“Prima di Piazza Fontana” di Paolo Morando
- 23 Ottobre 2019

“Prima di Piazza Fontana” di Paolo Morando

Recensione a: Paolo Morando, Prima di Piazza Fontana. La prova generale, Laterza, Roma – Bari 2019, pp. 384, 20 euro (scheda libro).

Scritto da Andrea Germani

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Il 12 dicembre 1969, alle ore sedici e trentasette, un ordigno esplose nell’androne della Banca Nazionale dell’Agricoltura sita in Piazza Fontana a Milano. La deflagrazione costò la vita a diciassette persone e ne ferì ottantotto. L’evento è stato identificato da studiosi e inquirenti come l’atto iniziale di una scia di stragi programmate che insanguinarono l’Italia per più di un decennio: la strategia della tensione, come fu denominata da Leslie Finer, un giornalista inglese che seguiva le vicende italiane dell’epoca. La strage è stata per lungo tempo oggetto di indagini approfondite e speculazioni da parte di giornalisti e storici, tuttavia ci vollero anni prima che emergesse la verità storica e giudiziaria e si potesse con certezza indicare perlomeno la matrice ideologica di provenienza dei mandanti e degli esecutori – ad oggi identificati con chiarezza – pur essendo stati assolti in sede giudiziaria.

Paolo Morando, giornalista e vicecaporedattore del Trentino, si è già occupato in due saggi delle vicende della Prima Repubblica: Dancing Days. 1978 – 1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia (2009) e ’80. L’inizio della barbarie (2016), entrambi editi da Laterza. In Prima di Piazza Fontana Morando si è impegnato a raccontare gli eventi che precedettero la strage. La bomba che devastò i locali della banca è infatti l’ultima di una serie di esplosioni che segnarono il 1969, l’anno dell’autunno caldo e dell’inasprirsi delle contestazioni operaie e studentesche, agitazioni a cui seguì una durissima risposta da parte delle istituzioni nel tentativo di ripristinare l’ordine e assicurare stabilità al regime di produzione e di consumi che aveva portato in pochi anni l’Italia ai vertici dell’economia mondiale. In questo contesto di disordine e repressione si inserisce la bomba di Piazza Fontana con tutto il corredo di instabilità politica e senso di insicurezza che la nazione si porterà dietro per tutti gli anni Settanta. Mesi di lavoro pregresso di alcuni membri dell’esecutivo avevano contribuito a creare una serie di precedenti additabili ai veri protagonisti di questa storia, fra i più intransigenti nelle contestazioni all’ordine costituito: gli anarchici.

Milano, 25 aprile 1969, ore 19 e 03. Alla Fiera campionaria sta per chiudersi la quarantasettesima Esposizione Internazionale, la banda della Marina Militare è giunta da Taranto per intonare il proprio inno in occasione della cerimonia di chiusura della rassegna commerciale iniziata sei giorni prima. Improvvisamente un boato proveniente dalla saletta del padiglione della Fiat adibita alla proiezione di documentari sconvolge i partecipanti che, increduli, si convincono si tratti di un colpo sparato a salve dai marinai come parte delle celebrazioni conclusive. Si tratta invece di una bomba, nessuno rimane ucciso ma venti persone sono ferite non gravemente. Nemmeno due ore dopo un’altra esplosione devasta l’ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, questa volta nessun ferito, i tre membri del personale rimasti in ufficio fino a sera erano abbastanza lontani da non essere colpiti. Anche in questo caso, una bomba. Le deflagrazioni di aprile inaugurano una stagione di esplosioni che proseguirà nei mesi estivi, con le bombe alle stazioni ferroviarie dell’8 e del 9 agosto e gli ordigni inesplosi rinvenuti a Milano Centrale e Venezia Santa Lucia, e si chiuderà il dodici dicembre con la strage di Piazza Fontana.

Due giorni dopo la deflagrazione alla Fiera campionaria l’anarchico Paolo Braschi viene condotto in questura da due agenti dell’ufficio politico per rispondere ad alcune domande, tornerà a casa solamente due anni dopo. Per lui, come per gli altri anarchici Paolo Faccioli, Tito Pulsinelli, Angelo Della Savia, Giuseppe Norscia e Clara Mazzanti inizia un lungo calvario poliziesco e giudiziario che si chiuse solamente anni dopo fra assoluzioni e drastiche riduzioni di pena rispetto a quelle ben più severe richieste dai pubblici ministeri. Nell’inchiesta viene coinvolto anche l’editore Giangiacomo Feltrinelli, nominato in più occasioni nelle inchieste dell’ufficio politico della questura milanese, ritenuto il finanziatore delle fazioni più radicali della sinistra extraparlamentare. Le istruttorie si fondano precipuamente su informazioni fornite da Rosemma Zublena professoressa di lingue psicologicamente instabile che confessò agli inquirenti di essersi invaghita di Paolo Braschi, e dalla «fonte Turco», informatore del Servizio di informazioni della Difesa, rivelatosi poi essere Gianni Casalini, esponente padovano del MSI che aveva rapporti mai chiariti con la destra eversiva veneta, informatore messo a tacere nei primi anni Settanta, proprio quando cominciava a confidare informazioni affidabili sugli attentati del 1969.

Le procedure d’indagine messe in atto tanto dalla questura di Milano, nelle figure di Luigi Calabresi e Antonino Allegra, quanto dalla procura del capoluogo lombardo, nella persona di Antonio Amati, furono fortemente criticate dagli avvocati degli anarchici in fase processuale; l’impressione che emerge leggendo le pagine del libro di Morando è che si fossero decisi i colpevoli ancor prima di avviare le inchieste, suggestione questa poi parzialmente confermata persino da alcuni esponenti del potere giudiziario. La stampa darà man forte nel dipingere gli anarchici come personaggi violenti e socialmente pericolosi, rafforzando un pregiudizio insito nella mentalità degli italiani sin dalla fine dell’Ottocento. Morando mostra come lo stesso impianto accusatorio congiunto verrà riproposto mesi dopo con Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda nell’attentato di Piazza Fontana. A tal proposito l’Autore ritiene che le bombe di aprile e agosto furono una prova generale (da qui il sottotitolo del libro) della strage che si sarebbe consumata di lì a poco; la colpa sarebbe dovuta ricadere sugli anarchici come parte di un più ampio piano di delegittimazione dei movimenti sociali, propedeutico a un colpo di stato militare, sul modello di quello greco del 1967, da effettuarsi in caso di serio pericolo per le istituzioni repubblicane. Già ai tempi delle prime bombe il disegno complessivo sembrava chiaro agli anarchici milanesi che in un comunicato datato lunedì 28 aprile 1969, tre giorni dopo la bomba alla Fiera campionaria, scrivevano che ci si trovava di fronte alla «vile manovra in atto da parte delle forze fasciste e reazionarie che come in altre città, Padova, Catania e Roma, compiono attentati terroristici con il chiaro intento di creare un clima di terrore tale da consentire e giustificare l’avvento di un governo di destra» (p.88).

Paolo Morando nel suo saggio si addentra in un campo poco battuto dalla letteratura storica sul periodo delle stragi; le bombe del 1969, spesso ridotte a mero fatto di cronaca dai cronisti di quegli anni, si rivelano così essenziali per comprendere la strategia messa in atto da alcuni uffici della Repubblica Italiana nel finire degli anni Sessanta. Non solo, un capitolo è dedicato agli attentati ai grandi magazzini della Rinascente il 30 agosto e il 15 dicembre 1968, azioni ad oggi quasi sconosciute dal grande pubblico e dai ricercatori del settore. Vista la scarsità di materiale sugli eventi, le informazioni sono state raccolte da Morando mediante un minuzioso lavoro di analisi della stampa dell’epoca e degli atti processuali contenuti nell’Archivio di Stato di Milano.

In sintesi, si può affermare che il lavoro di ricerca svolto da Morando sia servito a far luce su una questione archiviata da anni, seppur utile a chiarire alcuni aspetti della vicenda di Piazza Fontana, oltre che a introdurre nuovi elementi nel dibattito storiografico sulla strategia della tensione. Già in alcuni saggi sull’argomento, così come nel film del 2012 di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage, la questione delle esplosioni sui treni e alla Fiera campionaria veniva menzionata per mostrare la genesi della criminalizzazione programmatica degli anarchici milanesi messa in atto dagli uomini delle istituzioni. Il tema viene affrontato nella sua completezza in questo volume per la prima volta, in occasione del cinquantesimo anniversario della strage, forse nel tentativo di aggiungere ulteriori elementi alla faticosa ricerca della verità che da anni impegna inquirenti, storici e famigliari delle vittime.

Scritto da
Andrea Germani

Nato a Perugia, concluso il liceo classico si è spostato a Bologna per studiare filosofia, successivamente ha conseguito un dottorato in Diritto e Scienze Umane all’Università dell’Insubria specializzandosi in Filosofia Politica. Attualmente è Knowledge Transfer Manager all’Università di Bologna e collabora con alcune riviste di cultura; il suo podcast “Libri che NON hanno fatto la storia” è disponibile sulle principali piattaforme.

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