Europa: il tavolo delle riforme e l’Italia che non c’è
- 29 Gennaio 2018

Europa: il tavolo delle riforme e l’Italia che non c’è

Scritto da Luca Picotti

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Il dibattito sulla riforma dell’Eurozona che si sta sviluppando in Francia e Germania non sembra trovare un’adeguata eco in Italia, dove la retorica di una campagna elettorale fatta di slogan e promesse irrealizzabili non lascia spazio ad una discussione seria sul futuro dell’Europa, casa comune nella quale, salvo improbabili sorprese, siamo destinati ad alloggiare ancora a lungo. Emmanuel Macron[1] e Angela Merkel, rilanciando il Trattato dell’Eliseo, si apprestano a rivitalizzare l’asse franco-tedesco in vista di una revisione dell’architettura finanziaria dell’Eurozona, operazione necessaria per permettere alla moneta unica di sopravvivere dinanzi alle sfide globali.

La Grande crisi del 2008, in particolare la crisi dei debiti sovrani, ha mostrato infatti i limiti strutturali di un’unione monetaria precoce, non coadiuvata da un progetto politico comune in grado di supplire alla discrasia fra gli obiettivi dei singoli paesi membri. «L’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi» scriveva nelle sue Mémoires Jean Monnet, padre nobile dell’Europa, nel 1976. Saranno proprio i prossimi mesi, con l’Fmi che prevede per il 2018 una crescita dell’Eurozona del 2,2%[2], a determinare le risposte dell’Europa, le auspicate soluzioni alla crisi. Un passaggio così delicato non può essere ignorato da un paese come l’Italia, fragile per quanto riguarda i conti pubblici e il sistema bancario: sarebbe oltremodo ingenuo lasciare, come sta avvenendo ora, che il dibattito sulle riforme si consumi all’interno dell’asse franco-tedesco, con il rischio che vengano prese decisioni deleterie per la nostra economia.

L’esigenza di una riforma è ormai avvertita da tutti in Europa e numerose sono le proposte emerse negli ultimi mesi, dal non paper di Wolfgang Schäuble a quelle avanzate dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker[3]. Di recente, 14 economisti franco-tedeschi hanno pubblicato un paper[4] titolato Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform. Il gruppo di economisti include membri del Consiglio degli Esperti Economici della Germania, come Clemens Fuest, ed ex consiglieri del presidente Macron come Philippe Martin e Jean Pisani-Ferry. Il paper, come scrive Federico Fubini, non è «un accordo ufficiale fra Parigi e Berlino. È semplicemente un bel passo, attentamente studiato, in quella direzione».[5]

Nicola Rossi, presidente dell’istituto Bruno Leoni, intervistato dal Foglio[6] esorta saggiamente – e chi scrive con lui- a non sottovalutare quanto sta avvenendo nel mondo intellettuale franco-tedesco: «L’errore più grande per l’Italia sarebbe di considerare l’appello degli economisti franco-tedeschi un menu à la carte e non una bozza su cui lavorare per identificare un punto di equilibrio più vicino ai nostri interessi».

 

Il documento degli economisti franco-tedeschi

Il paper dei 14 economisti è costituito da numerose proposte[7] volte a riformare le regole di governance fiscale e finanziaria dell’area euro. Un primo punto fondamentale consiste nella riduzione della concentrazione di titoli di stato domestici in portafoglio alle banche, condizione necessaria affinché la Germania possa accettare un’assicurazione comunitaria sui depositi; per chi sfora questi limiti è prevista come pena la richiesta di maggiore capitale. Evidente è la dialettica tra la condivisione del rischio (risk sharing) accettata dai tedeschi e la riduzione del rischio (risk reduction) promessa dai francesi.

Non si illuda chi, ottimista per il semplice fatto che si discuta di riforma dell’Eurozona, spera in un abbandono delle logiche stringenti volute dalla Germania a favore di una svolta solidale e inclusiva: ogni condivisione del rischio ne presuppone una riduzione. Un altro aspetto rilevante che emerge dal paper è l’apparente abbandono dei limiti di deficit previsti dal trattato di Maastricht (rafforzati poi dal Fiscal Compact). Al posto del limite del 3% nel rapporto fra deficit e prodotto lordo vi saranno dei tetti alla spesa nominale (ovvero calcolata nel suo ammontare in euro) specifici per ogni singolo paese al fine di ridurre il debito nel lungo periodo, secondo Sergio Cesaratto «Qui si propone di sostituire al pareggio di bilancio (aggiustato per il ciclo secondo con regole economicamente arbitrarie) un obiettivo di crescita della spesa pubblica che dovrebbe essere in linea con la crescita di lungo periodo del PIL, ma minore di quest’ultima nei Paesi ad alto debito di modo che lentamente rientrino nel rapporto debito/PIL […] Dio solo sa quanta arbitrarietà teorica e pratica v’è tuttavia nel calcolare la crescita di lungo periodo del PIL di un Paese». La spesa pubblica non potrà crescere più del prodotto nominale di lungo periodo – per gli stati con alto debito pubblico deve restare inferiore a quel target-  e se tale regola non verrà rispettata dovranno essere emessi titoli di stato “subordinati”, più costosi e rischiosi, per finanziare la spesa eccedente. Tra le proposte vi è anche quella di un fondo comunitario anti-ciclico, per sostenere singoli stati in fasi di difficoltà e un watchdog (“cane da guardia”) fiscale comunitario con poteri propri.[8]

In sintesi, il paper si articola su tre temi fondamentali: unione bancaria, regole del bilancio e quadro istituzionale. Il risultato è un compromesso franco-tedesco, un equilibrio tra le istanze dei due diversi paesi, uniche parti contraenti. Rimane così l’obiettivo di ridurre i debiti al 60% del Pil ma l’attenzione passa dal deficit alla spesa (si può maliziosamente pensare ad un favore alla Francia, visto che da dieci anni sfora con il deficit). La spesa extra è possibile, ma va finanziata con titoli pubblici di livello junior che rischiano di subire un taglio in caso di ristrutturazione del debito. La garanzia unica sui depositi bancari potrebbe diventare realtà, ma è subordinata alla riduzione del nesso banco-sovrano, definito “un cappio al collo”, e allo smaltimento dei crediti a rischio (Npl). Reconciling risk sharing with market discipline, appunto.

Scrive l’economista Fabio Masini su Formiche.net[9]: «Il principale pericolo di questo documento è di rappresentare una base di discussione aperta (chi lo condivide può sottoscriverlo) ma non negoziabile […] Per questa ragione, è essenziale che la discussione pubblica in Italia si apra immediatamente […] per proporre ulteriori elementi di discussione che possono rischiare di essere esclusi a priori dal dibattito pubblico europeo».

 

L’assenza e la fragilità dell’Italia in Europa

Dalle linee d’azione proposte dai 14 economisti potrebbero infatti derivare alcuni effetti negativi per l’economia italiana. Innanzitutto, è bene essere consapevoli del fatto che qualsivoglia svolta keynesiana auspicata o vagheggiata non è contemplata dal paper: il demiurgo dell’Europa rimane la Germania e il feticcio dell’austerità non verrà di certo abbandonato. Scrive il professor Sergio Cesaratto, commentando il paper: «Un tema sembra ossessionare i vertici europei: come costringere l’Italia a ridurre il suo debito pubblico, costi quel che costi (all’Italia) […] Di crescita e occupazione il documento non fa menzione. Keynes non è mai esistito»[10]. Sarebbe ingenuo pretendere una “Cassa del Mezzogiorno d’Europa” o l’azzeramento dello spread, proposte irricevibili dai paesi nordici. Questo non significa però accettare in modo passivo l’esistente senza avanzare le doverose critiche a delle linee programmatiche che, frutto di un dialogo esclusivamente franco-tedesco, potrebbero dimostrarsi dannose per la nostra economia. Ad esempio, le condizioni volute dai tedeschi per una assicurazione comunitaria sui depositi potrebbero risultare draconiane per il sistema bancario italiano: l’Italia presenta infatti quasi il 30% dello stock di crediti deteriorati (Npl) dell’Eurozona e le sue banche sono inoltre molto esposte verso i Btp (titoli sovrani). Secondo la linea tracciata dal paper – linea che riflette le posizioni sui bond sovrani del falco tedesco Weidmann, numero uno della Bundesbank– le banche dovrebbero liberare il proprio bilancio da gran parte dei titoli sovrani del proprio paese e svalutare anche i crediti deteriorati esistenti: “Per le banche italiane si aprirebbe un buco immediato di capitale da decine di miliardi di euro”[11]. Inoltre, se non si rispetta questa regola, si verrà penalizzati con la richiesta di un aumento di capitale, un incubo, di questi tempi, per lo stato italiano.

Un’ulteriore criticità emerge se ci si focalizza sulla svolta fiscale (l’attenzione si sposta dal deficit alla spesa). I calcoli di Carlo Altomonte, ordinario di Politiche e Management pubblico alla Bocconi, inquadrano con scetticismo il fenomeno: «Sintetizzando, se l’Italia come negli ultimi anni cresce in media all’1% più un uno di inflazione, ed essendo noi un paese ad alto debito, la crescita nominale della spesa pubblica non può superare, ipotizziamo, l’1,5 per cento. Ho calcolato su dati Ocse la media 2012-2015 dell’aumento di spesa pubblica pro-capite e viene l’1,4. Considerando che questi sono anni di relativa austerità, e che ogni sforamento di spesa di questo target dovrebbe essere finanziato con titoli ad hoc junior di debito pubblico, che costerebbero un sacco in termini di interessi, non è che andiamo molto lontano».[12]

Infine, un altro aspetto discutibile, sottolineato da Sergio Cesaratto, è la “logica punitiva” che vuole ogni assistenza finanziaria da parte del fondo salva-stati Esm subordinata a una ristrutturazione del debito (con allungamento scadenze e, se necessario, la cancellazione di una sua quota, ad esempio relativa alle junior bond). Questo vuol dire, scrive l’economista, che sotto la minaccia di ristrutturazione dei debiti saranno i mercati a vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito imponendo tassi più elevati; un problema non irrilevante per i paesi molto indebitati come l’Italia.

Il principio costitutivo di questa nuova architettura è chiaro: condivisione dei rischi in un sistema sanzionatorio dove il mercato prevale.[13] La proposta è pericolosamente realistica: questo dovrebbe sollecitare politici ed economisti nostrani ad entrare nel dibattito. Il paper è infatti «anche una sfida agli economisti degli altri Paesi d’Europa, e tra questi l’Italia, a formulare proposte che possano essere accolte anche al di là dei confini nazionali».[14]

In Italia vi è poca consapevolezza del fatto che, mentre noi siamo alle prese con le chiassose vicende interne di una campagna elettorale ridotta a bazar politico, Francia e Germania si stanno impegnando a cucire un nuovo abito per l’Eurozona adatto alle loro esigenze. Il rischio, per noi, è quello di ritrovarci addosso un abito troppo stretto, costretti ad indossarlo senza aver nemmeno partecipato alla cucitura.


[1]    Il Presidente francese si è subito fatto riconoscere per il suo forte europeismo. Celebre è il suo discorso alla Sorbona il 26 settembre 2017: «Sono venuto qui a parlarvi di Europa».

[2]    http://www.trend-online.com/ansa/eurozonafmi-vede-pil-2018-a2-2–299238/

[3]   Non-paper for paving the way towards a Stability Unionhttp://media2.corriere.it/corriere/pdf/2017/non-paper.pdf e le proposte della Commissione: https://ec.europa.eu/commission/news/deepening-europes-economic-and-monetary-union-2017-dec-06_it

[4]    Agnès Bénassy-Quéré, Markus K. Brunnermeier, Henrik Enderlein, Emmanuel Farhi, Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Pierre-Olivier Gourinchas, Philippe Martin, Jean Pisani-Ferry, Hélène Rey, Isabel Schnabel, Nicolas Véron, Beatrice Weder di Mauro, Jeromin Zettelmeyer; https://cepr.org/sites/default/files/policy_insights/PolicyInsight91.pdf

[5]    F. Fubini, A Berlino e Parigi si ridisegna l’euro (e l’Italia lo ignora), in «Corriere della Sera», 18 gennaio 2018.

[6]    https://www.ilfoglio.it/economia/2018/01/18/news/una-gran-riforma-franco-tedesca-dell-eurozona-trova-sponde-pure-in-italia-173599/

[7]    Un’ottima sintesi di Mario Seminerio: https://phastidio.net/2018/01/18/riforma-delleurozona-una-proposta-realista-e-da-approfondire/

[8]    Un possibile preludio ad un Ministro delle Finanze unico dell’area euro.

[9]    http://formiche.net/2018/01/24/documento-degli-economisti-franco-tedeschi-lassenza-italiana/

[10]  S. Cesaratto, L’idea franco-tedesca per ingabbiare l’Italia, in «Il Fatto Quotidiano» 24 gennaio 2018.

[11]  F. Fubini, A Berlino e Parigi si ridisegna l’euro (e l’Italia lo ignora), in «Corriere della Sera», 18 gennaio 2018.

[12]  https://www.ilfoglio.it/economia/2018/01/18/news/una-gran-riforma-franco-tedesca-dell-eurozona-trova-sponde-pure-in-italia-173599/

[13]  https://phastidio.net/2018/01/18/riforma-delleurozona-una-proposta-realista-e-da-approfondire/

[14]  F. Giugliano, Il nostro ruolo nella riforma dell’eurozona, in «La Repubblica», 21 gennaio 2018.

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

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