Lo spazio e l’evoluzione dei conflitti: la prospettiva di Leonardo. Intervista a Stefano Pontecorvo
- 15 Novembre 2024

Lo spazio e l’evoluzione dei conflitti: la prospettiva di Leonardo. Intervista a Stefano Pontecorvo

Scritto da Giacomo Bottos

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La competizione politica e strategica è da sempre cruciale nella corsa allo spazio. Negli ultimi anni questo elemento ha assunto però una nuova rilevanza. Lo spazio, insieme alla altre “tecnologie di frontiera”, sta infatti giocando un ruolo importante nel cambiamento dei conflitti. Il tema è affrontato, insieme alle nuove sfide che queste evoluzioni portano all’Unione Europea, in questa intervista all’Ambasciatore Stefano Pontecorvo. Pontecorvo è un diplomatico che ha ricoperto incarichi di primo piano nei Ministeri degli Esteri e della Difesa e in importanti ambasciate italiane. Oggi è Presidente di Leonardo. Pontecorvo è stato inoltre l’Ambasciatore italiano in Pakistan e l’ultimo Alto Rappresentante Civile della NATO per l’Afghanistan, un’esperienza su cui ha scritto il libro L’ultimo aereo da Kabul. Cronaca di una missione impossibile (Piemme 2022).


Ambasciatore, nel libro L’ultimo aereo da Kabul ha raccontato la sua esperienza da Alto rappresentante civile della NATO in Afghanistan. Nello svolgimento di questa funzione ha dovuto affrontare, con una professionalità che le è stata riconosciuta anche con il conferimento della Medaglia di servizio meritevole della NATO, la drammatica fase del ritiro del contingente internazionale dal Paese. Passati tre anni da quel momento, quali valutazioni si possono fare guardando retrospettivamente quel traumatico passaggio? Quali ne appaiono le principali implicazioni non solo per l’Afghanistan ma per l’atteggiamento a livello internazionale nei confronti delle forze e dei Paesi che erano stati promotori dell’intervento?

Stefano Pontecorvo: Un colossale errore di valutazione. La Gran Bretagna è rimasta nel continente indiano duecento anni. Noi siamo rimasti in Afghanistan vent’anni. Troppo pochi per portare quel Paese alla democrazia. Per ragioni personali sono stato a Kabul negli anni Sessanta. Era un Paese normalissimo. Le ragazze portavano la minigonna, come le coetanee a Londra, Parigi, Roma. Oggi solo a sentire l’ultimo editto che le donne non possono cantare o studiare, mi si gela il sangue. Ripeto, l’Occidente ha fatto un enorme errore di valutazione.

 

Dopo il ritiro dall’Afghanistan la guerra in Ucraina è stato un secondo evento periodizzante il cui svolgimento e le cui conseguenze ancora segnano il mondo in cui viviamo. Nel terzo anno di guerra quali considerazioni generali possono essere fatte per quanto riguarda le trasformazioni dei conflitti? In particolare, quale importanza assume la dimensione della “tecnologia di frontiera” e quanto invece restano rilevanti fattori più tradizionali? Si creano interazioni inedite e ibride tra questi due piani?

Stefano Pontecorvo: Per l’Ucraina il discorso è diverso. Lì stiamo osservando un modo vecchio e al tempo stesso modernissimo di interpretare un conflitto. Da una parte, sono tornati i carri armati. Non si vedevano da trent’anni: dobbiamo risalire alla Guerra del Golfo per averne memoria. Dall’altra, c’è quella che lei definisce “tecnologia di frontiera”. Innanzitutto, l’utilizzo massiccio dei droni. Sto parlando di centinaia di migliaia all’anno: armati, kamikaze. Un’infinità. Ed è la prima volta che li vediamo impiegati in modo così massiccio in un teatro. Questa componente è destinata a modificare l’approccio bellico. Inoltre, è sempre la prima volta che assistiamo a una forma di ibridizzazione del conflitto. E mi riferisco alla guerra cyber. Prima dell’offensiva terrestre da parte della Russia l’Ucraina ha subito attacchi cyber ventotto volte superiori al ritmo tradizionale.

 

Il nuovo Piano strategico di Leonardo mette al centro i concetti di cambiamento dei conflitti – su cui in parte ci siamo soffermati – e di passaggio a una dimensione di “sicurezza globale”. Qual è il significato di quest’ultimo concetto e a quale paradigma si riferisce?

Stefano Pontecorvo: Un drone da poche migliaia di euro può causare danni per milioni di euro. Per questo, agli strumenti tradizionali vanno agganciate le nuove tecnologie digitali, le applicazioni satellitari. Abbiamo già sperimentato come un conflitto regionale abbia impatti di sicurezza globale. Penso all’energia, all’alimentazione, alle infrastrutture di sicurezza, al cyber. Questo in Leonardo intendiamo per “sicurezza globale”. Non si tratta più di difendere infrastrutture civili o militari, ma di difendere le infrastrutture che garantiscono il benessere dei cittadini: dall’etere alle reti fognarie. Digitalizzazione, intelligenza artificiale, robotica e tecnologie ipersoniche saranno i nuovi strumenti per fronteggiare le sfide del futuro. Minacce multilivello richiedono risposte multilivello.

 

In questa cornice, la dimensione europea pone sfide ulteriori in termini, ad esempio, di dimensioni, cooperazione, aggregazioni e interoperabilità. Quali sono a suo avviso i temi principali da sottolineare in questo contesto?

Stefano Pontecorvo: Credo che, meglio di me, lo abbia già fatto Mario Draghi con il suo Rapporto sul futuro della competitività europea. Il Piano industriale di Leonardo ha un motto: “La pace dev’essere difesa”. Ma nessun Paese ha la capacità di farlo da solo. E Leonardo si offre al mondo come punto di incontro fra industrie per realizzare gli strumenti in grado di assicurare la pace. Da qui, le intese con gli omologhi tedeschi, francesi e inglesi per realizzare ora un aereo di sesta generazione, un carro europeo, un drone europeo. Con l’obbiettivo di fondo che gli Stati europei possano utilizzare per la propria difesa mezzi “Made in Europe”. Comunque, Leonardo è già oggi un hub industriale a livello europeo. Inoltre, due guerre a distanza di poco più di due ore di volo da Fiumicino stanno accelerando un processo comunque inevitabile. Ma che avrebbe preso decisamente più tempo. E sto parlando solo di Ucraina e Israele. In realtà, ci sono cinquantacinque conflitti in atto nel mondo: mai così tanti campi di battaglia dal 1945. Penso a due fenomeni di questo processo, in particolare: l’aggregazione europea della domanda da parte dell’industria della sicurezza e la consapevolezza da parte delle istituzioni che l’Europa deve assumere un ruolo anche a livello di difesa; con nuovi assetti militari ed economici. L’Europa destina alla difesa appena l’1,2 per cento del proprio bilancio. E che il recente stanziamento di 1,5 miliardi, altro non è l’aumento del 10 per cento dell’1 per cento. Per di più, questo miliardo e mezzo non è nemmeno aggiuntivo, ma dirottato da un fondo che registrava scarso tiraggio. Di riflesso, abbiamo un’economia russa tutta orientata alla produzione di strumenti militari. Da qui, il contenimento del calo del PIL che – viste le misure adottate dall’Occidente – avrebbe dovuto registrare una diminuzione ben superiore. Da quest’altra parte, il Consiglio Europeo ha creato un Fondo destinato all’Ucraina all’interno del Fondo europeo per la pace e lo ha finanziato con cinque miliardi. In più, prosegue il pressing sulla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per sostenere finanziariamente la produzione non solo di strumenti a uso civile e militare; ma direttamente progetti per la difesa. Se per fronteggiare l’impatto economico della pandemia sono stati emessi eurobond, non vedo perché di fronte all’emergenza difesa non possano essere scelti strumenti del genere, visto che il bilancio europeo è bloccato su cifre irrisorie. Mario Draghi lo ha detto in maniera forte e chiara nel suo Rapporto sul futuro della competitività europea. Personalmente, è dal luglio del 2023 che sottolineo questa necessità. Si tratta di “debito buono”. E cosa c’è di più “buono” che difendere i confini? Ora mi sembra che l’argomento eurobond sia uscito dal ghetto degli “addetti ai lavori” e sia diventato un tema da discutere a livello di Commissione Europea, visto che Ursula von der Leyen ha detto che farà sua l’agenda di Draghi. C’è poi da discutere la forma e la destinazione di questi eurobond. Possono essere centralizzati; o, forse per accelerarne il varo, limitati a un gruppo di Paesi che condividono progetti e ricerche comuni. Magari con la garanzia europea o della Banca Europea degli Investimenti. L’importante è che se ne discuta. Devo riconoscere che, nonostante la liturgia europea, sembra emergere quella consapevolezza necessaria per fronteggiare il momento. Si parla, infatti, di “esplorare tutte le possibili opzioni per mobilitare nuovi finanziamenti”.

 

Nel quadro che abbiamo delineato la dimensione dello spazio assume un’importanza sempre crescente, sia sul piano strategico che su quello economico. Quali sono le dimensioni e i fattori principali di questa rilevanza?

Stefano Pontecorvo: Il settore aerospaziale, per sua stessa natura, può svolgere un ruolo di avanguardia nella costruzione di nuove partnership. Il “ponte” di cui parlavo prima. Innanzitutto, perché si tratta di un settore ad alto tasso di innovazione, e quindi ad alta intensità di capitale; come tale richiede l’investimento di risorse e know-how ingegneristico che poche Nazioni al mondo, da sole, sono in grado di permettersi. La collaborazione è pertanto una necessità. Il secondo punto che rende l’aerospazio centrale è la sua trasversalità: la natura strategica delle tecnologie aerospaziali rappresenta oggi il punto di incontro su cui converge l’interesse degli Stati per la tutela della sicurezza e quello delle aziende, alla ricerca di opportunità di business. Tecnologie critiche come intelligenza artificiale, robotica e cybersecurity, sempre più centrali nell’ambito del nostro settore, richiedono la costruzione di partnership pubblico-private. Prendiamo ad esempio il settore della space economy: si tratta di un mercato che, secondo un rapporto PwC, potrebbe raggiungere il valore di un trilione e mezzo di dollari nel prossimo decennio: una grande opportunità. Ed è anche per questo che, a fianco dei player tradizionali, nella corsa allo spazio si sono affacciati grandi attori privati, spesso provenienti da altri settori, e lo stesso hanno fatto le nuove Nazioni industrializzate. In uno scenario sempre più policentrico, dobbiamo avere la capacità e il coraggio di rendere sistemica la collaborazione sulle nuove competenze e rafforzare la cooperazione tecnologica Nord-Sud. Ovviamente attraverso modalità concordate e programmi industriali dedicati, capaci di tutelare le esigenze strategiche dei partner coinvolti. È importante stabilire forme di dialogo strutturato tra “like-minded partners”, e forum internazionali come il G7 e il G20, in sinergia tra loro, possono offrire la cornice ideale per costruire un multilateralismo inclusivo capace di favorire lo sviluppo tecnologico e metterlo al servizio della sicurezza e della crescita collettiva.

 

Qual è l’incidenza dell’attività spaziale sul complesso delle attività del gruppo Leonardo?

Stefano Pontecorvo: Leonardo è l’unica azienda europea che copre ogni segmento del comparto spaziale: dai lanciatori ai satelliti fino all’interpretazione delle immagini, attraverso l’intelligenza artificiale. Secondo il Piano strategico, il fatturato dello spazio (per il quale è stata creata un’apposita divisione) arriverà a 1,4 miliardi.

 

Quali sono, in prospettiva, in questo ambito le principali direttrici di sviluppo e gli investimenti previsti? Perché si è ritenuto di porla, insieme alla cybersecurity come una delle priorità di sviluppo futuro?

Stefano Pontecorvo: Perché, come dicevo prima, e come è previsto dal Piano industriale di Leonardo, credo sia opportuno introdurre e applicare il concetto di “sicurezza globale”. E alla luce delle ibridizzazioni dei conflitti, la cybersicurezza assume un ruolo fondamentale. Più bites e meno bullets.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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