Scritto da Andreas Iacarella
8 minuti di lettura
È da poco nelle librerie una nuova edizione, completamente rifatta su materiali editi e inediti, di uno dei più importanti classici storici del Novecento: Apologia della storia o Mestiere di storico (Feltrinelli 2024). Il volume incompiuto di Marc Bloch, storico e partigiano francese, trucidato dai nazisti nel 1944 prima di riuscire a completarlo. Il testo uscì per la prima volta in Francia nel 1949, per la cura dell’amico e collega Lucien Febvre. I due studiosi avevano dato avvio, con le loro ricerche e la loro riflessione, a quella rivoluzione storiografica che è stata la scuola delle Annales (coagulatasi intorno alla rivista fondata nel 1929). Una nuova storia, con una visione globale, aperta alle influenze e agli intrecci con le scienze sociali, che superava la storia diplomatica ed “evenemenziale”, ponendo i fatti storici come «fatti psicologici». Di questo nuovo approccio, Bloch diede ampia prova nei suoi studi fondamentali, da I re taumaturghi (1924) a La società feudale (1939-1940).
Questa nuova edizione, pensata e costruita anche per un pubblico non specialistico, appare oggi preziosa non solo per riscoprire la lezione blochiana, ma per fornire solidi mezzi di interpretazione e critica del reale, felice antidoto ai furori postmoderni e neoscettici. Il metodo storico, la critica delle fonti, dunque, come strumento a disposizione di tutti. Ne abbiamo parlato con Massimo Mastrogregori, storico e docente universitario, curatore del volume.
Professore, qual è la storia dietro questa nuova edizione?
Massimo Mastrogregori: La storia in effetti è un po’ lunga! Provo a riassumerla. Si è presentato, nel caso di Marc Bloch, l’incubo dei filologi: l’opera postuma, incompiuta, con molte redazioni e molte varianti – quella che non si sa come “fissare” in un testo da pubblicare. Poi qualcuno, di solito un familiare, un collega, un amico o un allievo, la pubblica come può, o anche come vuole. Non è un caso raro: pensiamo al Gramsci dei Quaderni del carcere. La scoperta che esistevano appunti e capitoli inediti dell’Apologia della storia o Mestiere di storico la feci quand’ero studente a Parigi, nel 1985, e lavoravo sulle carte del maestro francese agli Archivi Nazionali di Francia. Poi ci fu l’annuncio sulle Annales nel 1989, con un articolo che circolò parecchio. Fu accettata un po’ da tutti l’idea che si dovesse rifare l’edizione. Così com’era, presentava parecchie lacune (due pagine saltate in due punti diversi, intere redazioni ignorate dei primi tre capitoli, errori materiali). Un libro da rifare, insomma, anche se ne esistevano 400.000 copie in giro per il mondo in una quindicina di lingue. I primi a ristampare il libro furono gli olandesi: se ne occupò una bravissima studiosa, Marleen Wessel, nel 1989 stesso. Per l’edizione francese, che ero stato incaricato di curare, e che sarebbe servita come base per le nuove traduzioni nelle varie lingue, ci fu purtroppo un disaccordo con Etienne Bloch, il figlio ed erede letterario del grande storico. Disaccordo su quale casa editrice scegliere. Sono cose che capitano a volte con gli eredi. Poi, nel 1993, uscì una nuova edizione, a cura dello stesso Etienne Bloch, che fu tradotta in alcuni Paesi, ma non, per esempio, in inglese. Comprendeva le parti che il primo curatore, Lucien Febvre, aveva lasciato nel cassetto; documentava i vari strati dell’opera; ma non si può dire che fosse una vera edizione, pensata per tutto il pubblico. Partendo dai vari testi conservati, non ne stabiliva, o “costituiva” – come dicono i filologi – uno solo, che si potesse leggere di filato. Presentava, da una parte, dei capitoli veri e propri; dall’altra parte, una serie di frammenti. Poi una ristampa francese eliminò, semplicemente, la parte dei frammenti. Questa seconda edizione, quindi, non sostituì completamente la prima, le due continuarono a circolare insieme e a essere citate indifferentemente, l’una o l’altra. Quella vecchia, lacunosa, e quella nuova, piena di versioni alternative e di ripetizioni. E anche di errori di lettura: per esempio a un certo punto Bloch scrive passatisti e nel libro si legge positivisti. Quindi si era creata una situazione paradossale: centinaia di migliaia di copie in giro, un sacco di lettori un po’ ovunque nel mondo, e testi stampati piuttosto discutibili. Intendiamoci: i lettori se la cavano di solito benissimo anche con testi abbastanza indecenti dal punto di vista editoriale; dove c’è un interesse per uno scritto – e nel caso di Bloch c’era eccome – afferrano ciò che c’è da afferrare, senza fermarsi troppo a riflettere su ciò che non quadra, sulle incongruità: figuriamoci se si fanno bloccare da qualche pagina assente, invisibile. È come la storia di un libro di Jean-Paul Sartre per Gallimard, che mi ha raccontato Pierre Nora, dal quale era sparito durante la stampa un intero sedicesimo! Solo dopo molti mesi ricevettero una segnalazione da un professore di un liceo di provincia. Silenziosamente ristamparono. Insomma, giustamente i lettori se la sono cavata come hanno potuto con le Apologie che avevano a disposizione. Ma è un buon motivo per continuare a “maltrattare” quel povero libro e a farlo circolare senza molta dignità? Qualche anno fa, cominciai a lavorare a una nuova edizione inglese, la cui realizzazione si sta rivelando molto lenta, per vari motivi. Da questo progetto è nata ora l’edizione italiana nella collana dei classici Feltrinelli. Il testo è stato completamente restaurato a partire dai manoscritti originali, con alcuni precisi obiettivi: offrire un vero libro, leggibile; recuperare all’interno di un unico testo tutto ciò che Bloch ha scritto nei dossier conservati, dai capitoli interi alle singole note, ma senza ripetizioni. Questo fa sì che il testo Feltrinelli sia diverso dai precedenti in oltre centocinquanta punti. Si sono poi volute aggiungere le note a piè di pagina per le citazioni virgolettate (una decina nelle precedenti edizioni e ora un’ottantina): il libro cambia fisionomia, si capisce che l’autore fece delle ricerche su molti aspetti, non è un libro appena abbozzato, scritto senza documentazione (anche se a un certo punto Bloch se ne scusa, per il suo solito understatement). Si è scelto, inoltre, di “completare” il volume con i materiali dei capitoli che Bloch non riuscì a scrivere, materiali estratti dalle sue opere, dai carteggi, dagli appunti, tenendo ferma la traccia da lui segnata, i sommari dettagliati dei capitoli ancora da scrivere. Con i “capitoli non scritti” possiamo farci un’idea di come sarebbe stato il libro finito. Si è aggiunto infine un indice analitico, strumento a cui l’autore era molto affezionato (e poi anche una bibliografia, una cronologia della vita…). L’edizione Feltrinelli appena uscita è dunque un libro per molti aspetti inedito: speriamo che il nuovo testo conquisti vecchi e nuovi lettori.
Lei scrive, nella prefazione al testo: «Spiegare come lavora uno storico e lottare per la liberazione dai nazisti sono due compiti […] misteriosamente affini» (p. 9). Tutto il testo di Bloch è pervaso, in pagine anche drammatiche, da questo richiamo al “divieto di restare passivi”, che è insieme un principio storiografico e una postura morale. Qual era il ruolo pubblico e politico dello storico che Bloch professava?
Massimo Mastrogregori: A questo tema Bloch intendeva dedicare la conclusione del suo libro, che non fu mai scritta. Ciò che pensava si può però ricostruire un po’ dall’introduzione, molto densa, e un po’ dagli altri suoi scritti, soprattutto i carteggi e la testimonianza sulla disfatta francese del 1940. In realtà l’autore, dopo aver vissuto in trincea la sconvolgente esperienza della Grande guerra, teorizza inizialmente il disimpegno politico dello storico e si rifugia nel suo laboratorio. Certo, molto presto comincia a ragionare in termini di proiezione pubblica del suo lavoro scientifico. Tutto il progetto, elaborato con Lucien Febvre, delle Annales – la rivista dedicata allo studio della storia economica e sociale, anche contemporanee – a questo serviva: a portare la storia-scienza a contatto con la vita pubblica e con la classe dirigente, i funzionari, gli amministratori, i banchieri. Per la politica come lotta per conquistare il potere Bloch nutre uno sdegnato distacco, al limite del disprezzo. E crede che lo storico non debba affatto “fare politica”. Ma poi – di fronte alla catastrofe della Seconda guerra mondiale, al crollo della Terza Repubblica che interpreta come un colpo di stato reazionario, alla disfatta militare di cui dà una spiegazione molto articolata e credo ancora piuttosto urticante, non solo per i francesi – di fronte ai tempi terribili, a quel presente insostenibile, si rimprovera di non aver fatto abbastanza. Rinnega, in un certo senso, la sua teoria del disimpegno dello storico. Da questa situazione nascono il libro sulla storia e poi la scelta “totale” di partecipare alla lotta di liberazione. In questa seconda attività credo che abbia “incrociato” la tanto vituperata politica come lotta per il potere, restandone annientato.
Bloch era interessato anche agli aspetti educativi: come trasmettere agli studenti, dei diversi ordini di scuola, l’idea della storia come sorpresa, come scienza del cambiamento. Quanto è attuale, e quanto è stata recepita, questa sua lezione? Quanto il manuale è ancora quel «mirabile strumento di sclerosi» (p. 246) di cui si lamentava lo storico francese?
Massimo Mastrogregori: Per Bloch una cosa è la ricerca originale, la monografia scientifica, un’altra è il lavoro di sintesi, di comunicazione di un intero corpo di ricerche, e un’altra ancora è l’odiato manuale, che non è la prima cosa, e neanche la seconda. Leggere l’Apologia della storia può essere interessante per tutti coloro che hanno incontrato la storia solo attraverso i manuali di scuola (e non saranno neanche pochi): si renderanno conto che la storia è molto più viva di quello che immaginano, ed è anche una cosa notevolmente diversa. Il manuale può essere utile, anche indispensabile; ma è difficile che ci si faccia trasportare, o anche solo convincere, dalla storia che c’è nel manuale. Quanto alla storia come sorpresa – che pure è un tema antichissimo, lo troviamo in Erodoto – credo che in queste pagine blochiane si riveli una novità assoluta: speriamo di trovare attenzione anche su questo.
Una domanda sulla prassi storiografica: potremmo dire che il quaderno e la scheda rappresentano due modelli diversi? Qual è la differenza?
Massimo Mastrogregori: Come Gramsci, Bloch era uno schedatore accanito, aveva ereditato direttamente dal padre Gustave, grande storico dell’antichità, la tecnica della schedatura alla tedesca (Gramsci fu invece costretto dai carcerieri a servirsi di quaderni, più controllabili, e non di schede). Non si tratta però di modelli diversi dal punto di vista gnoseologico. Il modello è uno solo, diversi sono i supporti materiali, fino al notebook o al laptop. Come insegna Bloch (p. 335), per estrarre ciò che ci interessa da una fonte o da una monografia, bisogna schedarla, cioè trascriverne i contenuti su schede, la cui intestazione permetterà poi di far confluire quei contenuti nell’archivio di fascicoli dello storico. Se si usano quaderni, bisognerà trovare un modo per distribuire le “schede”, cioè le diverse note per i vari contenuti, nei diversi fascicoli, virtuali se non si vogliono strappare i fogli (Bloch lo credeva impossibile, ma su questo discuterei col vecchio maestro). Per esempio, approntando degli indici. La schedatura è una pratica antichissima, formalizzata al tempo dell’invenzione della stampa, rilanciata nell’Ottocento dai serissimi umanisti professionali tedeschi: su questo si legga, anzi si schedi, la bellissima ricerca di Alberto Cevolini (De arte excerpendi, Olschki 2006).
Andando al cuore del suo pensiero: cosa intende Bloch quando parla di “esperienza storica”?
Massimo Mastrogregori: Un intero “capitolo non scritto” è dedicato a questo argomento (IV, pp. 361-388). Forse è una delle parti più nuove del libro e non vorrei “spoilerare” troppo… Ma anche nei capitoli “scritti” il tema ritorna molte volte. La storia per Bloch è una “scienza di esperienza”, nel senso che lo storico, entro certi limiti, può fare esperimenti con le fonti su cui lavora. Questo diminuisce la distanza tra la storia e le scienze sperimentali. In un certo senso attenua, anche, il complesso di inferiorità dello storico rispetto ai colleghi scienziati. Sullo sfondo, c’è tutta la discussione sull’idea di scienza e sui gradi di certezza, argomenti che Bloch tratta proprio all’inizio del libro, nell’introduzione, e poi riprende varie volte. Anche questa mi pare una parte ancora molto illuminante. Non tanto se pensiamo al dibattito professionale, accademico, quanto rispetto al pubblico generale: all’idea che ci si fa normalmente della certezza che la storia può raggiungere, e all’idea stessa della storia come conoscenza scientifica, che forse non molti oggi sarebbero disposti a concedere facilmente.
Lo storico può prevedere il futuro?
Massimo Mastrogregori: Con molta prudenza, Bloch non lo esclude, tenendo ferme certe precise condizioni. Diciamo che spera di vedere, un giorno, la disciplina storica raggiungere un’organizzazione e una consapevolezza critica tale da permettere, sempre a certe condizioni, una vera e propria previsione. Anche questa è una possibilità che pochissimi, credo, si sentirebbero di ammettere in questo momento; ma la discussione, per essere realmente rilanciata, dovrebbe vertere sulle condizioni della previsione, sull’organizzazione della ricerca collettiva, sui metodi e gli scopi della disciplina.
Carlo Ginzburg definì l’Apologia della storia come uno dei “libri dell’anno zero”; insieme al Mondo magico demartianiano, a Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno ecc. Elaborati alla fine di un mondo, che poteva in quel momento apparire come la fine del mondo, per immaginarne uno nuovo. Che valore ha oggi riscoprire questi testi?
Massimo Mastrogregori: Come dicevo all’inizio, un testo nuovo si spera che produca interesse in nuovi lettori, proprio oggi. L’Apologia è stata letta molto, a livello globale. Ma soprattutto nelle università: è rimasta quindi una lettura per studenti di storia, non per tutti gli altri. Quando Bloch propone che si insegni a scuola la critica delle fonti intende proprio questo: non solo gli storici hanno bisogno di saper valutare una testimonianza, o una notizia. Speriamo che questo libro sia utile, anzi che sia attraente come discorso sulla storia per i non iniziati. Ci sono lettori completamente estranei al problema di criticare una notizia. E ci sono autori, quelli “artificiali”, altrettanto estranei al problema della verità di quanto scrivono, come i sofisti nella Grecia classica. Più che una riscoperta dell’Apologia della storia, mi piacerebbe ci fosse una vera e propria scoperta da parte di chi non aveva mai nemmeno immaginato di leggerla.