Recensione a: Giuseppe De Ruvo, Storia e filosofia della geopolitica. Un’antologia, Prefazione di Lucio Caracciolo, Carocci, Roma 2024, pp. 220, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pennacchioni
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Giuseppe de Ruvo è dottorando in Filosofia morale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove è anche membro dello European Centre for Social Ethics (ECSE) e collabora con Limes. Storia e filosofia della geopolitica segue Da Hegel a TikTok. Metafisica e geopolitica del capitalismo digitale, testo edito nel 2022[1] in cui De Ruvo cerca di mettere in luce le implicazioni geopolitiche dietro al caso TikTok, svelando attraverso la riflessione filosofica di Hegel le nuove modalità di pensiero instauratesi con l’avvento di Internet. Già a giudicare dal titolo, Storia e filosofia della geopolitica è un testo con un obiettivo molto diverso rispetto all’opera precedente: comporre un’antologia della geopolitica, in cui vengono analizzati i diversi aspetti di questa disciplina, non limitandosi alle sole ripercussioni nell’ambito del digitale. Ciò viene fatto esaminando e proponendo al lettore i principali documenti che hanno via via costituito questo campo di studi sempre più dibattuto. Lo scopo di questa recensione è ripercorrere brevemente la struttura e i passaggi fondamentali del lavoro di De Ruvo, proponendo anche all’autore delle domande che durante la lettura sono sorte a chi scrive.
Per iniziare, è bene dedicare qualche riga alla Prefazione di Storia e filosofia della geopolitica, scritta dal direttore di Limes Lucio Caracciolo, perché preziosa e necessaria per introdurre la domanda a cui De Ruvo prova a rispondere con questo libro: che cos’è la geopolitica? Come sottolineato fin dalle prime righe da Caracciolo, il paradosso di questa disciplina è che, se fino a non più di trent’anni fa era in uso liquidarla come una «scienza nazista» o, in Italia, «fascista» (p. 9), oggi è così in voga da dilagare e investire ogni ambito delle nostre esistenze, vita privata inclusa. E come con tutto ciò di cui si chiacchiera tanto, anche la geopolitica sembra aver smarrito il legame con il suo significato o i suoi significati originari. Che fare, quindi? Bisogna rassegnarsi al nominalismo? Certamente la gravità delle tematiche di cui questa disciplina tratta impedisce che la si liquidi nel flatus voci, ma un’operazione chiarificatrice a proposito di che cosa si debba intendere quando si parla di geopolitica è assolutamente necessaria. Nella Prefazione, Caracciolo assolve in parte a questo compito, fornendo una prima chiave interpretativa: la sua data di nascita. Il direttore di Limes fornisce al lettore tre opzioni circa la domanda su quando possa essere fatta cominciare la geopolitica: da sempre – cioè da quando l’essere umano ha cominciato a battersi per conquistare lo spazio che considera necessario per sé e per la sua comunità –, da quando il campo di studi della Politische Geographie ha fatto la sua comparsa nelle università tedesche di fine Ottocento, dalla fine della Guerra Fredda. A partire da questi tre inizi, è ora possibile entrare nel vivo della proposta di De Ruvo.
Storia e filosofia della geopolitica è divisa in tre parti principali: l’Introduzione, la prima parte, Pensare e fare l’ordine mondiale (1901-3), e la seconda parte, Governare l’ingovernabile: mare, economia, spazio, rete, intelligenza artificiale. L’Introduzione è costituita da vari capitoli, tutti funzionali alla lettura del libro. Come già anticipato nella Prefazione, non è infatti facile parlare di geopolitica e ciò per via dei differenti caratteri che questa ha assunto durante la sua stessa storia e che la rende a tutti gli effetti un campo di studi plurivoco. Come chiarito da De Ruvo, essa nasce nel 1899 (Geopolitik) e diventa poi una disciplina parallela alla postura della Germania nazista durante la guerra. Ciò ha scatenato, almeno in prima battuta, una damnatio memoriae della disciplina. Poco dopo, però, l’origine positivista, neodarwiniana e malthusiana della geografia politica ha fatto sì che la geopolitica diventasse una scienza fondata sul determinismo spaziale e geografico. In seguito, il geografo Yves Lacoste riuscì a ridefinirla nuovamente, “liberandola” dal carattere deterministico che aveva assunto. In tal senso, lo sforzo compiuto da De Ruvo con questa antologia è su questa stessa linea d’onda: mostrare come il pensiero geopolitico non sia assolutamente riducibile al determinismo geografico o all’analiticità del militarismo. Al contrario, l’obiettivo è mostrare come, nei suoi momenti salienti, la geopolitica sia stata pensiero in azione, prassi normativa, sforzo di fare ordine laddove si cominciava a intravedere il caos delle relazioni internazionali. E dinanzi alla situazione attuale, nella quale i conflitti alle porte dell’Europa rendono difficile immaginare una fine delle tensioni, figurarsi un ordine, Storia e filosofia della geopolitica è un testo che consente di comprendere come, almeno in passato, il disordine globale sia stato affrontato. La speranza, infatti, è di poter fornire degli strumenti sia per restituire un’immagine meno cinica della realtà in cui viviamo, in cui la rassegnazione al disastro globale sembra essere l’unica vera possibilità di pensiero, sia per mostrare la potenza ordinatrice di questa disciplina.
Per tale motivo, è alla parte finale dell’Introduzione che chi scrive vuole dedicare una particolare attenzione, perché è lì che De Ruvo esprime chiaramente la propria idea su ciò che questa disciplina può. Di contro alle possibili riduzioni deterministiche o al pensiero militarista, l’autore inizia col definire la geopolitica una «analisi dialettica e umanistica» (p. 37). Dialettica in senso hegeliano, e cioè consapevole che «il vero è l’intero»[2] e che dunque nell’analisi strategica non va mai isolato alcun singolo elemento (economia, forma di governo, demografia, stato delle forze armate). Dialettica anche nel senso greco del dialeghestai: fondata cioè sulla volontà e le capacità delle parti di dialogare e di non porsi mai in maniera univoca. Il dialeghestai non è certo in grado di eliminare il conflitto, ma senza dubbio l’assenza di dialogo è il punto di partenza per l’avanzata del caos. Tornando alla definizione, però, la geopolitica è al contempo analisi umanistica. Ciò significa che questa disciplina deve sempre rifuggire ogni unilateralismo epistemologico per ricercare invece i fattori umani che muovono la prassi delle grandi potenze nello scacchiere globale. Non è certo possibile stilare un elenco esaustivo di tutti gli elementi che compongono in generale il fattore umano di una comunità, anche perché la geopolitica deve sempre focalizzarsi sui fattori umani specifici, delle singole comunità. Pur tuttavia, da un punto di vista analitico, l’idea di De Ruvo è che nello studio del fattore umano sia implicato almeno lo studio di due elementi: la storia di una comunità e le rappresentazioni geopolitiche e i miti fondativi che la contraddistinguono. Prima ancora delle considerazioni militari, geografiche o economiche, solo il fattore umano è in grado di riempire di senso e profondità storica tutte queste altre dimensioni che, comunque, non devono essere ignorate. Solo con la reciproca conoscenza dei rispettivi fattori umani gli attori in campo possono svolgere una politica che sia dialettica e umanistica, conditio sine qua non della speranza di un ordine mondiale non minacciato dal caos.
In seguito, sempre con l’obiettivo di evitare di legare troppo la geopolitica al determinismo, De Ruvo fornisce due possibili “antidoti” a questa forma di pensiero: la mentalità tragica e l’importanza del forecasting geopolitico. Con la prima espressione si intende un atteggiamento che non dia per scontato l’ordine e che prenda sul serio l’onnipresenza (anche se in certe fasi nascosta) del caos. La mentalità tragica è dunque l’opposto dell’ottimismo politologico, secondo cui al presentarsi di determinate condizioni non potrà che seguire un certo stato di cose. Piuttosto si tratta di un approccio che, tutt’altro che fatalista, fa continuamente i conti con le contraddizioni del presente e, così facendo, consente di affrontare il caos, muovendo verso il dialeghestai senza avere alcuna funzione catecontica. L’altro metodo proposto è invece quello del forecasting. Se infatti la mentalità tragica è necessaria al fine di riconoscere la sempiterna possibilità del caos, bisogna anche essere in grado di proiettarsi nel futuro, cercando di immaginare come poter ristabilire l’ordine, o come perpetuarlo. Per fare ciò, è necessario, come spiegato da De Ruvo a partire dalle tesi di Andrew Marshall e George Friedman, connettersi con la geopolitica profonda della comunità che si studia, conoscendola nelle sue irrazionalità e nella sua profondità storica. Ciò non rende l’analista geopolitico capace di fare previsioni certe, anche perché altrimenti il “substrato tragico” non avrebbe senso di essere tematizzato. Tuttavia, il forecasting consente una, pur precaria, forma di proiezione futura, di ordine mondiale, senza superare quelle linee rosse che proprio la mentalità tragica consente di prevedere. E allora ecco che, se all’inizio dell’Introduzione De Ruvo aveva offerto al lettore una prima definizione di geopolitica, alla fine della stessa è possibile definire lo scopo di questa disciplina: provare a disegnare degli scenari futuri e avvertirci su che cosa non fare – a meno che non si voglia rischiare di destabilizzare un ordine che, seppur vulnerabile, o magari persino sbagliato, è preferibile al caos. L’impossibilità dell’ordine mondiale che oggi viviamo, forse, è proprio dovuto all’assenza di geopolitica, ovvero di una disciplina che, consapevole del fattore umano, con mentalità tragica e capace di forecasting, studi sistematicamente «tutti gli aspetti sottesi a un conflitto di potere – soprattutto quelli umani – con l’obiettivo di evitare che confusi monologhi, che di norma sfociano in sanguinose guerre, sostituiscano il pur difficile dialeghestai, reso possibile dalla comprensione, dallo studio e, perché no, dallo spionaggio reciproco» (p. 55). A questo lavoro l’antologia di De Ruvo vuole contribuire.
Parte prima. Pensare e fare l’ordine mondiale (1901-3)
La prima parte del libro, dal titolo Pensare e fare l’ordine mondiale (1901-3), propone e analizza sette differenti contributi distribuiti nel tempo e nello spazio a proposito del ruolo e delle funzioni che può avere la geopolitica. Obiettivo principale di questa prima parte è mostrare la natura ordinatrice della prassi geopolitica, spesso coincidente con l’azione diplomatica, e il suo essere passata da determinazione geografico-centrica a un campo di studi basato sulla profonda conoscenza dei popoli – con un tratto più “umanistico”, si potrebbe dire.
Cominciando con Lo spazio vitale di Friedrich Ratzel, De Ruvo analizza dell’autore le nozioni di Lebensraum (“spazio vitale”, appunto) e di Kampf um Lebensraum (“lotta per lo spazio vitale”), mostrando le assonanze fra queste e l’idea di Wille zur Macht (“volontà di potenza”), almeno per come recuperata dal pensiero nazista. Ciò che emerge da questo primo brano – all’autore va l’indubbio merito di esser riuscito a proporre le giusta sezione dell’opera ai fini di un’antologia –, sono tre idee principali: l’inevitabile conflitto che secondo il geografo tedesco è la condizione esistenziale di ogni essere vivente; il carattere trascendentale rivestito dall’idea di spazio, da non intendere né in termini troppo geografici, né troppo strategici; il ruolo funzionale che il pensiero di Ratzel ha avuto per la Geopolitik tedesca del Terzo Reich, che di lì a poco sarebbe entrato nel teatro della storia.
In continuità con il lavoro di Ratzel, il secondo autore proposto da De Ruvo è il generale, storico e geografo tedesco Karl Haushofer, fondatore della rivista Zeitschrift für Geopolitik. Aspetto principale della riflessione di Haushofer è aver fatto sì che il concetto di Lebensraum non venisse più concepito solo come condizione trascendentale di possibilità della vita in generale, ma come conditio sine qua non per l’esistenza libera e indipendente di uno Stato nazionale, in grado di portare avanti una politica estera autonoma. La “lotta per lo spazio vitale” in Haushofer non è più quindi una lex naturae, bensì un’istanza normativa, di natura strategica, un desideratum, in una battaglia per la sopravvivenza fra Stati. Com’è evidente, infatti, nel brano recuperato da De Ruvo non mancano espliciti riferimenti alla rifondazione culturale del Reich. Ma, aldilà di ciò, l’importanza fondamentale dell’operazione sul Lebensraum compiuta da Haushofer è testimoniata dal fatto che buona parte del pensiero politico del secondo Novecento sia partito proprio dal nuovo significato dato dall’autore a questa nozione.
Il terzo autore da De Ruvo analizzato è Halford John Mackinder, geografo e politico britannico, che nel 1927 propose un’alleanza strategica tra Germania e Unione Sovietica. Nel testo tradotto da De Ruvo, pubblicato su Foreign Affairs nel 1943, Mackinder compie una doppia operazione teorica. La prima è quella di saggiare la validità della nozione di Heartland; la seconda è tematizzare e per certi versi introdurre alcuni concetti che saranno fondamentali per l’ordine mondiale post-bellico. Ciò che però più ha colpito chi scrive, e che è sottolineato da De Ruvo nella breve introduzione al brano di Mackinder, è l’importanza che il politico attribuisce al “fattore umano”, secondo lui condizione ineludibile affinché la Germania e l’Unione Sovietica potessero effettivamente stringersi in un’alleanza. Questo assunto sarà fondamentale per il colore che la geopolitica di lì a poco assumerà.
Il seguente brano è il Lungo telegramma di George Frost Kennan, dove il fattore umano emerge come l’elemento centrale dell’analisi dell’ex-consigliere di Stato americano. E lo è al fine di delineare, pur non nominandola, la postura del containment fra Russia e Stati Uniti (escludendo quindi la necessità degli Stati Uniti di intervenire militarmente su territorio sovietico[3]), in cui Kennan non muove praticamente alcuna considerazione di tipo spaziale o geografico. Dalle considerazioni geografiche iniziali, trascendentali o meno, la geopolitica è ora fondata sulle considerazioni umane; sulla storia, le tradizioni e le abitudini dei popoli con cui si ha a che fare.
Il nome successivo proposto da De Ruvo è Henry Kissinger, forse il più celebre statista a cui viene generalmente associata la parola “geopolitica”. Del grande stratega americano De Ruvo propone uno stralcio della sua tesi, insieme con un memorandum che nel 1971 lo stesso ha inviato a Richard Nixon, in cui il diplomatico americano descrive al suo presidente il viaggio che ha compiuto in Cina. L’obiettivo del viaggio, in cui Kissinger incontra il grande diplomatico Zhou Enlai è preparare l’incontro tra Richard Nixon e Mao Zedong. Grande merito di De Ruvo in questo passaggio è far sì che il lettore non percepisca la differenza tra i due brani – la tesi e il memorandum – che sono infatti posti in perfetta continuità. Oltre a ciò, la bellezza dei passaggi di Kissinger qui ritagliati rende questa parte di Storia e filosofia della geopolitica non solo un resoconto strategico-politico, ma anche, e soprattutto, una riflessione filosofico-esistenziale degna della più alta forma di letteratura. Ciò che emerge chiaramente del pensiero dello stratega americano è l’interesse verso la conoscenza della dimensione umana del proprio interlocutore, considerata condizione ineludibile per poter fare diplomazia. Ciò che colpisce è anche come egli insista particolarmente sulla consapevolezza del contesto metafisico con cui si ha a che fare, incarnato di volta in volta dal popolo e dal luogo in cui ci si trova e che rende la sua idea di geopolitica assimilabile a una vera e propria filosofia della storia. Insomma, la conoscenza della profondità storico-filosofica dell’“altro” è da Kissinger posta come condizione trascendentale di possibilità per poter pensare un ordine mondiale. Un eventuale accordo con la Cina non potrà che fondarsi anzitutto sulla conoscenza di ciò che la cultura cinese è. E un eventuale accordo con la Cina, anticipando in questo il suo World Order, non prelude ad alcun uso antisovietico, anzi.
Nel sesto e penultimo brano proposto, De Ruvo interrompe la parte specificatamente dedicata ai singoli autori e riporta un documento della Central Intelligence Agency (CIA) del 1989. Si tratta di un report in cui la CIA attenziona la Glasnost e la Perestrojka di Michail Gorbačëv, perché consapevole dell’instabilità che queste riforme avrebbero comportato. Tuttavia, in continuità con Kissinger, anche la CIA fa presente come un effettivo crollo dell’Unione Sovietica, se certamente non auspicabile, era di fatto da considerare impossibile. Al contrario, si temeva un ritorno dell’ala massimalista del PCUS, sostenuta da elementi del KGB e dell’esercito. Questo assessment report è quindi un interessante documento geopolitico nella misura in cui viene resa manifesta la totale incapacità statunitense di prevedere il collasso dell’URSS, di cui al massimo si sperava un indebolimento, perché necessario a rafforzare la posizione degli Stati Uniti nella divisione delle responsabilità del World Order con Mosca. Come sottolineato magistralmente da De Ruvo, solo due anni dopo, nel 1991, l’allora Presidente degli Stati Uniti George Herbert Walker Bush, intervenendo davanti alla Verchovna Rada, il soviet supremo della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, avvertiva gli ucraini che «freedom is not independence» (p. 132). Ed è davvero paradossale che solo due anni dopo ancora, nel 1993, Bush avrebbe firmato la National Security Strategy: la traduzione in termini politici della narrazione della “fine della storia” e dunque la fine del World Order.
Nell’ultimo paragrafo di questa prima sezione del libro De Ruvo propone due brani: la National Security Strategy (NSS) del 1993 e l’introduzione alla stessa scritta dall’ex Presidente degli Stati Uniti d’America George H.W. Bush. Nella parte finale di questa prima parte del suo libro, De Ruvo insiste quindi sulla missione di carattere universale, quasi provvidenziale, di cui gli Stati Uniti si sono investiti dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Ma ciò che è interessante è come Washington riesca a porsi non semplicemente come potenza egemone, inevitabilmente destinata a “conquistare” il mondo, ma di come si pensi come ciò di cui il mondo ha bisogno per poter mantenere la pace e per poter garantire una leadership duratura di carattere globale. E la “fine della storia” di Francis Fukuyama risulta essere il perfetto riferimento storico di cui gli americani avevano bisogno, in un mondo in cui non è più la strategia politica ma il mercato a stabilire i rapporti di forza. E tuttavia, affinché ciò diventi davvero possibile, è necessario che gli Stati Uniti intervengano nei quattro angoli del globo, nella loro unipolarità, ma anche nel loro revisionismo, per poter modificare lo status quo delle diverse regioni del mondo. “Esportando la democrazia”, si direbbe.
Parte seconda. Governare l’ingovernabile: mare, economia, spazio, rete, intelligenza artificiale
La seconda parte del libro, dal titolo Governare l’ingovernabile: mare, economia, spazio, rete, intelligenza artificiale, ha come obiettivo principale quello di mostrare la dimensione eminentemente “spaziale” della geopolitica. Ma già a questo livello è necessaria una precisazione: gli “spazi” di cui De Ruvo si occupa nei cinque contributi che costituiscono quest’ultima parte del libro sono stati a lungo considerati scevri da ogni logica di conflitto. Ciò che De Ruvo fa emergere è che questo non è più vero. Al contrario, si tratta di elementi critici in cui si gioca la sicurezza nazionale dei vari Stati. Se fino agli anni Novanta, infatti, gli Stati Uniti insieme con l’Impero Britannico erano i padroni diretti di molti spazi, marittimo, digitale e spaziale, e cioè delle vie di comunicazione, che li rendevano i sovrani del mondo potenzialmente ad infinitum, questo oggi non vale più. Certamente complice la narrazione che la storia fosse finita, aver lasciato questi settori in mano alla logica di mercato più sfrenata, senza monitorare strategicamente che cosa stava accadendo, ha rappresentato la premessa necessaria affinché si creassero le condizioni di tensione e instabilità in cui ci troviamo nel presente.
Il primo testo analizzato da De Ruvo è la traduzione italiana, che per la prima volta viene offerta proprio in questa antologia, di The Makers of Modern Strategy di Edward Mead Earle, su cui molti degli strateghi americani del “sanzionismo” si sono formati. Punto essenziale di questa prima parte è mostrare come, a differenza di certa retorica neoliberale o libertaria sempre più in voga, il mercato sia sempre stato ordinato e governato geopoliticamente. Detto in altro modo: il mercato è sempre stato uno “spazio” politico. E questo è tanto più vero proprio nelle analisi di colui che, per secoli, è stato considerato il padre del free market: Adam Smith.
Il secondo contributo è la traduzione italiana di alcuni passaggi fondamentali di The Influence of Sea Power upon History di Alfred Thayer Mahan. Questo testo cardine della talassocrazia è oggi di fondamentale importanza, perché ha permesso agli strateghi cinesi di comprendere che l’unico modo per poter sfidare davvero gli Stati Uniti d’America è diventare una potenza oceanica. Come spiegato infatti all’inizio di questa sezione da De Ruvo, se è vero che in settori come l’innovazione tecnologica, il controllo dello spazio, i progressi dell’intelligenza artificiale, la posizione più vulnerabile dell’America è evidente, ma anche giustificabile data la natura estremamente mobile di questi spazi, ciò non è vero per il mare. È questo l’elemento X che rende ancora gli Stati Uniti la potenza egemone del pianeta e ciò perché, checché ne dicano i fautori del capitalismo digitale, è il controllo materiale delle vie di commercio marittime il fattore che “ancora” fa sì che un impero sia più forte di un altro. Che sia impossibile pensare di mettere davvero in discussione gli Stati Uniti solo con le operazioni finanziarie i cinesi se ne sono accorti, ed è per questo che stanno iniziando a fare pressioni. Per questo la riflessione di Mahan è di capitale importanza.
Nel terzo contributo, De Ruvo propone invece al lettore di indagare la dimensione geopolitica della volta celeste. Come già anticipato, lungi dall’essere “piatto”, lo spazio è infatti un luogo disponibile sia per un uso civile sia per uno militare e dunque con implicazioni anche strategiche. Ciò ha portato gli studiosi di geopolitica ad applicare le teorie sull’acqua di Mahan allo spazio, e il risultato di tale processo è stato il Report of the Commission to Assess United States National Security Space Management and Organization: il primo documento governativo in cui si dà una codifica strategica americana all’esplorazione spaziale per evitare una nuova Pearl Harbor, di altro tipo, in questa antologia analizzato.
Il successivo passaggio è invece la traduzione del report Asymmetric Competition: A Strategy for China & Technology, curato dal China Strategy Group e presieduto da Eric Schmidt, ex CEO di Google e oggi figura chiave per quanto riguarda la regolamentazione dell’uso di Internet come spazio in cui si gioca la potenza competitiva fra le Nazioni. Questo testo, saggiamente proposto da De Ruvo, è una chiara manifestazione di quanto descritto sopra. Se è vero, infatti, che la Cina sta sfidando la potenza americana sul controllo dei mari e se è vero anche che per contrastare questa avanzata gli strumenti del capitalismo digitale non sono sufficienti, non bisogna però sottovalutare la crescente vulnerabilità degli Stati Uniti sullo spazio delle piattaforme digitali, della circolazione dei dati e della creazione di social media.
L’ultimo brano proposto è infine la traduzione dell’ultimo report della National Security Commission on Artificial Intelligence, guidata sempre da Eric Schmidt. La necessità per gli Stati Uniti di riorganizzare la propria struttura decisionale anche nell’ambito dell’intelligenza artificiale è un altro spazio in cui si gioca la competizione con il Celeste Impero. Consapevole, infatti, del forte cambiamento che l’intelligenza artificiale comporterà e della continua accelerazione del ritmo dell’innovazione, l’America dovrà essere in grado di porsi come il soggetto capace di guidare questo processo e di non esserne travolta. L’intenzione della Cina di superare gli Stati Uniti nella leadership dell’intelligenza artificiale è infatti evidente, tutto sta nell’agire in maniera strategica in questa sfida globale.
Conclusione
I meriti di De Ruvo in Storia e filosofia della geopolitica sono molti. Primo fra tutti, certamente il fatto che questo lavoro di antologia è praticamente un caso unico nel panorama editoriale italiano. Tuttavia, chi scrive vuole sottolineare in particolare due aspetti, che rendono questo libro estremamente originale. In primo luogo, l’aver portato ordine nel caos del dibattito italiano sulla geopolitica. Come sottolineato dal direttore di Limes Caracciolo nella Prefazione, la parola “geopolitica” è ormai diventata un termine ombrello, sotto alla quale si fanno ricadere caratterizzazioni di qualsiasi tipo, dall’economico al filosofico, dal sociologico al politico. Il risultato è che oggi è difficile capire di che cosa si sta parlando quando la geopolitica viene nominata. Al contrario, in Storia e filosofia della geopolitica De Ruvo ha mostrato cosa sia la geopolitica e come sia piuttosto proprio la sua mancanza a rendere il quadro globale in cui viviamo così sofferto e confuso. Il secondo aspetto di originalità è l’aver portato ordine nel caos della situazione geopolitica attuale. Per quanto in questa recensione non vi è stato lo spazio per approfondire tale aspetto, nel procedere dei vari contributi il lettore si accorgerà che De Ruvo offre al lettore dei punti di vista, senza dubbio delle considerazioni, per quanto riguarda gli eventi più importanti dell’attuale situazione geopolitica globale.
Arrivati alla conclusione di questa recensione, chi scrive vorrebbe approfittare per porre delle domande all’autore di Storia e filosofia della geopolitica. Ovvero: come si è potuti passare da una sorta di golden age della geopolitica, descritta proprio in questa antologia, alla situazione attuale? Se, come confermato dagli stessi contributi, vi è stata un’epoca in cui questa disciplina poteva tanto, perché non è più così? Qual è il motivo? Quali sono le ragioni? Forse la retorica della “fine della storia”? Ma allora la geopolitica è solo a trazione americana? O c’è dell’altro? Queste domande, a cui in realtà questa antologia potrebbe in parte rispondere, non sono la ragione per cui è stata scritta e la speranza è che costituiscano un invito all’autore per proseguire nella sua ricerca. Stante ciò, il merito di questi dubbi è comunque da ascrivere a questa antologia, di cui è fortemente raccomandata la lettura. A meno che non si preferisca rassegnarsi al caos.
[1] Giuseppe De Ruvo, Da Hegel a TikTok. Metafisica e geopolitica del capitalismo digitale, EBS, Lesmo 2022.
[2] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Rusconi, Milano 1995, p. 5.
[3] Questa scelta strategica è detta tattica del rollback.