“Polizie speciali. Dal fascismo alla repubblica” di Vittorio Coco
- 10 Maggio 2018

“Polizie speciali. Dal fascismo alla repubblica” di Vittorio Coco

Recensione a: Vittorio Coco, Polizie speciali. Dal fascismo alla repubblica, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 234, 22 euro (scheda libro)

Scritto da Fabio Milazzo

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Durante la seconda guerra mondiale, a Trieste, c’era un edificio conosciuto con il nome di «villa Triste», un luogo appartenuto inizialmente a una famiglia di imprenditori ebrei e successivamente divenuto sede dell’Ispettorato generale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia. Con questa funzione divenne una baluardo dell’antifascismo nel nord est italiano e, più in generale, nell’area nord adriatica, con evidenti ricadute sulle realtà croate e slovene.

La “villa” divenne tristemente famosa, già durante il conflitto, non soltanto per la pervicace azione di controllo del territorio e di repressione del movimento resistenziale, ma soprattutto per l’efferatezza, la violenza e la brutalità dell’azione condotta. A farne le spese furono soprattutto gli antifascisti catturati e sottoposti a ripetute e sistematiche torture. Queste, in ordine a una ben definita politica del terrore, dovevano rappresentare un mezzo di dissuasione e di pedagogia brutale per la popolazione, ancor prima che un sistema per ottenere informazioni. Il valore dell’azione dell’Ispettorato venne apprezzato dai nazifascisti che lo inserirono, dopo l’8 settembre 1943, in un sistema fondamentale per la repressione dei gruppi resistenziali dell’area.

Con questa vicenda ha inizio Polizie speciali. Dal fascismo alla repubblica che Vittorio Coco, dottore di ricerca in Storia Contemporanea, ha dedicato al tema dei variegati corpi di polizia speciali creati dal fascismo, già negli anni trenta, per reprimere fenomeni sociali diversi come la mafia, il banditismo sardo, “grassatori” e gruppi di rapinatori che infestavano diverse zone dell’Italia. La genealogia di questi gruppi viene rintracciata dall’autore dapprima nelle strutture di indagine e repressione politica, come l’Ovra, e ancora prima nelle forze create durante la fase liberale e post-bellica per controllare il territorio, il rientro dei reduci, le fasi violente del “biennio rosso” e della stessa ascesa del fascismo.

Quest’ultimo elemento pone sul campo uno dei tanti paradossi che innervano la storia di queste “polizie speciali”, più nello specifico quello che vede il fascismo essere inizialmente oggetto dell’azione di controllo di alcuni di questi gruppi e poi patrocinatore di una loro declinazione in senso totalitario e fascista. In particolare ciò si iscrive nell’esigenza di avere a disposizione delle forze di polizia, libere da limiti territoriali e segmentazioni istituzionali, dipendenti dagli organismi centrali di governo, necessarie per compiti diversi quali la raccolta delle informazioni e lo spionaggio, ma anche il controllo e la repressione del dissenso. Tutto ciò senza dover subordinare tali azioni agli ingranaggi dell’amministrazione pubblica. In tal senso potremmo parlare non solo di “polizie speciali”, ma soprattutto di “polizie libere” e, fino a un certo punto, indipendenti e a disposizione delle esigenze più diverse, politiche ma non solo.

Il volume di Coco affronta la storia di queste “polizie speciali” attraverso le vicende dei dirigenti che le hanno dirette. La scelta ermeneutica si spiega alla luce del dato relativo al costituirsi di un gruppo tutto sommato omogeneo di funzionari che, pur nelle diverse esperienze politiche, vengono chiamati a svolgere il compito di direttori di questi gruppi. Quasi un ceto speciale a disposizione delle esigenze di polizia asimmetrica necessarie ai diversi gruppi di governo. Ed è interessante sottolineare, in ragione di ciò, come il personale degli ispettorati non provenisse anzitutto dal partito, ma dall’amministrazione statale. Tutto ciò segna una delle specificità, ma anche degli snodi più interessanti e ancora poco sviluppati, della situazione totalitaria italiana. In relazione a questo ceto di professionisti della “pubblica sicurezza” sono paradigmatiche le figure di Giuseppe Gueli, a capo dell’ispettorato triestino, ma soprattutto del celebre Cesare Mori, il “prefetto di ferro”, la cui anarchica libertà d’azione nella lotta alla mafia assume un valore tutto diverso alla luce delle esigenze di polizia di cui fu espressione.

Il punto di partenza scelto dall’autore è la prima guerra mondiale che, con il suo carattere dirompente e rivoluzionario, rese necessari una serie di profondi ripensamenti nell’organizzazione dei sistemi di controllo dello Stato. In particolare, per quanto riguarda gli apparati di pubblica sicurezza, questo significò implementare le esigenze accentratrici già sorte durante il conflitto e piegarle alla luce delle rinnovate esigenze emerse con la stabilizzazione della realtà emergenziale degli anni Venti.

Furono soprattutto gli attentati a Mussolini ad accelerare questo processo, che ha nella legislazione di pubblica sicurezza del 1926 e nell’azione del capo di polizia Arturo Bocchini due snodi fondamentali. Infatti la stessa violenza, esercitata in maniera brutale e illegittima da questi gruppi di polizia, si iscrive nel percorso attraverso cui il fascismo mette a frutto l’esperienza dei reduci e ne fa uno dei perni del proprio percorso di affermazione totalitaria. La risposta agli attentati di Mussolini e la stretta sulla pubblica sicurezza, in ordine a ciò, non rappresentano momenti accidentali di un percorso in divenire, ma forme diverse di una specifica prassi di governo, da subito scelta quale strumento di risoluzione di ambiguità, controversie e impedimenti.

Per la stessa ragione la violenza fascista, e nella fattispecie quella operata dalle “polizie speciali” non fu “cieca”, se con ciò si intende solo anarchica, brutale e irrazionale, infatti essa si configurò come un consapevole e strategico mezzo di governo, da cui discese quel marcato valore pedagogico, già segnalato, che nell’esperienza giuliana svolse un ruolo del tutto emblematico.

Coco individua così un elemento di attento e sapiente «dosaggio con il quale la violenza fu esercitata, rimanendo sempre all’interno di un progetto ben preciso» (p. XI). A ciò corrispose anche una diversa declinazione nell’esercizio della violenza stessa: se quella di Mori è terroristica e ha lo scopo di manifestare la forza e l’efficienza del regime, quella degli anni Trenta è più pervasiva, diffusa, in alcuni casi meno ostentata, ma più sistematica. Si è ormai costituita in prassi di governo e la spettacolarizzazione delle sue manifestazioni sono meno necessarie, anche se non spariscono, come nel caso della pubblica esecuzione dei banditi sardi nel 1936.

Tutte le esperienze maturate non vennero disperse dopo la guerra, questo grazie alla persistenza di uomini e strutture del fascismo all’interno degli apparati di pubblica sicurezza repubblicani. Il tema segna inevitabilmente non soltanto la storia della transizione dal fascismo alla Repubblica, ma soprattutto la dialettica tra continuità e rottura tra i due sistemi e, nel corso del tempo, è stato utilizzato per affermare tanto la sostanziale persistenza, nei punti più delicati del sistema di governo italiano – la gestione della pubblica sicurezza in primis – , di una radice comune tra il fascismo e ciò che viene dopo, quanto una mancata cesura reale tra le due esperienze sul piano più generale, limitata ad aspetti superficiali e non di sostanza.

Entrambe le letture appaiono essere poco rispondenti al dato storiografico a disposizione e, dunque, non sostenibili in ultima istanza: la cesura tra fascismo e Repubblica ci fu. In quali termini però essa si svolse, quanto delle esperienze, delle prassi di governo – e nello specifico nella gestione della pubblica sicurezza –, delle ideologie e dei modi di gestione del dissenso, contaminarono le politiche dell’Italia repubblicana, le sue prassi, sono tutti elementi di un discorso che necessita ancora un’adeguata valutazione storiografica. In particolare l’autore, nel riferirsi ad alcuni dei punti più problematici in cui è possibile scorgere tracce di persistenza, fa riferimento ai Nuclei speciali antiterrorismo, sorti su sollecitazione del generale Dalla Chiesa negli anni Settanta. Per i modi, le strategie e le azioni condotte, tali gruppi vennero ritenuti poco in linea con la fisionomia repubblicana e per questo oggetto di critiche.

Al di là, però, di questi rilievi, ciò che simili esperienze dimostrano è che una gestione eccezionale della pubblica sicurezza ha contraddistinto diverse fasi della storia italiana novecentesca, non soltanto fascista. E questo, che appare essere un dato difficilmente discutibile, è un elemento che non può non condizionare ogni lettura delle forme e dei modi in cui si è svolta la lotta al crimine in Italia e più in generale il controllo del dissenso.

È il tema paradossale, ma solo fino a un certo punto, di una democrazia che per “funzionare” ha bisogno di un supporto osceno e di prassi di governo che si pongono sulla soglia della legittimità democratica. Il grande merito del libro di Coco, e dei cinque capitoli più introduzione e post factum in cui è organizzato, è non soltanto quello di aver tracciato un percorso possibile nella storia di queste pratiche e dei gruppi che se ne sono occupati, ma anche di problematizzare, una volta ancora, il tema della persistenza e della discontinuità all’interno della storia italiana del Novecento. In tal senso gli sviluppi che tale prospettiva lascia intravedere vanno ben oltre il tema della gestione della pubblica sicurezza.

Scritto da
Fabio Milazzo

Siciliano, nato nel 1979. Ricercatore e docente di storia e filosofia nei licei. È Phd candidate in Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell'Università di Messina. È membro della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (Sissco), dell'Istituto di Studi Storici Salvemini di Messina, dell'Istituto di Studi avanzati in psicoanalisi (ISAP), dell'Associazione amici di "Passato e presente" (APEP). Scrive per riviste cartacee e giornali online e oltre a diversi articoli di storia, filosofia e psicoanalisi è autore di: "Senso e godimento. La follisofia di Jacques Lacan" [Galaad ed.]. Collabora con l'Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo e svolge attività di ricerca presso il Centro Studi in Psichiatra e Scienze umane della Provincia di Cuneo.

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