massimo Cacciari, Tre icone, Adelphi, Milano 2007, p. 42.

[7] Il riferimento ovviamente è a Carlo Ginzburg, Indagini su Piero, nuova edizione Adelphi, Milano 2022.

[8] Andrej Tarkovskij il 9 agosto 1979, Diari. Martirologio, Edizioni della Meridiana, Firenze 2002, p. 271.

[9] Il riferimento è chiaramente a Pavel Florenskij, La prospettiva rovesciata, trad.it. Adelphi, Milano 2020.

[10] Werner Sombart, Il Borghese, trad.it. Longanesi, Milano 1950, p. 180.

[11] Episodio tra l’altro ricordato da Manfredo Tafuri in Venezia e il Rinascimento, nuova edizione Quodlibet, Macerata, 2024, pp. 63-64.

[12] Noam Andrews, The Polyhedrists. Art and Geometry in the Long Sixteenth Century, MIT Press, Cambridge (Massachusetts) 2022.

[13] Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, Einaudi, Torino 2019, p. 72.

[14] Alessandro Parronchi, Studi sulla dolce prospettiva, Aldo Martello Editore, Milano 1964.

[15] Potremmo rileggerli anche coi saggi sulla prospettiva e sulla scienza in Robert Klein, La forma e l’intelligibile, trad.it. Einaudi, Torino 1975.

[16] Ho raccontato questo episodio nel dettaglio nello scritto Non si può capire nulla senza leggere tutto (libro non destinato alla pubblicazione e riservato agli amici, 2024).

[17] Hans Urs von Balthasar, Apocalisse, con una prefazione di Massimo Cacciari, Medusa, Milano 2004.

[18] Numerose le raccolte delle “parole dure” di Gesù, tra cui ricordo Ludwig Monti, Le parole dure di Gesù, con prefazione di Enzo Bianchi, Qiqajon, Magnano (Biella) 2012.

Scritto da
Alessandro Aresu

Laureato in filosofia del diritto con Guido Rossi all’Università San Raffaele di Milano, è consigliere scientifico di «Limes» e collabora con varie riviste. È stato consulente e dirigente di diverse istituzioni, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tra le sue numerose pubblicazioni: “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” (Feltrinelli 2024), “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia” (Feltrinelli 2022), “I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio. 1950-2050” (con Raffaele Mauro, Luiss University Press 2022), “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina” (La Nave di Teseo 2020) e “L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia” (con Luca Gori, il Mulino 2018).

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