Note su “Storia dell’idea d’Europa” di Federico Chabod
- 13 Maggio 2021

Note su “Storia dell’idea d’Europa” di Federico Chabod

Recensione a: Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Roma-Bari, Laterza 1995 – XI rist. 2020, pp. 171, 10 euro (scheda libro)

Scritto da Federico Perini

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Un classico, capace ancora oggi di guadagnarsi un posto come “testo d’esame” nei corsi universitari di Storia contemporanea. Questa è la prima considerazione che viene in mente ad uno studente di Storia pensando al volume Storia dell’idea d’Europa di Federico Chabod. Se si vuole compiere una indagine più accurata su come tale testo si sia guadagnato un posto di primo piano nella produzione storiografica italiana della seconda metà del Novecento, occorre adottare un approccio filologico.

La prima volta che Chabod aveva affrontato in un suo corso universitario la nascita dell’idea d’Europa fu tra il 1944 ed il 1945, presso l’Università di Milano, quando aveva trattato l’argomento in parallelo all’analisi dell’idea di nazione. Un approccio metodologico che permette di cogliere il profondo spirito di impegno sociale e politico dell’autore. Per la prima volta dopo il fascismo, infatti, egli poteva accostare dialetticamente le due idee, instaurando di fatto quel discorso critico che non si era realizzato in occasione del convegno intitolato L’Europa promosso dalla Fondazione Volta nel 1932. In tale occasione «i contingenti motivi politici ebbero assoluta prevalenza sui motivi scientifici»[1] e portarono la discussione ad arenarsi sul concetto «antistorico ed antiscientifico»[2] di “romanità”, ricalcando il solco tracciato dall’ideologia del regime, sempre più indirizzata verso la teorizzazione del Neue Ordnung nazi-fascista. La critica di Chabod si articolava dunque sia sul versante propriamente scientifico sia su quello metodologico. Secondo lo storico valdostano, al convegno aveva prevalso eccessivamente il momento “soggettivo” della ricerca rispetto a quello “oggettivo” e propriamente filologico; così facendo, l’opera storica era stata corrotta in una considerazione di parte.

Sulla questione della nascita dell’idea d’Europa, stavolta trattandola singolarmente, Chabod era tornato nei corsi di Storia contemporanea degli anni accademici 1947-1948 e 1958-1959, tenuti presso l’Università di Roma “La Sapienza”. L’ultimo dei due cicli di lezioni è particolarmente importante, poiché è da esso che ha origine nel 1961 il volume Storia dell’idea d’Europa, frutto dell’opera postuma di redazione delle dispense ciclostilate del corso.

Per poter comprendere come il testo sia divenuto un classico della storiografia italiana, occorre altresì andare oltre l’approccio filologico, considerando unitariamente due aspetti. Innanzitutto, occorre riconoscere il grande valore che il concetto di Europa riveste entro la produzione intellettuale di Chabod. Nella premessa al corso del 1958, l’autore confessa come il tema gli sia «particolarmente caro» e quanto desti in lui «una profonda risonanza, morale e spirituale». Inoltre, egli afferma come:

«dalla fede in alcuni valori supremi, morali e spirituali, che sono creazione della nostra civiltà europea, è nato infatti, l’impulso a ripercorrere storicamente l’iter di questa civiltà, e, anzitutto, a rispondere al quesito, come e quando i nostri avi abbiano acquistato coscienza di essere europei» (p. 13).

Un obiettivo di indagine chiaro, che permette di far notare quanto Chabod sia coerente con l’approccio metodologico precedentemente accennato, nel quale il “momento soggettivo” del lavoro risulta dominato dalla ricerca e dall’«amore della verità: quell’amore per cui lo storico [dopo essersi confrontato con le fonti] non esita a ripudiare un suo primitivo modo di vedere, un giudizio iniziale» (pp. 17-18)[3].

Rapportando il volume al contesto culturale italiano della seconda metà del Novecento, è possibile riscontrare il secondo aspetto utile per capire in che modo le lezioni di Chabod seppero affermarsi nel panorama storiografico. Se si considera infatti come i temi della cristianità e della libertà rivestano un ruolo centrale nel corso dell’analisi, si può comprendere come il volume sia stato un riferimento costante, specie negli ambienti liberali e democristiani, per il dibattito sul processo di integrazione europeo[4].

Per Chabod, l’idea di Europa si forma gradualmente secondo un «procedimento polemico», giustificato dall’esigenza di «differenziazione», dunque di definizione, del pensiero greco-classico rispetto al mondo asiatico e “barbaro”. In un primo momento, con Erodoto e Ippocrate, l’opera di «contrapposizione» avviene sul piano geografico. In questa prima fase della teorizzazione, i confini fisici e culturali dell’Europa coincidono con quelli del mondo greco, tanto che «il punto più lontano dell’Occidente è il Mare Adriatico». È con Aristotele che la stessa Grecia viene considerata parte di una Europa geografica più grande, caratterizzata però dalla presenza di popoli nomadi, «difettosi di intelligenza e di capacità artistica». Parimenti, le città greche europee vengono contrapposte all’Asia attraverso una critica delle istituzioni politiche destinata a perdurare nei secoli. Secondo questo procedimento, la Grecia, e più in generale l’Europa, viene a rappresentare «lo spirito delle libertà, contro il dispotismo asiatico» (pp. 23-25). Tuttavia, per Chabod, tale teorizzazione subisce una battuta d’arresto con l’età ellenistico-romana, nella quale prevale una concezione ecumenica e cosmopolita della cultura ellenistica. Ciò porta ad accettare come unica contrapposizione culturale plausibile quella di Romano-Barbaro, tanto che il termine Europa viene ridotto nuovamente ad un significato geografico.

Nell’analisi dell’età antica appena delineata, si può notare come lo Chabod condivida alcune considerazioni di Arnaldo Momigliano[5], il quale aveva studiato l’evoluzione del concetto di “libertà” dal pensiero classico a quello cristiano, passando per l’elaborazione ellenistico-alessandrina e romano-augustea. Se nel mondo classico per libertà (eleutheria) si intendevano la facoltà di poter esporre il proprio pensiero nell’agone politico in accordo con le leggi (parrhesia) e l’autonomia della propria città rispetto alle altre poleis, tra il IV-III secolo a.C. la libertà diventa un «dono dei re». In età augustea invece, sotto l’influsso dello stoicismo e del cinismo, il concetto di libertà migra nella sfera della spiritualità e della individualità, diventando raggiungibile solo per l’uomo saggio; una visione «aristocratica», ribaltata dal cristianesimo nell’ottica in cui il suddito cristiano è disposto a rifiutare la libertà politica per «raggiungere una libertà molto più profonda», quella datagli da Dio[6].

L’aver considerato brevemente come il concetto di libertà venga trasportato dalla sfera politica a quella spirituale, ci permette di comprendere come Chabod possa sostenere che l’idea di una Europa “libera” rispetto ad un’Asia “dispotica”, non potesse sussistere nel corso del Medioevo, in cui alla dicotomia Romano-Barbaro, si sovrappose, fino a sostituirla, la contrapposizione Cristiano-Pagano. In altre parole, il termine Europa continuò ad avere un significato esclusivamente geografico, e non morale. L’unico sentimento di unità che si percepiva dal punto di vista morale e civile era quello della «Respublica christiana, Christianitas, Ecclesia» (p. 29). In questo senso, facendo riferimento alla Commedia dantesca, Chabod osserva come gli stessi greci fossero considerati dopo lo Scisma d’Oriente (1053-1054) come un popolo che «stan uscendo dalla sfera morale dell’Europa» (p. 37) cristiana, ma non da quella geografica. Al suo posto, vi stavano entrando le aree cristianizzate della Polonia, dell’Ungheria e della Transilvania, considerate gli estremi baluardi contro le invasioni Tartare.

Per Chabod, a rendere il termine europaeus d’uso comune, fu il papa umanista Enea Silvio Piccolomini (Pio II), nella cui opera, il «procedimento polemico» di differenziazione dell’Europa dal resto del mondo conduce ad una contrapposizione nei termini di Occidente-Oriente, entro la quale si apprezza una certa «comunità» dei valori classici in quanto caratteristici dell’Europa (p. 50)[7]. Tuttavia, lo storico valdostano osserva come l’Europa del Piccolomini non abbia ancora una valenza propriamente unitaria, ma che in essa si possano intravedere le origini della République littéraire di Voltaire. Possiamo notare dunque, come, con l’Umanesimo rinascimentale, inizi un lento e «progressivo laicizzamento del pensiero» (p. 62) verso la sfera culturale e politica.

Il primo a dotare l’Europa di una «sua personalità, una individualità basata su un proprio caratteristico modo di organizzazione politica» (p. 50)[8], fu, per Chabod, Machiavelli, il quale ha il merito di riconoscere come il continente europeo fosse caratterizzato da istituzioni politiche nettamente meno assolute di quelle asiatiche. Appare così, sullo sfondo, «qualcosa che arieggia quel senso della libertà […] dominante nel Settecento» (p. 51).

Nel “Secolo dei Lumi”, infatti, risultò decisivo per la teorizzazione dell’idea d’Europa, l’intrecciarsi della polemica anti-assolutistica ed anti-coloniale. Il mito del “buon selvaggio” rousseauiano, anticipato dall’elogio della «purezza» dei cannibali di Montaigne, è da leggere secondo Chabod come un atto di amore verso quell’Europa dilaniata dalla fallimentare “politica dell’equilibrio”. Il momento della «contrapposizione» assume qui un significato duplice. Se da un lato si sfruttano in un senso orientalistico ed esotico gli altri continenti per criticare l’Europa, dall’altro si riafferma con ancora più forza la libertà europea rispetto al dispotismo e all’immobilismo tecnologico e culturale asiatico, lodando, con Voltaire, l’unità culturale europea. Con tale atteggiamento polemico, perfino il cristianesimo e l’età imperiale romana vengono letti dal Montesquieu delle Lettres Persanes come gli elementi corruttori della mitica e primigenia «libertà germanica» (p. 104).

Nonostante ciò, «proprio mentre il senso europeo si afferma così fortemente e con tanta chiarezza di linee» (p. 122), si impose nel tardo Settecento l’idea di nazione, la quale risulta solo in parte antitetica rispetto al sentimento europeo. Infatti, seguendo il pensiero di Rousseau, Novalis, Guizot e Mazzini, lo storico aostano analizza come, tra Settecento e Ottocento, si delinei un’idea di Europa il cui fondamento consiste nella consapevolezza e il rispetto della diversità politica e civile dei vari Stati. Una «varietà degli elementi della civiltà europea» (p. 141) che ha come risultato quell’idea di libertà che negli anni Cinquanta venne posta come cardine del processo di integrazione europeo.

In ultima analisi, si può notare come la trattazione di Chabod arrivi a lambire, come ultimo estremo cronologico, la metà dell’Ottocento. Solo la recente storiografia ha infatti analizzato il ruolo del pensiero paneuropeista, il progetto tardo-ottocentesco degli Stati Uniti d’Europa di Charles Lemmonier[9], la prospettiva federalista[10], o l’Europa in quanto idea-forza[11] nell’ottica del processo di integrazione iniziato con la Dichiarazione Schuman (1950)[12]. Le lezioni dello storico valdostano sembrano delineare piuttosto l’evoluzione di una “Europa dei popoli” in cui le spinte verso sistemi federativi o confederativi sono lette alla luce della stringente necessità di una pace perpetua in nome di una unità culturale europea, capace di far riconoscere ai sovrani dei singoli Stati il fallimento della politica dell’equilibrio tra potenze. Così facendo, il volume ha offerto spunti interessanti nell’epoca della Guerra fredda e continua ad offrirli ai nostri giorni, poiché riporta una lettura dell’idea di Europa legata indissolubilmente allo scenario storico e geopolitico globale, di cui, in fondo, essa è costantemente figlia.


[1] Nella prefazione a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta a Storia dell’idea d’Europa, p. 8.

[2] S. Giustibelli, L’Europa nel riflesso del convegno della Fondazione Volta (Roma, 16-20 novembre 1932), in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», n. 1, Carocci, Roma 2002, p. 194.

[3] Per approfondire: F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza 1999.

[4] Per approfondire l’elaborazione ideologica democristiana sull’Europa, consultare: P. Acanfora, Miti e ideologia nella politica estera Dc. Nazione, Europa e Comunità atlantica (1943-1954), il Mulino, Bologna 2013.

[5] Arnaldo Momigliano (1908-1987) è stato uno dei più importanti storici delle religioni della prima metà del Novecento. Di fede ebraica, nel 1939 fu costretto all’esilio in Inghilterra, ma mantenne costantemente i contatti con l’ambiente accademico romano e con lo stesso Chabod. Per approfondire il complesso rapporto tra i due studiosi: M. Mastrogregori, Il carteggio Chabod-Momigliano del 1959, in «Storiografia», n. 8, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2004.

[6] Per approfondire: A. Momigliano, Pace e Libertà nel mondo antico, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 71-114.

[7] Per approfondire: B. Baldi, Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo religione e politica, in «Archivio Storico Italiano», Leo. S. Olschki Editore, Firenze 2003.

[8] Per approfondire: F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Einaudi, Torino 1964.

[9] Per approfondire: C. Lemmonier, Gli Stati Uniti d’Europa: Les etats-unis d’Europe, Parigi 1872, Bulzoni Editore, Roma 2018.

[10] Cfr.: C. Malandrino, Federalismo: storia, idee, modelli, Carocci, Roma 1998.

[11] Cfr.: P. Acanfora, Miti e ideologia nella politica estera DC…, cit., pp. 3-16.

[12] Cfr.: C. Malandrino, S. Quirico, L’idea di Europa: storia e prospettive, Carocci, Roma 2020.

Scritto da
Federico Perini

Dottorando in Studi umanistici, curriculum Storia contemporanea, presso l’Università Cattolica di Milano. Ha conseguito la laurea magistrale in Scienze storiche all’Università “La Sapienza” di Roma. Studia le interconnessioni tra europeismo e decolonizzazione nella seconda metà del Novecento. Tra i suoi interessi, la filosofia politica e le trasformazioni socioeconomiche del presente.

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