Thiel e l’Anticristo: “Il momento straussiano” di Peter Thiel
- 01 Luglio 2025

Thiel e l’Anticristo: “Il momento straussiano” di Peter Thiel

Recensione a: Peter Thiel, Il momento straussiano, a cura di Andrea Venanzoni, Liberilibri Editrice, Macerata 2025, pp. 118, 4,99 euro – disponibile solo in digitale (scheda libro)

Scritto da Alessandro Aresu

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Ross Douthat: Preferisci che la razza umana sopravviva, giusto?

Peter Thiel: Ehm…Uhm…Ehm…

 

L’incontro con la personalità di Peter Thiel mi conduce indietro nel tempo, a dieci anni fa. Su Limes mi sono occupato molto spesso della sua figura, in particolare – ma non solo – negli articoli L’agenda di Peter Thiel (2016), Non è possibile riprogrammare il sogno americano (2020), Palantir e la maledizione della pietra veggente (2023), Come la PayPal Mafia diventa deep State (2024), L’apocalisse di Peter Thiel (2025). In quegli articoli emergono a fianco a Thiel personalità come Elon Musk e J.D. Vance, che poi vanno a condizionare, come sappiamo, i rapporti tra politica, tecnologia ed economia negli Stati Uniti.

Thiel appare poi, oltre che in lunghe ricerche come quella su TikTok che ho pubblicato su Le Grand Continent e Substack[1], nonché in tutti i miei tre libri sul capitalismo politico, dal 2020 al 2024. Nell’ultimo, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Thiel è nell’elenco dei personaggi che partecipano alla narrazione complessiva. Sarà presente anche nel mio prossimo libro, in uscita tra qualche mese.

Per queste ragioni, la pubblicazione del saggio di Thiel Il momento straussiano per Liberilibri, una casa editrice che spicca per la sua notevole produzione di storia delle idee e pensiero politico ed economico, con la curatela di uno dei più originali e interessanti studiosi italiani (Andrea Venanzoni, autore di Tecnodestra[2] e di molti altri saggi, oltre che indubbio grafomane), mi induce ad alcune riflessioni.

Soprattutto attorno a due temi: la specifica “arte della scrittura” di Thiel e la sua interazione con i concetti dell’Anticristo e del katechon, su cui ha articolato la sua costruzione e la sua prosopopea intellettuale.

 

Peter Thiel e Leo Strauss

La pubblicazione dell’edizione italiana del saggio Il momento straussiano, apparso originariamente nel 2007, è un’interessante occasione editoriale perché Liberilibri e Venanzoni non si limitano a riprendere i discorsi recenti di Thiel ma, scegliendo quel testo, conducono più indietro nel tempo rispetto alla proliferazione di lavori sull’oligarchia tecnologica degli Stati Uniti, e così mostrano un pensiero più di lungo termine.

Venanzoni, nella sua introduzione, indica come Il momento straussiano sia una lente fondamentale per comprendere il presente, per contestualizzare, nella prospettiva dell’investitore e del saggista Thiel, la cesura (o meglio “epifania dolorosa”) che riguarda il ragionamento sulla natura umana, sul peso della violenza, sul posto dell’Occidente. L’illusione di contenere la violenza attraverso forme di soft power non riesce ad affrontare i pericoli che agiscono come risvegli per gli Stati Uniti e che scatenano una reazione, un punto di vista in cui si può leggere la connessione tra il percorso imprenditoriale di Thiel e i suoi interventi pubblici. O meglio, la sua “arte della scrittura”, la volontà di essere sempre più presente nel dibattito pubblico degli Stati Uniti per delineare i primi tratti di un profilo.

Quando siamo ancora nel primo decennio di questo secolo, l’opzione che Thiel persegue è minoritaria. Nel corso del tempo, cerca di far combaciare i progetti delle aziende di cui è co-fondatore (come Palantir) o che si collocano nell’orizzonte dei suoi finanziamenti e nella sua visione del mondo (come SpaceX e Anduril, nonché la stessa Facebook-Meta in modo meno deliberato) all’interno di un percorso tracciato dagli insegnamenti di René Girard e dalle “guerre culturali” dell’Università di Stanford, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Si tratta solo di aziende o di “imperativi concettuali”? Thiel vuole che gli osservatori, gli investitori, i lettori si pongano questa domanda.

Il momento straussiano delinea la relazione tra libertà e sicurezza come tesi di investimento, il pericolo di un rallentamento – o una stagnazione – dell’innovazione come orizzonte esistenziale e come tema del discorso pubblico statunitense.

Venanzoni scrive che Thiel critica la «vacuità di un approccio occidentale che si è crogiolato nella illusione di far crescere il Terzo mondo attraverso una operazione di invio di fondi e di elaborazione di un dispositivo di consenso e simpatia, mentre però l’Occidente stesso si indeboliva culturalmente, spiritualmente, svuotandosi dietro stanchi simulacri edonistici e artefatti» (pp. 10-11). L’11 settembre emerge, appunto, come un risveglio rispetto a questa dinamica. Dall’11 settembre nasce una nuova opzione “politica” dell’economia, come mostra per esempio tutta la legislazione di emergenza che, utilizzata per il contrasto al pericolo terroristico (che contiene elementi indefiniti, a partire dalla dichiarazione di guerra all’entità “terrorismo”), può essere e viene adattata alla guerra economica, secondo la logica del capitalismo politico che è evidente anzitutto nella cosiddetta “guerra del Tesoro” illustrata da Juan Zarate[3].

Thiel agita il pensiero di Carl Schmitt per illustrare i nuovi dilemmi degli Stati Uniti, che devono riconoscere i dilemmi della natura umana abbandonando le idee ottimistiche. La pace spezzata dall’11 settembre riporta al centro della scena l’opzione di Plettenberg, la divisione estrema che impone di schierarsi. «La politica è il campo di battaglia in cui avviene questa divisione, in cui gli uomini sono costretti a scegliere tra amici e nemici» (p. 75). L’essenzialità del nemico, d’altra parte, ricade in quello che per Girard è un meccanismo mimetico, incapace di interrompere il circolo della violenza.

Nel suo scritto, Thiel propone così un itinerario dove da un lato la società commerciale (la pace capitalista) viene spezzata dall’11 settembre, dall’emergere del conflitto, e dall’altro lato il riconoscimento del conflitto e della violenza portano a un altro percorso, attraverso Carl Schmitt, Leo Strauss e René Girard, che non ha un vero sbocco. Il lettore ha l’impressione di essere stato catapultato in un passaggio di un corso di storia delle idee, fondato principalmente sulla lettura di Schmitt nel volume di Heinrich Meier[4], senza una conclusione. Certo, si ripete la lettura di Girard sul riconoscimento sconvolgente dell’omicidio fondatore, il suo superamento attraverso il sacrificio di Cristo, ma non si fanno altri passaggi significativi.

Possiamo ovviamente prendere dei passaggi che fanno intuire in questo saggio la tesi di investimento di Palantir, per esempio la citazione di Leo Strauss che «la società più giusta non può vivere senza “l’intelligence”, cioè lo spionaggio, anche se “lo spionaggio è impossibile senza la sospensione di alcune regole del diritto naturale”». Thiel commenta sardonico che il sistema Echelon, o comunque un sistema di spionaggio in grado di vedere veramente ogni cosa, che abbia la pretesa di raccogliere, vedere, connettere veramente ogni cosa, potrebbe avanzare il vessillo della pax americana in modo ben più efficace rispetto a tanti dibattiti inutili delle Nazioni Unite. Su questo si potrebbe rovesciare l’osservazione che Thiel fa verso Carl Schmitt quando scrive: «Nella divisione del mondo in amici e nemici di Schmitt si nasconde una dinamica pericolosa. È una dinamica che distrugge la distinzione e che sfugge del tutto agli abili calcoli di Schmitt: bisogna scegliere bene i propri nemici, perché in poco tempo si potrebbe divenire come loro» (p. 83). Questo è lo stesso paradosso del Palantir. Per ricordare ciò che è scontato: Sauron è il volto che nel Signore degli Anelli ti guarda attraverso le pietre veggenti e ti corrode. Tu puoi illuderti di saper vedere e connettere, saper contenere la violenza, ma secondo quell’immagine, secondo quella che chiaramente è la logica di Tolkien, in realtà stai cercando di prendere il posto di Sauron. Alla fine – che Sauron sia un altro o te stesso allo specchio – è sempre lui che ti vede. E non puoi scappare.

Se, a parte questi riferimenti, la tesi di Thiel non emerge in modo chiaro, si delinea invece la sua “arte della scrittura”. Com’è noto, secondo Leo Strauss alcuni filosofi, per evitare persecuzioni e per proteggere la città e la comunità da verità troppo scomode per essere discusse, hanno nascosto il loro insegnamento più profondo attraverso una forma esteriore, “essoterica”. D’altra parte, la filosofia non può restare in silenzio: richiede che si parli, e a un certo punto che si scriva. Così, la loro scrittura ha un doppio effetto: parla a un pubblico più generale senza fare danni e poi richiama i lettori che sanno leggere tra le righe e guardare sotto la superficie, dentro il testo. Lo stesso Strauss ama, come stile filosofico, la scrittura come commento di grandi opere altrui: un’arte della scrittura dentro l’arte della scrittura, dove l’insegnamento somiglia a una sorta di matrioska.

Qualcuno può cogliere il segno autentico. Qualcuno può elevarsi rispetto alla maggioranza o alla massa, sfidando l’opinione prevalente. Qualcuno può essere reclutato.

Un punto cruciale da cogliere su Il momento straussiano è che, al di là del compitino su Schmitt, Strauss e Girard con un pizzico di Alexandre Kojève, propone “l’arte della scrittura” di Thiel. La sua scrittura della superficie dice: io sono l’intellettuale della Silicon Valley, voglio maneggiare quei testi e quegli autori, voglio far circolare quelle citazioni, per stabilire il mio culto. Come evidenziato dalla biografia del giornalista di Bloomberg Max Chafkin[5], Thiel si considera “un libero pensatore” che dispone di una sorta di programma automatico per cercare l’opposto di ciò che si dice, della conoscenza identificata con l’opinione più diffusa e col “conformismo”.

Si può tornare allora alle parole: «Bisogna scegliere bene i propri nemici, perché in poco tempo si potrebbe divenire come loro». Il nemico che Thiel sceglie è la sua caricatura del conformismo. Per l’identificazione del nemico è disposto a lottare, è disposto a mandare in bancarotta con violenza il nemico, come ha fatto con la rivista che ha svelato la sua omosessualità, ed è disposto a prendere ciò che nascondeva e ad agitarlo in pubblico per fare qualcosa di bizzarro, come sostenere Donald Trump quando nessuno ci crede.

Nel percorso di Thiel, l’idea di stare controcorrente diventa volutamente un’esagerazione ma consente, oggettivamente, di leggere alcune tendenze prima degli altri. Un altro saggio pubblicato presso la Hoover Institution di Thiel è The Optimistic Thought Experiment, che porta la data del 29 gennaio 2008. In quel momento storico, Thiel indaga la prospettiva del collasso del capitalismo globale, evocando l’immaginario biblico dell’Armageddon. Thiel ricorda che, sebbene in passato tali timori fossero considerati irrazionali, oggi una dimensione apocalittica riemerge, basata su previsioni scientifiche di disastri ambientali o nucleari. Ma i mercati finanziari rimangono “compiacenti”, trovando «non profittevole pensare alla propria morte». La tendenza dell’incapacità di pensare alla morte, di pensare l’estremo, si accompagna nella sua analisi alla questione strutturale dello sviluppo cinese, dei suoi possibili impatti sull’inflazione. Thiel ragiona sulla riduzione dei processi di globalizzazione, che può avvenire attraverso l’esplosione di bolle circoscritte o attraverso una guerra, con un timbro apocalittico. E conclude, quasi come controcanto all’altro saggio, che si può mantenere la scommessa finanziaria sulla globalizzazione. Quante sono le parti in commedia?

Gli esempi a questo proposito sono numerosi. Prima Thiel deride gli imprenditori che fanno manualetti sul mondo degli investimenti, poi scrive un libro, Zero to One, che desidera ardentemente far diventare un best-seller, e lo vende proprio come un manualetto di self-help per gli imprenditori. Questa apparente “diluizione” dei suoi concetti più radicali, che ha lasciato perplessi alcune persone della sua cerchia, è proprio la sua versione moderna di una “arte della scrittura”: presentare idee estreme in un formato che le rende digeribili al mainstream, mentre i suoi “fedeli” ne colgono il significato più profondo e sovversivo. Non solo: se il significato sovversivo può essere al servizio del suo desiderio di ampio riconoscimento, e soprattutto di aumento della cerchia dei “fedeli”, allora deve essere invece rivendicato[6].

Nel corso del tempo, come ho avuto occasione di notare più volte, l’esibizione sfacciata dell’esagerazione diviene la cifra del pensiero di Thiel. Da un lato, ha sempre bisogno di un nemico “facile”, e nella sua vita questo ruolo è ricoperto nel corso del tempo sempre pressoché dalla stessa cosa: all’università, dal multiculturalismo; 30-40 anni dopo, da un concetto di wokismo che viene generalizzato e dilatato a piacimento. Nell’identificazione dei nemici aziendali, è scontato che Thiel faccia sempre convergere le sue nuove “battaglie culturali” con i suoi interessi da investitore: è scontato che il nemico sia Google, le aziende devono cercare il monopolio e sfruttarlo ma quando Google lo fa porta naturalmente a una riduzione dell’innovazione, mentre quando la critica riguarda il suo pupillo Mark Zuckerberg per Thiel si può sempre rispondere che Zuckerberg è a-ideologico, che lui in realtà non sa cosa abbia in testa anche se letteralmente scrive mail private per plasmare la sua visione del mondo, come sappiamo dal disvelamento di alcuni procedimenti giudiziari. Non solo. Nel mondo di Thiel, Warren Buffett deve essere chiamato «il nonno sociopatico di Omaha», magari nello stesso discorso nel 2022 in cui si insulta il capo di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, e quello di BlackRock, Larry Fink[7]. Oppure definisce, nel 2023, la società di consulenza McKinsey «un racket falso e super-corrotto». Diciamo la verità: tutto ciò è anche divertente, così Thiel è un “personaggio”, anche le persone con un coté intellettuale si ritrovano incuriosite e forse un po’ compiaciute compiaciuti dall’esistenza del riccone che manda al diavolo chiunque e che nel mentre cita Schmitt e Strauss.

Thiel conosce i meccanismi dell’attenzione del nostro tempo, la dopamina dei social media: d’altra parte, sono letteralmente soldi suoi. Così “l’arte della scrittura” evolve, nel meccanismo della sfrontatezza e della sfacciataggine, nel suo gemello Alex Karp, che nel posizionamento essoterico per eccellenza, quello di una società quotata qual è Palantir, fa dell’irriverenza una chiara modalità di posizionamento, continuamente rivendicata. Karp dice frasi come «Abbiamo avuto una religione pagana che si è infiltrata nelle nostre università e quella religione pagana in pratica dice che tutto ciò che è buono dell’America, tutto ciò che funziona davvero, è ipso facto cattivo». Oppure che non ci sono aziende di software in Cina e l’unica cosa che oggi conta nella tecnologia è avere esperienza in Palantir. E ha letteralmente affermato: «Adoro l’idea di avere un drone che spruzza urina leggermente drogata con fentanyl sugli analisti che hanno cercato di fregarci»[8].

In questo modo, vediamo lo sviluppo di una “arte della scrittura” che invita a un continuo miscuglio tra l’alto e il basso, e si basa sulla rivendicazione dell’irriverenza. Un mondo in cui tutto, peraltro, può essere costantemente rovesciato: si potrebbe infatti sostenere che Palantir vuole sostituire il racket della sua consulenza a quello, divenuto per certi versi obsoleto, di McKinsey. Ma magari un giorno le aziende firmeranno un accordo e tutto sarà perdonato, ogni cosa sarà riportata alla sua dimensione, in un gran teatro in cui Warren Buffett un giorno è un vecchio rincretinito e il giorno dopo è un saggio virtuoso che difende i valori dell’Occidente.

 

Anticristo e Katechon

Nell’articolata biografia di Thiel scritta da Max Chafkin, The Contrarian, nel lungo elenco dei nomi e dei concetti negli indici alla fine del testo non si fa riferimento all’Anticristo e al Katechon. Questa mancanza ha senz’altro suscitato l’indignazione di Thiel, che nel suo stile esoterico/contrarian vuole essere ricordato esattamente come l’investitore che è in grado di maneggiare questi concetti. Come intellettuale-teologo che, davanti a una domanda precisa, può rispondere con l’evocazione di una bibliografia.

Su Limes ho pubblicato una “biblioteca di Thiel”, basandomi sul Syllabus del corso dell’Università di Stanford del 2019 tenuto con Russell Berman e intitolato La sovranità e i limiti della globalizzazione e della tecnologia. Il tema dell’apocalisse appare più volte e non a caso sono presenti i testi del filosofo e letterato russo Vladimir Solov’ëv. Ancora una volta, “l’arte della scrittura” di Thiel ha deciso di colpire.

Ad affascinare Thiel, com’è prevedibile, è I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, l’ultima e immaginifica opera di Solov’ëv. Vale la pena di riprenderne la storia. Il racconto di Solov’ëv, composto alla fine del diciannovesimo secolo, dipinge un affresco d’epoca segnato da grandi guerre, lotte interne e rivolgimenti. Nella realtà storica, Solov’ëv scrive nel momento tra la prima guerra sino-giapponese e la guerra tra Russia e Giappone, successiva alla sua morte. Nella finzione del racconto, Solov’ëv pone l’attenzione sul panmongolismo, un movimento intellettuale sorto in Giappone che porta all’unione dei popoli dell’Asia orientale sotto la supremazia giapponese e alla lotta vittoriosa contro gli europei, che divengono i vassalli dei nuovi mongoli. Eppure, dopo alcuni anni, anche per via dei problemi arrecati da «un’imponente invasione in Europa di operai cinesi e giapponesi»[9], gli europei si mettono insieme per rovesciare l’oppressore.

«Come il suo mezzo secolo di sottomissione ai barbari asiatici era dovuto alla mancanza di unione fra le nazioni europee che pensavano soltanto ai propri particolari interessi nazionali, così la grandiosa e gloriosa liberazione era stata raggiunta mediante l’organizzazione internazionale delle forze riunite di tutta la popolazione europea»[10]. L’Europa così sconfigge il nazionalismo ed emergono dal nulla “gli Stati Uniti d’Europa”[11]. In quell’epoca, nonostante i progressi materiali, le questioni interiori legate alla vita, alla morte e al destino dell’uomo rimangono irrisolte, con la definitiva caduta del materialismo teorico ma anche la perdita di una fede semplice e istintiva.

In questo scenario emerge una figura straordinaria, un “superuomo” o “uomo del futuro” che si ritiene il figlio di Dio. Questo personaggio, pur credendo in Dio, nel profondo della sua anima preferisce sé stesso. Ritenendo Cristo nient’altro che un precursore, che ha preparato la sua strada, è allo stesso tempo corroso dall’invidia e dall’odio per Cristo, che lo porta a una crisi mistica e alla comunicazione con l’Avversario di Dio (che in quel momento del racconto non è nominato in modo esplicito), che lo riconosce come suo figlio e in un certo senso lo mette al trono come principe di questo mondo. Da quel momento il “superuomo” rinasce a nuovo vigore, anche attraverso un’opera, La via aperta verso la pace e il benessere universale. L’uomo del futuro, esperto di artiglieria e grande capitalista, con legami nei circoli finanziari e militari, viene prima nominato imperatore degli Stati Uniti d’Europa e poi imperatore universale. La sua ascesa risolve la crisi politica e sociale degli Stati Uniti d’Europa, un’unione minacciata da conflitti interni, centralizzando l’autorità sotto una sola potenza. L’imperatore dice: «Il diritto internazionale possiede finalmente quella sanzione che fino ad esso gli mancava. E d’ora innanzi nessuna potenza oserà dire: guerra, quando io dico: pace! Popoli della terra la pace sia con voi»[12].

Dopo aver risolto la questione politica ed economica, portando a “sazietà” tutti i suoi sudditi, l’imperatore si rivolge a quella religiosa, elemento mancante della sua grande unificazione. Il cristianesimo, ridotto a circa quarantacinque milioni di fedeli, non ha più la forza dei numeri ma ha una forza spirituale. Le ostilità tra le confessioni (cattolici, protestanti, ortodossi) si sono attenuate. Il papa, scacciato da Roma, ha trovato asilo a Pietroburgo. L’imperatore convoca un concilio ecumenico a Gerusalemme, città dove ha fatto erigere un vasto tempio per l’unione di tutti i culti. Tre figure spiccano tra i tremila partecipanti: Papa Pietro II; lo starec Ioann, vescovo russo a riposo che per alcuni è l’apostolo Giovanni che non è mai morto; il professor Pauli, dotto teologo tedesco rappresentante del protestantesimo.

L’imperatore, con tono amorevole e velata ironia, chiede ai fedeli cosa abbiano di più caro nel cristianesimo. Non ha risposta e allora elargisce a ogni gruppo, a ogni confessione, ciò che ha di più caro, così guadagnando il consenso della stragrande maggioranza, di cui sfrutta le divisioni, ma non dei tre personaggi, (Pietro, Ioann, Pauli) che restano indifferenti ai doni, insieme a un gruppo sparuto di fedeli. Ioann chiede che l’imperatore proclami la sua fede in Gesù come il Cristo e, davanti a un silenzio di nuovo coperto dall’offerta dei doni, denuncia l’imperatore come Anticristo. Papa Pietro II lo scomunica, ed entrambi sono uccisi dalla magia di un suo sgherro. Il professor Pauli abbandona la scena e va in esilio nel deserto, dopo aver inserito il riconoscimento dell’Anticristo nella delibera del concilio ecumenico. Nel deserto, i cristiani rimasti hanno portato con loro i corpi di Ioann e Pietro, che risorgono.

In seguito, il nuovo papa, lo sgherro dell’imperatore chiamato Apollonio, corrompe i cristiani superficiali con prodigi e meraviglie, aprendo le porte tra il mondo terreno e l’oltretomba. L’imperatore si proclama l’unica vera incarnazione della divinità suprema. A questo punto, si verifica una svolta inaspettata: gli ebrei si sollevano. Essi avevano inizialmente riconosciuto l’imperatore come il Messia, credendo che volesse instaurare il dominio mondiale di Israele. L’imperatore, colto di sorpresa, decreta la morte di tutti gli ebrei e i cristiani indomiti, massacrandone molti. Gli ebrei, tuttavia, riconquistano Gerusalemme, costringendo l’Anticristo a una ritirata in Siria. Quando i due eserciti si scontrano vicino al Mar Morto, un terremoto di potenza inaudita apre il cratere di un vulcano, inghiottendo l’imperatore e le sue truppe in un lago di fiamme. Gli ebrei fuggono a Gerusalemme, invocando Dio. A quel punto, Cristo scende in abiti regali, con le piaghe dei chiodi sulle mani spalancate. Folle esultanti di cristiani risorti accorrono dal Sinai verso Sion. Tutti gli ebrei e i cristiani giustiziati dall’Anticristo sono risorti.

Nella finzione letteraria di Solov’ëv, i personaggi che commentano il racconto ne parlano come la rappresentazione del nostro processo storico. In ogni processo storico, secondo la visione letterale dell’apocalisse cristiana, la storia è segnata dall’apparizione, dal trionfo e dalla rovina dell’Anticristo. Nell’immaginario apocalittico, il processo che conduce al ritorno di Cristo ha un carattere conflittuale, bellico. Guerre che non hanno il carattere del bellum ma che cominciano con un grido, con la persuasione di essere attori della guerra definitiva, dello sbranarsi l’un l’altro come compimento. Solov’ëv lo fa dire ai suoi personaggi, quando ci ricorda «su quale evento cala il sipario di questo dramma storico: sulla guerra, sullo scontro tra due eserciti»[13].

Una lunga discussione della storia delle idee è dedicata alla secolarizzazione dei concetti teologici dell’Anticristo e del katechon, ovvero l’enigmatica presenza nella Seconda lettera ai Tessalonicesi di qualcosa o qualcuno che trattiene, arrestando o frenando il regno dell’Anticristo, ma che dovrà essere tolto di mezzo, affinché l’Anticristo si disveli e Cristo possa tornare sulla terra. Il problema dell’identificazione del katechon e più in generale la sua controversia ha caratterizzato una riflessione teologica di lungo corso, come mostrato da Massimo Cacciari con l’antologia dei testi del volume da lui dedicato a questo tema, Il potere che frena[14]. In quella lettura, l’Anticristo non è una semplice forza del caos ma la pretesa di un “nuovo ordine”. Costruisce una società che è «mobilitazione universale, insofferenza di ogni confine, liquidazione di ogni ethos».

Con una forzatura, nell’antologia dei testi sul katechon si può ora inserire “l’arte della scrittura” di Thiel, in cui concetti come Anticristo e katechon non vengono certo affrontati in tutta la loro profondità e complessità filosofica e teologica, temi su cui peraltro tanti studiosi italiani hanno fornito importanti contributi, ben più pregnanti rispetto alle citazioni e agli ammiccamenti di Thiel. È simpatico immaginare Thiel che legge Rozanov, o Florenskij. Oppure sentire J.D. Vance che cita l’ordo amoris[15]. Chi ascolta questi passaggi con una formazione filosofica e teologica, come quella che ho avuto l’onore di avere attraverso Massimo Cacciari e la comunità di studio che ha costruito, i suoi docenti e i suoi rimandi, all’inizio presta attenzione ma poi – credo – prova una certa tristezza. Sulla teologia politica, è sufficiente rileggere gli appunti di qualche vecchia lezione di Vincenzo Vitiello per cogliere la differenza. La teologia politica di Thiel e dei suoi allievi è una rimasticatura di concetti rivolta a chi non ha nemmeno una piccola infarinatura per comprenderne il sovvertimento, oppure è semplice disonestà intellettuale. Pensare che J.D. Vance prenda il problema dell’ordo amoris per farne la rappresentazione di un comunitarismo per cui si vuole prima più bene alla propria famiglia, poi al proprio quartiere, poi agli altri eccetera, non può che mettere tristezza[16], mentre il cristianesimo, qualora vi fosse bisogno di specificarlo, è segnato dallo scandalo della prossimità, dall’esigenza continua di “farsi prossimo”, senza cui logicamente non può esserci “cattolicità”. Poi, certo, c’è la struttura della Chiesa, la sua forma politica, la complexio oppositorum, ma non per questo possiamo dire che l’ordo amoris sia “amo di più la mia famiglia e i miei simili degli altri”, perché non ha senso.

Restiamo al concetto apocalittico. È evidente il paradosso della storia cristiana, su cui si erige una visione di grande rilievo per il pensiero occidentale: da un lato la storia è già giudicata dalla Croce, l’evento che chiama i fedeli alla scelta, e quindi è rivelata; allo stesso tempo, il tessuto della storia si dipana, le vicende del genere umano continuano a svolgersi generazione dopo generazione su questa terra. Il trionfo dell’Anticristo è trattenuto. Come dice uno dei personaggi di Solov’ëv, «sulla scena vi saranno ancora molte chiacchiere e vanità, ma il dramma è già stato scritto interamente da un pezzo sino alla fine e non è permesso né agli spettatori né agli attori di apportarvi alcun mutamento»[17]. Il katechon si può identificare anche con le stesse «chiacchiere e vanità» che divengono sostanziali, o con una forza di divisione, che trattiene il mondo dalla sua unità, più o meno in complicità con l’Avversario. Il regno dell’Anticristo, difatti, presuppone l’unità del mondo.

Questa prospettiva affascinava Carl Schmitt e viene in sostanza ripresa da Thiel. Nell’inserire nella sua “arte di scrittura” di saggi occasionali e conferenze i riferimenti ai racconti dell’Anticristo, tra cui Solov’ëv e il libro di Robert Hugh Benson del 1905 Il Signore del mondo, Thiel si lamenta che non venga spiegato in modo abbastanza accurato, in pratica, come l’Anticristo prenda il potere a livello globale. A ragione, considera il trionfo attraverso un’opera letteraria, come nel “superuomo” di Solov’ëv, poco plausibile. Il buco nella trama individuato da Thiel è il passaggio dal “superuomo” pieno di talenti alle specifiche competenze finanziarie, economiche e militari che a un certo punto gli vengono attribuite (dopo l’incontro “abissale” con l’Avversario) e che generano l’unità del mondo, verso cui d’altra parte il mondo del racconto di Solov’ëv inclina chiaramente. È tutto un processo di realizzazioni unitarie, di aggregazioni, dal panmongolismo agli Stati Uniti d’Europa: questa tendenza all’unità è un presupposto del racconto.

L’unità del mondo, secondo la visione di Thiel, è invece divenuta realizzabile attraverso un’altra discontinuità. Si tratta della possibilità di distruggere il mondo in pratica, nell’era nucleare: questa possibilità tecnica è l’alchimia che trasmuta i pamphlet neo-imperiali nei progetti degli scienziati, che costruiscono istituzioni con la pretesa di custodire la pace. Proprio perché vi sono armi che possono distruggere il mondo, l’unità del mondo è una tesi plausibile, fino a diventare un culto tangibile.

Ciò genera un meccanismo apocalittico, e allo stesso tempo una trappola apocalittica, di evocazione di rischi esistenziali per giustificare l’unità del mondo. L’umanità da quel momento è stretta tra Scilla e Cariddi: da un lato, l’Armageddon della tecnologia (poter essere distrutti da armi nucleari, pandemie, intelligenze artificiali); dall’altro lato, il governo mondiale unitario, che in apparenza comprende tutto e a cui tutto si sottomette, che coincide col regno dell’Anticristo.

Secondo Thiel, la paura di Scilla (l’autodistruzione tecnologica) può spingere un’élite politica a imporre Cariddi (un governo mondiale) in nome della pace e della sicurezza. Questo Stato mondiale, presentato come la soluzione a tutti i rischi, non sarebbe altro che una forma di asservimento complessivo, e la sua pretesa di dare a ciascuno ciò che gli spetta, rendendo ognuno perfettamente soddisfatto, portando ognuno a non avere alcuna apertura per Gesù Cristo, lo farebbe identificare con l’Anticristo.

Da ultimo, questa prospettiva – che nasce dal riscontro di un deus ex machina affrettato – deve scontrarsi a sua volta con la realizzabilità pratica di ciò che Thiel propone, poiché partorisce formule e letture che sconfinano in un registro tragicomico. Gli esempi sono numerosi, per esempio l’idea che le “cose nascoste” del maestro René Girard irrompano nella nostra storia attraverso le rivelazioni sull’isola di Jeffrey Epstein.

Secondo un esempio che Thiel ripete spesso, con un certo compiacimento tipico della sua “arte della scrittura” per scandalizzare, in questo senso Greta Thunberg è il katechon che può diventare l’Anticristo. Quindi, ripeto, noi stiamo considerando l’intellettuale o teologo della Silicon Valley uno che dice che Greta Thunberg è l’Anticristo, che osserva con severità come il “superuomo” di Solov’ëv non giunga al potere in modo abbastanza convincente mentre il metodo dell’attivista svedese può essere considerato più promettente. In un altro momento, una figura come Edoardo Amaldi[18], poiché ha costruito istituzioni scientifiche per la pace con una pretesa unitaria, svolgeva lo stesso ruolo. Sono gli scienziati che secondo Thiel possono realizzare l’unità del mondo: obiettivo nobile ma sempre più remoto, visti i condizionamenti economici e politici sull’impresa scientifica, che non ha alcun modo di procedere, soprattutto nel nostro tempo, in modo incondizionato. Poiché nessuno può sapere quale modalità di interpretare il katechon diventerà realmente l’Anticristo, bisogna capire che Thiel punta a gridare sempre “al lupo! al lupo!” quando si materializzano pretese di “governance dell’intelligenza artificiale”[19] o quando più in generale si parla di “sfide globali”.

«Lo statista o la statista cristiani che aspirano a essere un saggio amministratore del nostro tempo» (p. 122), per usare un’espressione de Il momento straussiano, dovrebbero riconoscere la distanza di questi esempi da ogni ipotesi realistica. Mettiamo da parte l’aspetto “cristiano”, che non sembra aderire allo spirito del pensiero di Thiel. Cosa vuol dire “amministrare il tempo”? Paralizzarlo davanti alla scelta tra Scilla e Cariddi, in una stagnazione tecnologica che diventa trappola? Scegliere con convinzione la possibile distruzione o la laboriosa costruzione dell’unità del mondo? Amministrare vuol dire anche investire, trovarsi in un sistema capitalistico. Amministrare denaro, il proprio e altrui. Pertanto, la battaglia contro i mulini a vento dell’unità del mondo diviene una tesi di investimento. Investire – questa è la scelta di Thiel – anche nelle cose che hanno un carattere “apocalittico”.

La tecnologia, con la sua capacità di incunearsi in ogni cosa, di ridurre ogni elemento a unità di informazione, di perseguire capacità tecniche nell’oltrepassamento dei limiti, può in effetti conseguire l’unità del mondo? Nel nostro tempo, vediamo chiaramente come la spinta pratica verso l’unità, o più correttamente verso l’interconnessione dei processi, viene strattonata da divisioni politiche, in un sistema di conflitti economici e tecnologici dentro sfere di sicurezza nazionale. Un sistema dove non c’è un nomos comune e dove bisogna riconoscere la compresenza di queste tendenze contraddittorie, che ho spiegato in modo articolato nei miei tre volumi sul capitalismo politico.

Interconnessioni e strattoni. Thiel diviene egli stesso uno di questi strattoni, una figura di “venture capitalist politico” in cerca di grandi ritorni, come l’ha chiamato Ross Douthat in una recente intervista[20]. Una definizione che gli dà forse fastidio, rispetto alle più roboanti pretese intellettuali, ma che coglie nel segno. Thiel grida all’apocalisse per vivere in questo mondo. Per durare. È disturbato, come molte persone ricche che invecchiano, dall’inevitabilità di dover lasciare il mondo, che il suo denaro non potrà cambiare in modo decisivo.

Si può indossare la maglietta “Don’t die”. Si può attendere il momento in cui la propria vita sarà prolungata e investire in questo. Del resto, chi ha voglia di morire? L’apocalisse cristiana, tuttavia, non è questo. La sua immagine più forte resta la “Resurrezione” di Piero della Francesca[21]. L’apocalisse ti chiede di essere martire, di essere sveglio, di testimoniare e di vigilare. Te lo chiede sempre. Cristo è risorto, emerge trionfante dal sepolcro ma gli uomini sono addormentati. Uomini che si agitano, fanno casino, esagerano, provocano, ma in realtà dormono. Non sanno stare svegli. Non sanno vivere da svegli.


[1] Alessandro Aresu, L’ère TikTok: une histoire industrielle et politique, «Le Grand Continent», 12 giugno 2025; Alessandro Aresu, La storia infinita di TikTok, «Substack», 18 maggio 2025.

[2] Andrea Venanzoni, Tecnodestra. I nuovi paradigmi del potere, Signs Publishing, Milano 2025.

[3] Juan Zarate, Treasury’s War. The Unleashing of a New Era of Financial Warfare, Public Affairs, New York 2013.

[4] Il volume di Meier, curatore dell’edizione tedesca delle opere di Strauss, è presente anche in traduzione italiana: Heinrich Meier, La lezione di Carl Schmitt. Quattro capitoli sulla distinzione tra Teologia politica e Filosofia politica, Edizioni Cantagalli, Siena 2018.

[5] Max Chafkin, The Contrarian. Peter Thiel and Silicon Valley’s Pursuit of Power, Penguin Press, New York 2021.

[6] Sul rapporto tra Thiel e J.D. Vance in particolare si veda anche Monica Maggioni, The Presidents, Rai Eri Libri, Roma 2025.

[7] Ho ripreso questi esempi, tra l’altro, in Alessandro Aresu, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Feltrinelli, Milano 2024.

[8] Il video in questione si può vedere per esempio a questo link.

[9] Cito da Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Marietti, Genova 1996, p. 166.

[10] Ivi.

[11] Ivi, p. 167.

[12] Ivi, pp. 176-177.

[13] Ivi, p. 202.

[14] Massimo Cacciari, Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013.

[15] Un lungo approfondimento su questo concetto è in Remo Bodei, Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste, il Mulino, Bologna 1991 /2015.

[16] Su questa controversia, rimando a Federico Petroni, La Chiesa di Vance, «Limes», n. 5/2025. Si veda anche, nello stesso volume, il saggio di Giuseppe De Ruvo, L’etica cattolica e lo spirito del tecnocapitalismo.

[17] Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, op. cit., p. 202.

[18] Edoardo Amaldi, con la prospettiva della scienza per la pace, è uno dei personaggi di Lorenzo Baravalle, La società dei Profeti, Mondadori, Milano 2025.

[19] Per esempio, il concetto di “compute governance” di ricercatori RAND, Technology and Security Policy Center.

[20] Si veda a questo link.

[21] Massimo Cacciari, Tre icone, Adelphi, Milano 2007.

Scritto da
Alessandro Aresu

Laureato in filosofia del diritto con Guido Rossi all’Università San Raffaele di Milano, è consigliere scientifico di «Limes» e collabora con varie riviste. È stato consulente e dirigente di diverse istituzioni, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tra le sue numerose pubblicazioni: “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” (Feltrinelli 2024), “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia” (Feltrinelli 2022), “I cancelli del cielo. Economia e politica della grande corsa allo spazio. 1950-2050” (con Raffaele Mauro, Luiss University Press 2022), “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina” (La Nave di Teseo 2020) e “L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia” (con Luca Gori, il Mulino 2018).

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