All politics is local: la Turchia alle urne per le elezioni amministrative
- 29 Marzo 2019

All politics is local: la Turchia alle urne per le elezioni amministrative

Scritto da Federico Lanza

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È doverosa, innanzitutto, una precisazione terminologica: in Turchia, le elezioni amministrative vengono indicate con il termine “locali” (yerel seçimler). Noi faremo fede al lessico politico a cui siamo abituati e le chiameremo, semplicemente, elezioni amministrative. Si voterà questa domenica, in un unico turno.

Queste elezioni sono “storiche” sotto diversi punti di vista: si tratta della prima tornata elettorale a livello locale in cui alla guida del paese c’è Recep Tayyip Erdoğan. Quelle precedenti, a marzo del 2014, anticiparono di pochi mesi la prima elezione diretta, tramite voto popolare, del capo dello stato. In secondo luogo, quelle di domenica 31 marzo saranno le prime elezioni amministrative organizzate sotto il sistema politico di stampo presidenziale esecutivo, approvato con il referendum del 2017 ed entrato in vigore a luglio 2018 con l’emanazione di 74 articoli per armonizzare l’apparato normativo al nuovo sistema. Terzo punto, e il più rilevante a parere di chi scrive, è che (salvo elezioni anticipate) i cittadini turchi non saranno più chiamati ai seggi fino al 2023, quando la Repubblica di Turchia festeggerà il centenario delle sua fondazione e Erdoğan cercherà la rielezione a Presidente della Repubblica, in una congiuntura storico-politica dall’alto valore simbolico, e non del tutto figlia del caso. Il periodo post-elettorale (e l’esito delle urne) sarà rilevante per le future mosse politiche di Erdoğan e la “normalizzazione” della vita politica dopo un ciclo elettorale iniziato nel 2017.

Questo articolo vuole essere, da un lato, una panoramica sulla storia professionale e politica dei candidati a guidare le tre principali città del paese (İstanbul, İzmir e Ankara) per i prossimi cinque anni e sulla loro macro area politico-culturale di provenienza Dall’altro, vuole spiegare come determinate istituzioni, pratiche e agenzie di socializzazione non siano scomparse nella transizione da un sistema statale imperiale ad uno stato-nazione moderno bensì il motivo per cui queste istituzioni, pratiche e agenzie di socializzazione “had succeeded in infiltrating the new national order[1]. Come è possibile spiegare la presenza di tradizioni locali e affiliazioni di tipo clanico all’interno di un progetto politico-sociale di modernità statale? In che modo queste istituzioni, pratiche e agenzie di socializzazione influenzano il funzionamento di elementi tipici della modernità, come i partiti politici e il processo elettorale? Cercare di rispondere a queste domande è un passaggio fondamentale per capire alcuni meccanismi di funzionamento della “informal politics” turca.

Prima di addentrarci in un’analisi più complessa, è utile fornire alcuni numeri per contestualizzare le elezioni e illustrare la complessa struttura amministrativa dello stato turco. Si voterà dalle 7:00 alle 16:00 nelle province di Adıyaman, Ağrı, Artvin, Bingöl, Bitlis, Diyarbakır, Elazığ, Erzincan, Erzurum, Antep, Giresun, Gümüşhane, Hakkari, Kars, Malatya, Maraş, Mardin, Muş, Ordu, Rize, Siirt, Sivas, Trabzon, Dersim, Urfa, Van, Bayburt, Batman, Şırnak, Ardahan, Iğdır e Kilis. A causa della notevole estensione territoriale del paese, è prassi abituale aprire e chiudere un’ora prima i seggi più ad Est (regione del Mar Nero orientale, Anatolia orientale, centrale e sud-orientale), mentre nel resto del paese le sezioni apriranno alle 8:00 e chiuderanno alle 17:00.

 

L’atto finale di costruzione della Nuova Turchia?

Per cosa si vota? Il numero di cariche elettive è davvero imponente e riflette l’articolata suddivisione amministrativa del paese. La Turchia è suddivisa in sette regioni geografiche (bölge) che non costituiscono, tuttavia, delle entità amministrative: la suddivisione geografica attuale – frutto dei lavori del Primo Congresso Geografico Turco (Birinci Türk Coğrafya Kongresi) tenutosi ad Ankara nel 1941 – segue dei criteri prettamente geografici, climatici e morfologici. Sono suddivisioni di interesse geografico, economico e statistico. La struttura amministrativa turca è intrinsecamente gerarchica e centralizzata: il più grande ente di diritto pubblico è rappresentato dalla provincia (il), a sua volta suddivisa in un numero variabile di distretti (ilçe). Le province sono 81; i distretti 957. Al livello più basso della scala gerarchica dell’amministrazione pubblica si situano i villaggi (köy) e i quartieri (mahalle) compresi all’interno delle singole entità municipali (belediye). Le città con una popolazione superiore alle 750.000 unità sono classificate come città metropolitane (büyükşehir belediye) e sono, attualmente, 30. Dopo una corposa riforma dell’amministrazione pubblica e della governance avviata nel 2004, i confini della città metropolitana coincidono con quelli della provincia di riferimento: in questo mondo, la provincia di İstanbul (a titolo esemplificativo) sarà amministrata dalla struttura di comando della İstanbul Büyükşehir Belediyesi, presieduta da un sindaco (belediye başkanı) a legittimazione popolare ma affiancata da un governatore provinciale (vali) a legittimazione politica nominato tramite decreto dal Presidente della Repubblica su suggerimento del Ministero degli Interni. Il governatore non è sottoposto a nessun vincolo di mandato e per questo motivo la natura di questa carica è molto instabile: è soggetto, infatti, agli umori del Ministro degli Interni e ai decreti governativi che nel corso degli anni ne hanno trasformato la carica e svuotato di potere il ruolo del vali provinciale. Non è pratica insolita assegnare un governatore ad una provincia diversa da quella di nascita, nella quale non possa contare su network sociali e legami famigliari. L’attuale governatore della Provincia di Istanbul, Ali Yerlikaya, è nato a Konya: prima di arrivare a İstanbul, è stato governatore delle province di Şırnak, Ağrı, Tekirdağ e Gaziantep.

La città metropolitana di İstanbul è suddivisa in 39 distretti: ognuno di questi distretti è amministrato da un kaymakam, un termine di derivazione arabo-ottomana per indicare il governatore distrettuale, e da un sindaco (belediye başkanı) eletto ogni cinque anni. Il processo di nomina del governatore distrettuale avviene con le stesse modalità del governatore provinciale: la struttura decisionale altamente centralizzata è considerata, da molti esperti di diritto amministrativo, un ostacolo di non poco conto ad una governance efficace, snella e funzionale. La “Carta Europea dell’Autonomia Locale” (European Charter of Local Self-Government), promossa dagli stati appartenenti al Consiglio d’Europa e ratificata dal parlamento turco nel 1991, è stata accettata con non poche riserve dalla classe dirigente di Ankara, se non altro per la presenza di alcuni articoli in aperto contrasto con la Costituzione estremamente rigida e accentratrice redatta in seguito al colpo di Stato del 12 settembre 1980. La Carta obbliga tutti gli stati firmatari ad applicare le regole fondamentali per garantire e assicurare l’indipendenza politica, amministrativa e finanziaria degli enti locali e prevede che il principio dell’autonomia locale sia riconosciuto dal diritto e tutelato dalla Costituzione. L’esperienza degli ultimi anni sembra andare in direzione diametralmente opposta rispetto a quanto consigliato dal Consiglio d’Europa e dalla Carta, cioè verso il decentramento della struttura amministrativa. Il sistema amministrativo della Turchia, tuttavia, si è configurato come un caso ibrido e difficilmente inquadrabile in un framework amministrativo tradizionale: si tratta di un sistema amministrativamente molto vasto, in grado di penetrare ogni singolo quartiere, in cui sono presenti cariche a legittimazione popolare – quindi elettive – e cariche nominate dal governo centrale sulla base di una serie di considerazioni di carattere politico e clientelare-affaristico. Non mancano, tuttavia, esempi di amministratori e amministrazioni efficienti e virtuose.

Due protagonisti delle campagna elettorale che condurrà al voto provengono da quelle fila di belediye başkanları che costituiscono la componente a legittimazione popolare dell’amministrazione distrettuale: Ekrem İmamoğlu e Tunç Soyer, candidati a guidare rispettivamente la città metropolitana di İstanbul e di İzmir per il Partito Repubblicano del Popolo (CHP). Ekrem İmamoğlu è il sindaco del distretto istanbuliota di Beylikdüzü: questo distretto ha conosciuto una rapida urbanizzazione in seguito al terremoto di İzmit del 1999, che spinse numerosi residenti delle aree più interne di İstanbul (in modo particolare da Avcılar) a trasferirsi sulla fascia costiera della città, dove i primi cantieri erano già all’opera per la costruzione di quartieri residenziali a norma con le più recenti direttive anti-sismiche. A causa della massiccia presenza dei più grandi centri commerciali della città e del paese, il distretto di Beylikdüzü è soprannominato dai suoi abitanti “Alışveriş Cumhuriyeti” (Repubblica dello shopping). İmamoğlu si è dimostrato un sindaco competente e per questo molto apprezzato: ha dato al distretto una chiara e netta impronta verde e ambientalista. Già nel 2013, Beylikdüzü aveva raggiunto lo standard europeo consigliato di 10m² di verde a persona. Coerentemente con un’innovativa agenda ambientalista per il distretto promossa dall’amministrazione CHP – e soprannominata un po’ banalmente “2030 Vizyonu” – l’obiettivo per i prossimi 11 anni è quello di aumentare la quota di spazi verdi e ricreativi a persona fino a 16,5 m². Ma il distretto non si è distinto solo per la gestione del verde pubblico (parchi, aree giochi): sotto lo slogan “Daima özgür, daima mutlu” (Sempre libero/gratuito, sempre felice), İmamoglu ha saputo sintetizzare un solido e convincente orientamento social-democratico, creando un ambiente a misura d’uomo – in una città che a misura d’uomo non lo è per niente – e praticando la cultura del rispetto (anche delle differenze), favorendo l’arte, la cultura e incoraggiando l’adozione di comportamenti più sostenibili e civili. Se Mehmet Murat Çalık, candidato sindaco per il distretto di Beylikdüzü dovesse avere la meglio sul rivale AKP, il distretto potrebbe davvero continuare a costituire un modello di amministrazione virtuosa di ispirazione social-democratica, proponendosi come esempio per le altre amministrazioni distrettuali. Lo slogan elettorale adottato dal CHP per İstanbul è “İmamoglu varsa, çözüm var” (Se c’è İmamoğlu, c’è una soluzione); ogni candidato sindaco, infatti, ha la facoltà di elaborare, assieme al partito, lo slogan della propria campagna elettorale, attenendosi comunque alle linee guida decise a livello centrale attorno alle quali ruoterà tutta la retorica del partito. Lo sfidante scelto dall’AKP sarà Binali Yıldırım, fidatissimo uomo di Erdoğan la cui collaborazione e profonda amicizia risale ai tempi in cui l’attuale Presidente era sindaco della più grande e popolosa città della Turchia. Yıldırım è stato definito come uno yes man agli ordini del presidente. Secondo Murat Yetkin, invece, Yıldırım è una delle poche persone, se non l’unica, di cui Erdoğan si fidi ciecamente e di cui ascolti volentieri opinioni e pareri su cui c’è discordanza di visioni. Se questo non fa di lui un decision-maker, lo rende comunque un ottimo consigliere. A differenza dei fondatori storici dell’AKP (Erdoğan, Gül, Arınç e Şener) Yıldırım non possiede una formazione religiosa né ha mai fatto parte di una confraternita. Studiò ingegneria alla İstanbul Teknik Üniversitesi, preferendola alla libertaria ed europea Boğaziçi Üniversitesi. Dopo la laurea in Architettura Navale ed Ingegneria Oceanica non sorprende la sua decisione di continuare la formazione in Svezia, a Malmö, dove si specializzò in Sicurezza Marittima e Protezione. Tornato a casa, nel 1994 venne assunto come direttore generale dell’İDO (İstanbul Deniz Otobüsleri), la compagnia di proprietà della Città Metropolitana di İstanbul responsabile della navigazione sul Bosforo e verso le città costiere del Mar di Marmara. Fu proprio in quel periodo che conobbe Erdoğan, sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998. Yıldırım espanse notevolmente la flotta e le rotte dell’İDO, sia cittadine che extra-cittadine, e si fece carico personalmente che a bordo dei nuovi battelli fossero costruite delle sale di preghiera separate per uomini e donne. Sua è la decisione di nominare un battello “Adnan Menderes”, una devozione simbolica e politica verso il Primo Ministro della Turchia pluripartitica (giustiziato dai militari nel 1961 dopo il colpo di stato) condivisa anche da Erdoğan. I turchi dicono che chi si aggiudica Istanbul, si aggiudica tutta la Turchia (İstanbul’u kazanan, tüm Türkiye’yi kazanır), una sorta di asso pigliatutto: considerata la straordinaria ricchezza prodotta da İstanbul come marchio e dagli asset miliardari controllati dalla Città Metropolitana di İstanbul, è tutto sommato un’affermazione condivisibile. “Uno stato dentro lo stato”, come ha scritto Emin Çölaşan.

Di Tunç Soyer, candidato del partito repubblicano per la Città Metropolitana di İzmir, si parla un gran bene. Dopo 10 anni alla guida del distretto-municipalità di Seferihisar (sul Mar Egeo, a circa 50 chilometri ad ovest del cuore storico di İzmir), è stato premiato dalla direzione centrale del partito con la nomina a candidato sindaco per la terza città del paese per popolazione. Eletto nel 2009 con il 46,1% delle preferenze, è stato riconfermato nel 2014 con un incremento del 6,1% dei voti. Seferihisar costituisce un altro esempio di amministrazione lungimirante e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale: dal 2009 ha aderito al consorzio “Cittaslow” – di cui Soyer è vice-presidente, nato da un’idea di Paolo Saturnini, ex sindaco di Greve in Chianti – diventando la prima città della Turchia a promuovere lo sviluppo locale, l’agricoltura sostenibile, l’impiego di energie rinnovabili e il concetto di “slow food”. Il distretto di Seferihisar è stato favorito anche dal fatto di essere circondato da installazioni militari e zone protette di interesse archeologico, che ne hanno salvaguardato il profilo dall’abusivismo edilizio e dell’urbanizzazione selvaggia che (purtroppo) ha interessato numerose zone costiere della Regione dell’Egeo. I ristoranti della marina di Seferihisar comprano le materie prime dalle cooperative agricole e ittiche locali, sostenendo il commercio locale e creando un sistema virtuoso a vantaggio di tutta la comunità. Inoltre, è stato uno dei primi distretti a dotarsi di un sistema di digitalizzazione della pubblica amministrazione (e-belediye). Basterà questo per riconfermare la tradizione repubblicana e kemalista di İzmir? Molti pensano di sì, ma il suo sfidante, Nihat Zeybekci, non è da sottovalutare. Ex Ministro dell’Economia dal 2013 al 2015 (subentrato al posto di Zafer Çağlayan, accusato di corruzione in seguito al rimpasto di governo nel dicembre del 2013), sotto il suo dicastero sono confluiti a İzmir parecchi milioni in investimenti. Zeybekci è il promotore del progetto “İzmir, Batı Anadolu’nun başkenti” (İzmir capitale dell’Anatolia Occidentale), un ambizioso programma per la rivitalizzazione della storica vocazione commerciale (istituzione di zone di libero scambio e sostegno all’export) e logistica della città (collegamenti marittimi e infrastrutture terrestri), da lui definita come “mahallenin en güzel kızı, bölgenin en yakışıklı delikanlısı” (la ragazza più bella del quartiere, il giovane più attraente della regione). Zeybekci è ben visto dal tessuto imprenditoriale e finanziario della città; questo potrebbe essere un punto a suo favore rispetto a Soyer, più giovane politicamente e con un network affaristico-clientelare (in Turchia, funzionale alle ambizioni di ogni politico) ancora in espansione.

Tutti gli occhi, però, domenica saranno puntati sulla capitale: Ankara. Perché per la prima volta dal 1994, la capitale della Turchia potrebbe passare di mano. Ad insediare il posto di belediye başkanı (sindaco), infatti, c’è Mansur Yavaş: il CHP ha deciso di affidarsi ad un “usato sicuro” per spezzare, dopo 25 anni, il monopolio sulla città costruito da Melih Gökçek, personaggio tanto controverso (famoso per le sue teorie complottiste e l’uso spregiudicato dei social) quanto abile a transitare dal Refah Partisi (Partito del Benessere) al Fazilet Partisi (Partito della Virtù) fino a confluire nell’odierno AKP. Mansur Yavaş se la vedrà con Mehmet Özhaseki, candidato sindaco dell’AKP: secondo uno studio di Metropoll, Mansur Yavaş sarebbe in vantaggio di parecchi punti percentuali sullo sfidante. Del resto, Yavaş era andato vicino alla vittoria già nel 2014: in quell’occasione, ottenne il 43,8% delle preferenze contro il 44,8% di Gökçek (appena 33.000 voti di differenza). Il candidato del CHP denunciò presunte irregolarità nel processo di votazione e di conteggio delle schede: alcune vennero bruciate, altre sequestrate da uomini armati a volto coperto che fecero irruzione nei seggi di Çankaya, distretto centrale controllato dal CHP. Yavaş proviene da quella peculiare formulazione del nazionalismo turco che individua in Alparslan Türkeş il proprio artefice e padre fondatore (sebbene le posizioni di Yavaş siano decisamente più moderate rispetto a quelle di Türkeş). E proprio dal figlio di Türkeş, Ahmet Kutalmış Türkeş, Yavaş ha ricevuto un importante endorsement in vista delle elezioni di domenica: il supporto della comunità nazionalista, molte forte e attiva ad Ankara, e degli elettori del MHP e dell’İYİ Parti[2] sarà decisivo per le chances di Yavaş di ottenere la tanto agognata fascia da sindaco. Il sostegno dei nazionalisti sarà decisivo in quattro distretti: Etimesgut, Keçiören, Mamak e Yenimahalle. Lo sfidante di Mansur Yavaş sarà Mehmet Özhaseki, ex sindaco di Kayseri dal 1998 al 2015. Sotto la gestione di Özhaseki, Kayseri ha cambiato faccia: da centro regionale di media grandezza ad hub commerciale e industriale di primaria importanza. È divenuta una delle città più dinamiche, attive e imprenditoriali dell’Anatolia: questo grazie anche al network clientelare e affaristico di Abdullah Gül, nativo di Keyseri, che ha permesso che enormi quantità di denaro confluissero nelle casse dell’amministrazione per progetti infrastrutturali e di sviluppo urbanistico. Kayseri rappresenta un po’ l’archetipo di “città ideale” (è definita “Kayseri Modeli Belediyecilik”) nello spazio mentale dell’AKP: una città in cui la modernità è edulcorata dal mantenimento di una “società tradizionale” locale e religiosa e in cui le relazioni di quartiere e la solidarietà comunitaria costituiscono il fulcro dell’agire quotidiano.

Le ingenti risorse spese nella campagna elettorale da parte dell’AKP testimoniano l’importanza che queste elezioni hanno per il partito di governo: come ricordato in apertura, le elezioni di domenica saranno l’appuntamento conclusivo di un ciclo elettorale iniziato, nel 2017, con il referendum per la trasformazione della Turchia da repubblica parlamentare in regime presidenziale esecutivo. È l’atto finale di costruzione della “Yeni Türkiye” (Nuova Turchia), un progetto socio-politico di trasformazione top-down e di costruzione di un nuovo corso, parallelo ma di segno opposto, a quello tracciato da Mustafa Kemal.[3]

 

 

Il ruolo chiave di strumenti e relazioni informali

Queste elezioni, come era inevitabile che avvenisse in un’atmosfera così polarizzata, sono state presentate come un referendum sull’attività del governo e sulla figura del presidente. A questo riguardo, i toni dello scontro, della retorica e la violenza di alcuni contenuti hanno raggiunto livelli preoccupanti. È possibile individuare tre fattori che hanno segnato in maniera significativa la campagna elettorale:

  • l’attentato di Chrishchurch: l’omicidio di 50 fedeli musulmani durante la preghiera del venerdì, avvenuto il 15 marzo, è stato trasformato da Erdoğan in uno strumento per ricompattare il suo elettorato attorno alla comune appartenenza socio-religiosa alla umma islamica e per presentarsi come il buon difensore e protettore di tutti i musulmani. Il 19 marzo, durante i comizi nelle città di Kocaeli e Zonguldak, è stato mostrato alla folla il video completo del massacro compiuto da Brendon Tarrant, montato ad arte con alcune dichiarazioni – frutto di un astuto cherry-picking – di Kemal Kılıçdaroğlu, leader del CHP, in cui sembra invitare i musulmani ad un esame di coscienza per analizzare motivi e cause dell’ennesimo atto ostile e d’odio contro la loro comunità. Le agenzie di stampa turche e i principali canali di informazioni hanno descritto l’attentatore come un “nemico dei turchi e dell’Islam” (Türk ve İslam düşmanı) e all’attentato è stato dato un rilievo e una copertura mediatica senza precedenti.
  • l’economia in recessione: non accadeva dal 2009. La notizia è arrivata l’11 marzo ed è stata accolta dalle autorità di Ankara e dal Ministro delle Finanze e del Tesoro, Berat Albayrak, con un certo scetticismo. Attraverso una serie di tweet sul suo profilo ufficiale, Albayrak ha fatto sapere che “nonostante il più grave attacco speculativo della storia, il peggio è alle spalle”. L’ottimismo di Bayraktar si scontra, tuttavia, con una serie di indicatori macro-economici poco confortanti. Nel quarto trimestre del 2018, l’economia ha registrato un calo del 2,4% rispetto al trimestre precedente, che aveva già segnato una riduzione dell’1,6%. Due trimestri consecutivi con segno meno: recessione. Segnale ancora più preoccupante è la contrazione dei consumi: nell’ultimo trimestre del 2018 si sono ridotti dell’8,9%. L’inflazione ha colpito in maniera molto forte i prezzi dei generi alimentari di prima necessità (+30%); la verdura ha registrato un rincaro fino al 64% e ad esempio, tra il 15 febbraio e il 25 marzo, un chilo di peperoni è passato da 5 lire a 16 lire. Un rincaro del 220%. Questo ha spinto il governo, ad inizio febbraio, a sponsorizzare la vendita a prezzi calmierati di verdura e frutta attraverso il sistema del “tanzim satış” (letteralmente “vendita regolata”). I generi alimentari venivano comprati dalle singole municipalità a prezzo di mercato direttamente dai produttori, e rivenduti alla metà del prezzo. L’aumento dei prezzi è stato definito da Erdoğan come “gıda terörü” (terrorismo alimentare), un’espressione curiosa se non fosse per la drammaticità della situazione che cela, tra le righe, un altro grande problema della politica turca degli ultimi anni: la criminalizzazione di ogni forma di opposizione.
  • L’ultima modifica alla legge elettorale permette ai partiti di presentarsi alle elezioni in coalizione: questo ha portato alla creazione di due alleanze elettorali molto eterogenee – anche al loro interno – per ideologie e programma politico. Una è la Cumhur İttifakı (Alleanza del Popolo), composta da AKP e MHP – gli artefici della legge elettorale – e da una galassia di partiti minori, ma senza rappresentanza in parlamento e con uno scarso seguito nazionale. L’altra è la Millet İttifakı (Alleanza della Nazione), creata da CHP, İYİ Parti, Saadet Partisi e Demokrat Parti con l’obiettivo di presentarsi come forza comune di opposizione – al netto delle notevoli differenze ideologiche – all’egemonia dell’attuale presidente. Erdoğan ha giocato gran parte della campagna elettorale sulla contrapposizione “noi” e “loro”: come si può leggere da questo tweet, il “noi” rappresenta la volontà della nazione (millî irade), di cui l’Allenza del Popolo si è fatta portavoce e che risponde agli ordini ed è a disposizione solo della nazione (Milletin emrindedir). L’essenza del “noi”, secondo la retorica attuale, sarebbe stata forgiata con il sangue e il sacrificio dei martiri del 15 luglio (15 Temmuz şehitleri); i fatti di quella notte, infatti, avrebbero fornito alla nazione un forte mandato per combattere i nemici della Turchia. Nemici da cui la Millet İttifakı – ribattezzata “Alleanza dell’Umiliazione” – prenderebbe ordini e sarebbe manovrata. Il riferimento è a Kandil (base operativa del PKK in territorio iracheno) e alla Pennsylvania, dove dal 1999 risiede Fethullah Gülen. Lo spirito dei “loro” sarebbe mosso, quindi, da motivazioni squisitamente economiche e l’alleanza altro non sarebbe che il risultato di contrattazioni segrete tra criminali e terroristi. E se una si dichiara pronta a servire la nazione, l’obiettivo dell’altra sarebbe quello di infiltrare la burocrazia e i consigli municipali per portare il terrore, l’incompetenza e il mismanagement. La percezione dell’incompetenza e del mismanagement costituiscono, secondo Banu Eligür[4], la “political opportunity structure” (traducibile con l’espressione “piattaforma politica e programmatica”) attorno alla quale i partiti di ispirazione islamista, sin dagli anni Novanta, hanno articolato il proprio discorso anti-establishment. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che l’AKP applichi questa retorica vecchia ma ancora sorprendentemente efficace per delegittimare le attività dell’opposizione. Attraverso un processo di “diagnosi-prognosi-cura” (diagnostic framing-prognostic framing-motivational framing) e di costruzione di un nuovo ordine sociale e politico ispirato dall’ideologia conservatrice chiamata “Ordine Giusto” (Adil Duzen) formulata da Necmettin Erbakan, i partiti islamisti hanno saputo sfruttare a proprio vantaggio la diffusa percezione di un sistema schiavistico (köle düzeni) costruito sulle spalle dei cittadini. Questo ha rafforzato il sentimento di alterità, l’insofferenza e il senso di vittimismo (mağduriyet) di un segmento consistente della popolazione, esclusa dal processo di modernizzazione e dai benefici economici e sociali della globalizzazione, che ha trovato nei partiti islamisti una valida e sincera rappresentanza politica.A causa del discontinuo processo di democratizzazione, peculiare della Turchia repubblicana, le pratiche di socializzazione politica hanno subito un processo di informalizzazione. Michelangelo Guida, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della İstanbul 29 Mayıs Üniversitesi[5], sostiene che “la politica turca si articola sulla base di strumenti e relazioni informali[6]. Se questo può essere vero per la maggior parte dei sistemi politici contemporanei, il caso turco è ancora più peculiare. In questo senso, nella trasformazione dell’apparato statale dell’Impero Ottomano in uno stato-nazione moderno – un processo che presuppone il passaggio da un nazionalismo etno-religioso ad uno civico-territoriale – i diversi centri di autorità locali, le identità e affiliazioni di carattere tribale non sono state sostituite dalla fedeltà verso lo Stato ma hanno formato, nel tempo, un complesso e gerarchico ordine sociale di gestione del potere a livello locale complementare all’ordine statale. Detto in parole semplici: perché, al netto della svolta autoritaria e delle irregolarità elettorali, l’AKP continua a vincere le elezioni con margini considerevoli? Perché l’AKP è dappertutto, i partiti di opposizione no: è dappertutto non sono nelle sedi del potere formale (quartieri, province, distretti, municipi) ma anche in quei contesti in cui il potere si manifesta apparentemente in istituzioni non-politiche. Si può dire che la politica in Turchia è condotta quasi esclusivamente attraverso mezzi e relazioni informali: c’è una parte on stage – i comizi, gli slogan confezionati su misura, la comunicazione via Twitter e Facebook – e una off-display, come l’associazionismo femminile di quartiere, i doni, i network di hemşehri (comitati che raggruppano immigrati provenienti dalla stessa città), le visite private ai capi dei quartieri (mahalle muhtarı) e dei villaggi (köy muhtarı).Non ci è dato sapere se quanto twittato da Erdoğan sia vero – “abbiamo istituito 800 punti di contatto in 959 quartieri a Istanbul” – ma se pensiamo alle tattiche di mobilitazione dell’AKP – che sono sostanzialmente quelle impiegate dal Refah Partisi per le elezioni municipali del 1994, adattate al contesto odierno ma alla cui base c’è la stessa core-strategy di 25 anni fa – è difficile non riconoscere la grande capacità organizzativa e di mobilitazione del partito di Erdoğan. Da questo punto di vista, però, l’AKP non ha inventato nulla di nuovo: ha ereditato e affinato strategie e tattiche di mobilitazione politica presenti da tempo nella sfera dell’islamismo turco, abile nel trasformare le affiliazioni di tipo clanico e le identità locali in un esteso sistema di patronage, divenuto essenziale alla politica e al mondo degli affari a partire dagli anni Ottanta.

[1] M. E. Meeker, A Nation of Empire. The Ottoman Legacy of Turkish Modernity, London, University of California Press, 2001.

[2] Il Milliyetçi Haraket Partisi (Partito del Movimento Nazionalista) è stato fondato nel 1969 da Alparslan Türkeş, ex colonnello delle Forze Armate e voce del colpo di stato del 1960 contro il governo di Adnan Menderes. Successivamente espulso dalle gerarchie militari, diviene nell’agosto del 1965 in leader del Cumhuriyetçi Köylü Millet Partisi (Partito Repubblicano dei Contadini della Nazione), il progenitore dell’odierno MHP. Dopo la morte di Türkeş, la leadership del partito è stata affidata a Devlet Bahçeli. L’atto di fondazione dell’İYİ Parti (Buon Partito) risale all’ottobre 2017; dopo l’approvazione del pacchetto di emendamenti costituzionali per la trasformazione del sistema politico turco in un regime presidenziale esecutivo, un gruppo di parlamentari dissidenti rassegnò le dimissioni dal MHP, in segno di protesta contro il sostegno offerto dalla direzione del partito all’AKP. Meral Akşener è stata la candidata del partito alle elezioni presidenziali del 24 giugno 2018 ed è attualmente la leader del partito. Il logo dell’İYİ Parti tra ispirazione dalla bandiera della tribù Kayı dei turchi Oğuz.

[3] Negli ultimi anni abbiamo assistito, da parte di Recep Tayyip Erdoğan, alla riscoperta, rivalutazione e riabilitazione di alcuni elementi del kemalismo come insieme di simboli e retorica. Uno di questi è sicuramente la Guerra di Indipendenza contro l’occupazione greca, trasformata nella retorica di Erdoğan nella resistenza al darbe (colpo di stato) del 15 luglio 2016. Un altro aspetto importante è che, da 3 anni a questa parte, Erdoğan non si rivolge più a Mustafa Kemal con il soprannome Atatürk ma lo fa semplicemente anteponendo al nome la parola Gazi, onorificenza musulmana e specifico titolo onorifico ottomano e concetto importante della cultura islamico-ottomana. Così facendo, Erdoğan frantuma l’era kemalista trasformando l’attuale repubblica in una continuazione storico-istituzionale dell’Impero Ottomano, non in una sua cesura avvenuta sotto la guida di Mustafa Kemal. Allo stesso tempo, però, l’AKP si considera il legittimo erede del trasformismo kemalista nella misura in cui entrambi intendono il cambiamento costante (inkılapçılık) come l’essenza stessa del fare politica.

[4] Banu Eligür, The Mobilization of Political Islam in Turkey, Cambridge University Press, 2010.

[5] Assoc. Prof., Department of Political Science and International Relations, Istanbul 29 Mayis University, Istanbul, Turkey, mguida@29mayis.edu.tr.

[6] M. Guida, Friendship, Kingship and Interest: Informal Politics in Turkey and the Example of Vote Mobilization in Istanbul and Şanlıurfa, in “Turkish Journal of International Relations”, 2014.

Scritto da
Federico Lanza

Nato nel 1994. Frequenta il corso di laurea magistrale in Studi Afro-Asiatici presso l'Università di Pavia. La sua area di studi è la Turchia: si interessa di nazionalismo, etnicità, processi politici e studi strategici.

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