Scritto da Giacomo Centanaro
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Nel regno che Luigi XI eredita dal padre, Carlo VII, a otto anni dalla fine della Guerra dei Cent’Anni, la grande nobiltà non ha ancora rinunciato alle proprie ambizioni. Lo scenario che si presenta davanti agli occhi del nuovo re è quello di una Francia in cui il regionalismo feudale ha ripreso forza e i territori posti direttamente sotto l’autorità reale eguagliano appena i possedimenti dei grandi feudatari. La maggior parte dei grandi vassalli gode di privilegi e di importanti risorse, e al momento dell’ascesa al trono, le prerogative reali di Luigi XI (vedi i diritti di tassazione) variano grandemente da una regione all’altra. Luigi XI si trova dunque a dover fronteggiare le spinte centrifughe dei grandi feudatari, che non riconoscono la sua autorità.
Questa situazione è ben rappresentata dal caso del Ducato di Borgogna, che con i suoi vasti e ricchi possedimenti si estende a est e a nord del regno di Francia, comprendendo, oltre al suo nucleo storico, le Fiandre, la Franca Contea e la Piccardia.[1] Come sostiene Paul Murray Kendall: «Nella lotta che condusse per riportare quei principi orgogliosi al rango di leali sudditi, Luigi XI si servì di un’arma che i suoi predecessori non erano stati in grado di utilizzare. L’universo medioevale dei principi e dei cavalieri aveva visto nascere una terza potenza, quella delle città e della loro borghesia, quella del denaro»[2].
Lo sviluppo delle città ne aveva fatto delle alleate naturali del re, nel quale trovavano un protettore capace di difenderle dagli abusi dei signori. Nella gerarchia delle corporazioni cittadine, le posizioni apicali erano occupate dai banchieri e dai grandi mercanti e non stupisce che nel XV secolo «il re di Francia si premurasse di informare le sue “buone città” dei suoi progetti e della sua politica. I delegati municipali ricevevano abitualmente un caloroso benvenuto a corte. Luigi XI li chiamava “i miei amici” e traeva piacere a intrattenersi con loro con un linguaggio familiare, pensato per sedurli».[3] Il re era dunque ben conscio del valore politico e di sostegno ai suoi progetti del capitale finanziario dell’alta borghesia cittadina,[4] e nella sua azione di governo dimostrò in diverse questioni un approccio “moderno” e ricorse a soluzioni inedite, condotte non manu militari, ma attraverso strumenti di politica, e persino di intelligence, economica.
Una delle caratteristiche dello Stato moderno risiede nel ruolo cruciale che ha il denaro: dalla fine del Medioevo, governare vuol dire spendere e per poterlo fare è necessario trovare dei fondi.[5] Nella Francia della seconda metà del XV secolo, Luigi XI si dimostrò pienamente cosciente che le finanze reali erano diventate una delle principali leve del potere:[6] appena si insediò scelse personalmente i componenti della Camera dei Conti e i funzionari dell’amministrazione finanziaria.[7] Il nuovo re non condivideva l’approccio passivo che aveva prevalso fino al regno di Carlo VII. Secondo questa concezione lo strumento fiscale non era al servizio dello Stato ma delle ambizioni politiche del monarca: la politica economica non era percepita come fine a sé stessa «ma come ausiliaria di un grande disegno politico»[8], ossia la distruzione della potenza borgognona.[9]
Un altro aspetto della discontinuità che Luigi XI aveva introdotto nell’utilizzo degli strumenti di governo era la sua volontà di «bloccare le uscite di oro e argento in un momento di grande penuria che aveva toccato l’intera Europa e meno legata al valore dei metalli, quanto alla possibilità che questi offrivano di aiutare lo sviluppo del commercio. […] voleva trattenere l’oro e l’argento nel reame per sostenere il commercio, non per tesaurizzarli[10] […] A una politica strettamente monetaria il re preferiva la vitalità della vita economica[11] […] in materia di commercio estero e di dogane, inaugurò un vero e proprio nazionalismo economico, che sarebbe stato alla base del “mercantilismo” dei secoli seguenti».[12]
Il «mercante travestito da re»[13] diede impulso alle fiere poste sotto la sua giurisdizione, utilizzando il commercio internazionale come mezzo di pressione sui suoi vicini, specialmente sul Ducato di Borgogna. Per combattere il suo maggior nemico «inventò una nuova arma, la guerra fredda…»[14], in cui il fronte principale era quello economico. Come racconta Ali Laïdi, Luigi XI, che non a caso fu soprannominato “il Prudente”, si dimostrò un fine stratega che sembrava aver già intuito le potenzialità dei mezzi della guerra economica. Finanziò una rete di spionaggio, composta da nobili e da agenti specializzati, che si fingevano religiosi o mercanti, si appoggiò ai mercanti che viaggiavano per tutta l’Europa per ottenere informazioni su tutte le corti europee, specialmente su quelli genovesi, che lo informavano sull’Inghilterra. Corrompeva persone vicine ai suoi nemici per ottenere informazioni o acquistarne la corrispondenza privata: nel 1475, ad esempio, pagò 60 marchi d’argento al segretario del re d’Inghilterra per ottenere due lettere inviate al sovrano da Pierre d’Urfé, vicino al duca di Bretagna. Dimostrò anche particolare abilità nel trattare con gli agenti nemici, scoprendo le loro coperture e convincendoli a lavorare per lui.[15]
Il re aveva ben compreso come l’economia fosse una delle fonti del potere di un paese. Ed è per questo, sostiene Laïdi, che fece del commercio francese un’arma contro gli avversari e i concorrenti della Francia e sostenne alcune produzioni “strategiche”, come quella della seta, che venne introdotta in Francia; inoltre creò nuove fiere e ne potenziò altre, come quella di Lione, che come vedremo avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella sua “guerra fredda” contro la Borgogna.[16]
Vale la pena di soffermarsi su ciò che le fiere, i grandi mercati, rappresentavano per l’economia e per il tessuto produttivo dell’epoca. Nell’articolo Le grandi fiere medievali e l’origine della merce moderna, Stefano Cristante e Francesco Filotico prendono come archetipo di grande fiera basso-medioevale quelle della regione francese della Champagne, la cui nascita è fatta risalire alla forte volontà dei signori territoriali.[17] «Considerate da Fernand Braudel “l’appuntamento dell’Europa intera, di tutto ciò che il Nord e il Sud potevano offrire, le fiere della Champagne non erano una mera esposizione di mercanzie, ma assumevano piuttosto il carattere di veri e propri eventi, allestiti all’interno di spazi cintati, dove costruzioni in legno o tende, aperte anteriormente, ospitavano uomini e merci».
I signori promuovevano i raduni fieristici poiché «su ogni transazione il signore riceveva denaro, sotto forma di tasse e tributi, riscossi sui banchi di vendita dei mercanti, sui loro alloggi, sulle compravendite, su pesi e misure».[18] Inoltre, attraverso l’istituzione di fiere si ampliavano le relazioni diplomatiche e commerciali e si ottenevano occasioni per sviluppare rapporti privilegiati con l’alta Curia, concedendo la riscossione di tributi; i mercanti inoltre erano attirati anche dalla sicurezza delle fiere.[19] Un banco di prova e un’opportunità per la credibilità, il prestigio e le finanze del signore ospitante, quindi. Le fiere erano prerogative del re, che era l’unico a poter concedere l’autorizzazione per istituirne una; questa decisione era strettamente legata a scelte economiche e politiche, per ricompensare dei servigi o per contrastare un’opposizione.[20]
Nel 1462 la città di Ginevra prende le parti di Filippo II di Savoia, che si opponeva a Luigi XI. La fiera di Ginevra era una piazza commerciale importante per la casa di Borgogna e per le sue relazioni con l’Italia: colpirla avrebbe significato sferrare un serio attacco alle finanze nemiche. Il re di Francia scatenò allora una guerra economica contro la fiera di Ginevra, imponendone il totale boicottaggio, non solo ai mercanti francesi, ma anche a quelli stranieri. Domandò loro di non recarsi più a Ginevra per affari, ma di scegliere Lione, e negò il passaggio sui territori sotto il suo controllo di tutte le merci destinate alla fiera ginevrina; la fiera di Lione verrà inoltre attentamente organizzata nelle stesse date di quella di Ginevra. Le misure funzionarono e tra il 1462 e il 1466 alcuni banchieri italiani spostarono le loro succursali da Ginevra a Lione, dirigendo su quest’ultima parte del commercio con l’Italia.[21]
Un’altra decisiva e riuscita operazione di guerra economica è quella che vedrà come bersaglio diretto Venezia, ma i cui costi finali ricadranno pesantemente sul Ducato di Borgogna. Nel 1466 Venezia ridusse le tariffe della sua attività di trasporto, decisione che viene interpretata da Luigi XI come una vera e propria dichiarazione di guerra economica, in quanto questa misura avrebbe danneggiato l’attività lungo la rotta per il Levante delle galere al servizio della corona francese. Alle autorità portuali della Linguadoca (regione fulcro del commercio marittimo francese, le cui fiere e mercati avevano beneficiato dei privilegi concessi dal dirigismo economico di Luigi XI[22]) venne ordinato di scaricare la merce dei navigli veneziani solo dopo che tutte le navi francesi fossero state servite.
L’anno seguente i porti della Linguadoca furono interdetti a tutti i navigli stranieri e ciò interessò soprattutto il commercio delle spezie; il prezzo del provvedimento venne pagato in modo particolare da Venezia, le cui perdite furono stimate tra i 200.000 e i 300.000 scudi all’anno.[23] La Serenissima pagava per i propri legami con il Ducato di Borgogna, di cui era accusata di sostenerne l’economia continuando a commerciare con Anversa nonostante l’embargo decretato da Luigi XI. Per fare cessare del tutto i rapporti commerciali tra Venezia e la Borgogna, Luigi XI utilizzò un’arma che un secolo dopo si rivelerà uno degli strumenti di guerra economica più efficaci: la guerra di corsa. Nel 1469, con i primi attacchi dei corsari francesi alle navi veneziane nel Canale della Manica iniziò parallelamente una schermaglia diplomatica tra Parigi e Venezia, in cui quest’ultima, pur attrezzandosi per difendere i propri interessi, continua a inviare ambascerie al re per chiedere che l’attività dei corsari cessi. Ma la posizione del re non cambia e nel 1476 questi dichiara: «(quando voi) ci prometterete e assicurerete di non donare più aiuto, favori o rifugio al duca di Borgogna […] noi vi considereremo come nostri amici e manterremo in sicurezza i vostri beni e i vostri mercanti».[24] Il 9 gennaio del 1478 venne firmato un trattato di pace che ristabilì la buona amicizia tra la Francia e Venezia e che isolò diplomaticamente il duca di Borgogna. Le ricadute negative colpirono il porto di Anversa, che alimentava l’economia del ducato: come per Ginevra, la sua fiera viene boicottata e le sue rotte con l’Europa del sud rese insicure dai corsari francesi. Persino i pescatori di aringhe vennero dissuasi dal proseguire la loro attività, il prezzo del pescato si alzò e anche questo contribuì a destabilizzare l’economia.[25]
Già nel 1467 Luigi XI offrì condizioni favorevoli ai mercanti inglesi perché questi spostassero i loro affari da Anversa. Tre anni più tardi, venne proibito ai mercanti francesi qualsiasi piazza commerciale borgognona. La guerra economica del re non colpì solo i beni di lusso (vino e lana) ma anche le esportazioni di cereali verso Anversa, questo, nella strategia del re, avrebbe potuto provocare una carestia, portare a un sollevazione popolare contro il duca e anche indurre i migliori lavoratori dell’industria tessile fiamminga a trasferirsi in Francia. Quest’ultimo punto ci aiuta a comprendere la longevità e la persistenza di alcuni elementi, che permangono negli scontri tra paesi, ad esempio il grande valore attribuito al capitale umano, visto come una risorsa strategica per la potenza di una nazione.
Jean Favier sostenne che «una tale guerra economica portò i suoi frutti», i mercanti di Anversa erano sempre meno disposti a versare denaro per la guerra contro la Francia e presto avrebbero obbligato il Duca Massimiliano a firmare la pace con la Francia. Luigi XI chiese ai grandi banchieri italiani di cessare di finanziare il duca di Borgogna e questi presero le parti di Luigi XI; i Medici, ad esempio, erano strettamente legati alla corona francese in quanto avevano permesso al regno di Francia di pagare quanto dovuto a Edoardo IV di Inghilterra, secondo quanto stabilito dal trattato di Picquigny, che aveva posto fine alla Guerra dei cent’anni. Le finanze borgognone erano in condizioni disperate e nel 1493 il Duca fu costretto dalle pressioni interne a piegarsi alla Francia.[26] Luigi XI fu il primo re francese a sconfiggere un nemico utilizzando primariamente l’arma economica[27], portando avanti una campagna di distruzione economica e finanziaria che aumentava gradualmente la pressione sulle Fiandre.[28]
Il dirigismo economico di Luigi XI dimostrò la sua complessità negli strumenti usati per condurre la guerra economica: non era sufficiente sostenere la produzione nazionale, ma bisognava anche incentivarne la qualità e fare in modo che le corrette informazioni giungano sui mercati esteri. Il re impose lo studio dei procedimenti industriali usati negli altri paesi per fabbricare la stoffa di lana, ne “normò” la produzione e ne fece un punto di forza per battere la concorrenza straniera; era importante fare riconoscere il marchio distintivo delle produzioni francesi e se non era possibile battere la concorrenza straniera, questa veniva imitata.[29] Quello di Luigi XI è un perfetto esempio di conduzione da parte del vertice politico di una strategia di guerra economica, ma anche della necessaria collaborazione fra diverse parti sociali. La corona francese per poter completare il proprio disegno politico fu più volte costretta a interloquire con numerosi soggetti economici, dotati di una certa autonomia. L’esperienza di Luigi XI, “il re travestito da mercante”, ci dimostra come la storia dell’umanità sia fondata sulla ricerca dei mezzi per svilupparsi e sul ricorso alla forza e, citando Christian Harbulot, come la guerra economica sia «l’espressione maggiore dei rapporti di forza non militari» e come infine «la sopravvivenza di un Paese o di un popolo, così come la ricerca, la conservazione e l’accrescimento della potenza ne sono i principali fattori scatenanti».[30]
[1] Paul Murray Kendall, Louis XI, Pluriel, edizione francese.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] A titolo esemplificativo del potenziale impatto che le istituzioni di credito potevano avere sui progetti di interi regni si può fare riferimento al rifiuto del 1345 di Edoardo III d’Inghilterra di pagare i propri debiti con le grandi famiglie di banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi, che secondo il cronista fiorentino Giovanni Villani avevano prestato al re una quantità di fiorini d’oro che “valeva un reame”.
[5] P. M. Kendall, op. cit.
[6] Jean-François Lassalmonie, La politique fiscale de Louis XI (1461-1483). in Actes des congrès de la Société des historiens médiévistes de l’enseignement supérieur public, 28° congresso, Clermont-Ferrand, 1997.
[7] P. Contamine, Louis XI, la prise de pouvoir, la foire aux places, dans Id., Des pouvoirs en France, Paris, Presses de l’École Normale Supérieure, 1992, in Lassalmonie Jean-François, op. cit.
[8] R. Gandilhon, Politique économique de Louis XI, Paris, 1940, n° 2, in L., Jean-Francois, op. cit.
[9] Jean-Francois Lassalmonie, op. cit.
[10] H. A. Miskimin, Money and Power in fifteenth-Century France, New Haven et Londres, Yale University Press, 1984, in Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique, Perrin, Parigi, 2016.
[11] P. Contamine, M. Bompaire, S. Lebecq, Jean-Luc Sarrazin, L’Économie médiévale, Paris, Armand Colin, 1993, in Ali Laïdi, ibidem.
[12] A. Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[13] Arthur Le Moyne de La Borderie, Histoire de la Bretagne, Rennes, Plihon et Hommay, t. 4, 1906, in Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[14] P. M. Kendall, op. cit.
[15] Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[16] Ibidem.
[17] Stefano Cristante e Francesco Filotico, Le grandi fiere medievali e l’origine della merce moderna, H-ermes. Journal of Communication, 5 (2015).
[18] Stefano Cristante e Francesco Filotico, op. cit.
[19] Ibidem.
[20] Jean Combes, Les foires en Languedoc au Moyen Âge, Annales, Économies, Sociétés, Civilisations, anno 13, numero 2, 1958, in Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[21] Ali Laïdi, Historie mondiale de la guerre économique op. cit.
[22] Combes, J., Les foires en Languedoc au moyen âge. Annales. Histoire, Sciences Sociales, 1958.
[23] Paul-Michel Perret, La paix du 9 janvier 1478 entre Louis XI et la république de Venise, Bibliothèque de l’École des chartes, vol. 51, 1890, in Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[24] Jean Favier, Louis XI op. cit.
[25] Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[26] Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[27] René Gandilhon, Politique économique de Louis XI, Paris, Presses universitaires de France, 1941.
[28] P. M. Kendall, op. cit.
[29] Ali Laïdi, Histoire mondiale de la guerre économique op. cit.
[30] Christian Harbulot e P. Baumard, La guerre économique, in “Infoguerre”, settembre 2018.