Recensione a: Herman Edward Daly, Verso un’altra economia. Scritti per un futuro sostenibile, a cura di Giandomenico Scarpelli, Carocci, Roma 2023, pp. 312, 33 euro (scheda libro)
Scritto da Pietro Turrisi
11 minuti di lettura
Di Herman Edward Daly, economista statunitense a cui la cultura ecologista dovrebbe tributare maggiore attenzione, alcuni si sono ricordati al momento della sua morte con necrologi o malinconici rimpianti per la scarsa eco delle sue opere ma ancora oggi Wikipedia gli dedica scarni riferimenti. Eppure, Herman E. Daly (1938-2022) è stato docente universitario e senior economist della Banca Mondiale, è considerato il fondatore della “economia ecologica”, ha ricevuto riconoscimenti quali il Right Livelihood Award (“Premio Nobel alternativo”), la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica Italiana e il Blue Planet Prize. E ancora a fine novembre scorso durante il convegno in Fondazione Feltrinelli “Capitale naturale. L’interpretazione sociale di un concetto scientifico” al momento di definire “Quanto vale il capitale naturale?” è stato inevitabile evocare il pensiero di Daly. Così riemerge dalla storia dell’economia un “pensiero divergente” e scomodo come tutte le teorie che non si piegano al “politicamente corretto” e che, forti del sostegno silenzioso del “senso comune”[1] smantellano ottusi negazionismi e disvelano gli interessi privati sottesi al mito della crescita permanente e al tecno-ottimismo. Si tornava quindi a parlare di Daly alla vigilia della COP28 di Dubai che era preceduta da sentimenti diffusi di scetticismo, del tutto fondati[2].
Chi voglia conoscere meglio il lascito culturale di Daly alle odierne “voci” dell’ecologismo potrà leggere Verso un’altra economia. Scritti per un futuro sostenibile, a cura di Giandomenico Scarpelli (Carocci 2023), volume in cui sono tradotti, talora per la prima volta in Italia, articoli e testi di conferenze pubblicati tra il 1972 e il 2019. Ulteriore pregio dell’opera è dato dalla frequentazione del curatore con l’economista, circostanza che avvalora una piena corrispondenza della traduzione con il pensiero originario. In copertina si sintetizza l’obiettivo dell’attività scientifica di questo economista “eretico”, teso a «mettere in luce come la crescita quantitativa nei Paesi ricchi sia diventata ormai antieconomica e possa portare il mondo al collasso. Ha così proposto uno stato stazionario della popolazione e della ricchezza che consenta uno sviluppo qualitativo sostenibile». Vasto programma si potrebbe dire… ma il filo conduttore delle teorie elaborate in quasi cinquant’anni lo si ritrova nella vastissima introduzione (un centinaio di pagine sulle 312 complessive) scritta da Scarpelli, già dirigente della Banca d’Italia. Questa certosina ricostruzione dell’intreccio del pensiero dell’ecologista Daly con l’attività accademica e istituzionale, nonché con le scelte di vita e gli scatti caratteriali appaiono essenziali per una corretta interpretazione della complessità dell’eredità lasciataci e per rimediare alla banalizzazione di alcune intuizioni che oggi riemergono con forza. Daly fu influenzato da due economisti classici, Thomas R. Malthus e John Stuart Mill, e soprattutto dagli insegnamenti di Nicholas Georgescu-Roegen e dalla sua idea che il processo economico abbia una natura entropica, cioè trasforma risorse naturali a bassa entropia, dotate di valore, in scarti ad alta entropia; poiché la Terra ha dei limiti fisici le sue risorse sono disponibili in quantità finita, lo sfruttamento delle risorse (capitale?) naturali non può procedere all’infinito, pena accelerare verso un “punto di non ritorno”.
L’impossibilità di un incremento materiale infinito in un ambiente finito mette in discussione la crescita economica come obiettivo dell’economia. Daly evidenziava che la disponibilità delle risorse avrebbe incontrato dei limiti e già prima di quel punto (di non ritorno) critico la crescita non sarebbe più stata desiderabile a causa di scarsità di risorse (vogliamo ricordare le recenti crisi energetiche e la corsa all’accaparramento di terre rare?), guerre (la cosiddetta “terza guerra mondiale” in atto evocata da Papa Francesco?) nonché per il crescente inquinamento dell’acqua e dell’aria (perdita irreversibile di biodiversità? Rapporti dell’IPCC?). Secondo Daly all’aumento della produzione e del consumo l’utilità marginale dei beni prodotti e consumati diminuisce, mentre si ottiene disutilità marginale e, quindi, la crescita diventa “anti-economica”. È errato considerare il sistema economico come isolato, indipendente dall’ambiente bio-fisico circostante, in quanto per ottenere flussi di output di materia sono necessariamente richiesti flussi di materia come input. Tra i tantissimi spunti d’interesse ci piace citare il cap. 4 Il sistema economico come sottosistema dell’ecosfera e la sua scala ottimale da cui tutti gli individui con responsabilità pubbliche o private dovrebbero trarre orientamenti sulle azioni da porre in essere.
Daly è specificamente ricordato per aver propugnato il nuovo paradigma dell’economia ecologica che tenga conto dei vincoli che l’ambiente biofisico pone al sistema economico globale; la proposta innovativa era tesa a realizzare nei Paesi avanzati un’economia in stato stazionario, assetto nel quale gli stock di popolazione e di manufatti (beni di consumo e beni capitali) sono costanti nel tempo. Si sarebbe trattato di stabilizzare l’input di risorse naturali prelevato dall’ambiente e l’output sotto forma di rifiuti, gas di scarico e calore, rallentando il depauperamento delle risorse terrestri. L’effetto auspicato era una miglior qualità della vita dei viventi ma soprattutto delle generazioni future[3]. Lo stato stazionario non condannerebbe per sempre alla povertà i Paesi poveri che dovrebbero continuare a crescere per un certo periodo, purché il reddito e la ricchezza non siano distribuiti in modo eccessivamente sperequato e la popolazione non cresca eccessivamente, pena la neutralizzazione dei benefici attesi. L’evoluzione tecnica e le modificazioni del senso etico e morale della collettività favorirebbero nel tempo il passaggio da uno stato stazionario a un altro. In un sistema economico in stato stazionario l’attenzione si focalizzerebbe sulla redistribuzione della ricchezza e della fruizione di beni comuni e immateriali (pensiamo alla conoscenza, alla “cura” ecc.) avendo ben presente che una distribuzione troppo diseguale del reddito e della ricchezza spezza la coesione sociale, crea instabilità finanziaria e fomenta la violenza[4]. Dopo quasi quarant’anni abbiamo imparato qualcosa? Si direbbe proprio di no, visto che a settembre 2023 Khaterine Richardson dell’Università di Copenaghen e 27 colleghi hanno pubblicato sulla rivista Science Advances l’articolo Earth beyond six of nine planetary boundaries, aggiornamento sulla base dei criteri elaborati dagli scienziati dell’Istituto per la resilienza dell’Università di Stoccolma coordinati da Johan Rockström. Questa la preoccupante fotografia:
La teoria dei planetary boundaries, “confini del pianeta”, definisce lo spazio per l’umanità in cui è possibile operare in sicurezza, rispettando la Terra, e quindi i processi biofisici del pianeta. Il modello è non-lineare perché qualora certi valori chiave siano superati le conseguenze possono essere esponenziali e brusche. Questa teoria è stata alla base dell’evoluzione soprattutto giurisprudenziale della tutela ambientale sviluppatasi presso le corti internazionali e recepita in molti trattati; la successiva evoluzione, sempre basata sulle conoscenze scientifiche, si è concretizzata con l’adozione, quale presupposto dell’emanazione di norme primarie, del principio di precauzione: la tutela dell’ambiente anche nell’ottica della responsabilità intergenerazionale, si attua con azioni che con il sostegno della scienza, pur con la ragionevole convinzione che gli assunti dati possano essere confutati dall’avanzamento delle conoscenze, riportino il pianeta a idonee condizioni di vita per l’ecosistema. Da qui originano i testi novellati degli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione che suggeriscono un nuovo approccio allo “sviluppo” economico[5]. Inutile sottolineare quanto poco si stia facendo in tal senso come vigorosamente recriminato dallo stesso Presidente Mattarella, da eminenti giuristi, da ASviS – Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, fino alla società civile.
Durante l’ultimo “MESE EDUFIN” (congiuntamente ad AIFIRM) le tematiche in questione sono state trattate in conversazioni con studenti della scuola secondaria di secondo grado, richiamando nel titolo/abstract frasi di Daly estratte dal libro di Scarpelli: «La solidarietà intergenerazionale impone di riconoscere i limiti dello sviluppo sostenibile e i rischi che affronta l’umanità: 1) i tassi con cui le risorse naturali sono prelevate devono essere uguali ai tassi di rigenerazione, 2) i tassi di sversamento degli “scarti” devono eguagliare la capacità naturale degli ecosistemi d’immissione. Lo scopo dell’economia è il mantenimento e il godimento della vita per un tempo lungo (non per sempre) a un livello di ricchezza sufficiente per una vita buona (non lussuosa)». Si tratta di un’impostazione ben più robusta della più nota (ma anche derisa) “decrescita serena” in un mondo di “abbondanza frugale” teorizzata da Serge Latouche dal cui pensiero, tuttavia, è utile estrarre l’esortazione a incrementare i beni relazionali[6]. Nel tempo l’immagine di sobrietà triste affibbiata all’ecologismo ha certamente nociuto all’azione dei movimenti e degli scienziati che indicavano (alla politica in primis) quali provvedimenti adottare a beneficio del pianeta[7].
Rispetto alla visione tradizionale Daly contestava l’ottimismo tecnologico, oggi nuovamente imperante, secondo il quale la tecnologia sarebbe in grado di eliminare ogni scarsità grazie alla scoperta di risorse credute inaccessibili e di realizzare il “disaccoppiamento” tra crescita della produzione e consumo di risorse. Le perplessità circa l’acritica accettazione del “paradigma tecnocratico” la ritroviamo nel pensiero di Papa Francesco in quanto «l’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia […] sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo […] Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene»[8]. Quindi più che l’ottimismo verso l’evoluzione della tecnologia l’urgenza è data dalla regolamentazione e dalla subordinazione a principi etici di fronte a un’asserita libertà da vincoli che frenino il progresso[9]. Nella traduzione estratta dal libro di Scarpelli in Etichs in Relation to Economics, Ecology and Eschatology troviamo questa amara considerazione: «Abbiamo ipersviluppato la nostra conoscenza relativamente certa della tecnica, e lasciata sottosviluppata la nostra conoscenza del giusto scopo, meno certa ma più importante» (p. 204). Non crediamo che i numerosi partecipanti alla COP28 si siano mai posti le domande a cui Daly ha tentato di dare risposte; certo, la finanza deve giocare un ruolo importante per la realizzazione degli obiettivi della transizione ecologica e degli impegni in necessaria partnership pubblico-privato, con cifre che società di consulenza e centri studi calcolano con ampi range di oscillazione ma comunque imponenti, in ogni caso in aumento in modo esponenziale a fronte degli evidenti ritardi da parte dei decisori. Ne è consapevole la Banca centrale europea nel cui blog il 4 dicembre 2023 è stato postato un lavoro dei ricercatori Senne Aerts, Martina Spaggiari e Livio Stracca dal titolo Climate scenarios: procrastination comes at high cost.
La figura si può commentare così: “Same goal, less time”[10]. È sintomatico della insipienza dei negoziatori l’esaltazione degli accordi legati ai finanziamenti (pledges) presi nella settimana che precedeva la chiusura della COP di Dubai[11]. Dopo tante schermaglie le delegazioni hanno partorito la mirabolante mistificazione: «Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science». L’accordo “invita le parti”, un’espressione da molti ritenuta troppo debole, ad “allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili”, non si parla più di “phase out” (eliminare in modo graduale) ma nemmeno di “phase down” (ridurre) e si gioisce del fatto che per la prima volta nel documento finale si citano i “combustibili fossili”. Altra parola d’ordine ricorrente: “accelerare” le azioni per la mitigazione e l’adattamento, termine che fa il paio con “ambizione” così spesso sventolata come bandiera dell’Unione Europea. Daly avrebbe utilizzato un’altra parola: urgenza. Alla luce delle promesse mancate del passato e in assenza d’impegni vincolanti e sanzioni per le inadempienze pensiamo seriamente che i fondi necessari per conseguire i target auspicati affluiranno dai Paesi ricchi a beneficio del Sud del mondo? Non scherziamo… è arrivato il momento che la società civile si organizzi per moltiplicare le climate litigation, fenomeno che già viene monitorato dalle Nazioni Unite[12]. È vero che le attese erano già posizionate sugli scarsi risultati poi realizzati ma, per dirla con Mauro Ceruti, non possiamo permettere che il futuro diventi la discarica del presente.
[1] Misura della gerarchia dei valori socialmente desiderabili come ci ha ricordato Anna Maria Lorusso in L’utilità del senso comune, il Mulino, Bologna 2022.
[2] Il 20 novembre 2023 l’UNEP, l’agenzia dell’ONU per la protezione dell’ambiente, ha pubblicato l’edizione 2023 dell’Emission Gap Report che raffronta gli impegni presi nel taglio delle emissioni con quanto effettivamente realizzato. Per l’UNEP entro il 2100 la temperatura media della Terra sfiorerà un aumento di 2,9 gradi ma anche se le nazioni dovessero rispettare i rispettivi NDC – National determined contribution il riscaldamento potrebbe oscillare tra 2 gradi e 2,5 gradi. Sarebbe ormai non più conseguibile il traguardo principale degli Accordi di Parigi, limitare il riscaldamento a 1,5 gradi in più rispetto all’era preindustriale e si passerebbe all’obiettivo “keep 2 alive”, il piano B degli Accordi di Parigi (ridurre le emissioni di gas serra del 28% entro il 2030… ma le proiezioni di UNEP ne prefigurano una crescita del 16%).
[3] Cfr. Herman E. Daly 1977, Steady-State Economics. Toward a Political Economy of Biophysical Equilibrium and Moral Growth, Island Press, Washington DC 1977; tradotto in italiano per la prima volta Lo stato stazionario. L’economia dell’equilibrio biofisico e della crescita morale, Sansoni, Firenze 1981.
[4] Cfr. Herman E. Daly e John B. Cobb Jr., For the Common Good. Redirecting the Economy Toward Community, the Environment and a Sustainable Future, Beacon Press, Boston 1989; ed. it. Un’economia per il bene comune, Red Edizioni, Como 1994.
[5] Cfr. da ultimo Camilla Buzzacchi, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, in «Rivista AIC» n.4/2023, Attività economiche e ambiente nel prisma (o mantra?) della «sostenibilità», 27 novembre 2023.
[6] Tanto che nel suo lavoro più recente, Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto, Bollati Boringhieri, Torino 2023, si concentra sull’attività di relazione per eccellenza per cambiarne il contenuto (rectius il “senso”, purpose, si direbbe nel linguaggio delle società di consulenza).
[7] Come ammesso da Stefano Bartolini in Ecologia della felicità. Perché vivere meglio aiuta il Pianeta, Aboca Edizioni, Sansepolcro 2021. È evidente che la dottrina ecologista necessità di capacità comunicative per essere più “pop”, lezione che sembra recepita da autori vicini al pensiero del Papa (pensiamo a Gael Giraud, La rivoluzione dolce della transizione ecologica. Come costruire un futuro possibile, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2022) oppure dotati di british humour (per tutti Tim Jackson, Post crescita. La vita oltre il capitalismo, il Mulino, Bologna 2022, economista che pure non disdegna di ricordare che a fronte dell’entropia… non si può vincere).
[8] In par. 2 della Esortazione Apostolica Laudate Deum che completa il pensiero del Santo Padre espresso nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. Se si possa, nella nostra società, parlare di un progresso verso il meglio e di un agire razionale che non sia solo strumentale e tecnocratico se lo chiedono Mauro Ceruti e Francesco Bellusci in Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023 (in particolare cap. 2, par. Dopo l’onniscienza, oltre la tecnoscienza, p.48 e seg.), convergendo verso le idee di Francesco perché il vero tema è il potere nelle mani di pochi detentori della conoscenza, soprattutto in questo momento in cui l’AI generativa esalta le disparità e le possibilità di condizionare scelte della politica. È lo stesso filo conduttore degli studi di due altri economisti “eretici”, Daron Acemoğlu e Simon Johnson (nella traduzione italiana Potere e progresso. La nostra lotta millenaria per la tecnologia e la prosperità, il Saggiatore, Milano 2023) e la necessità di non essere asserviti alla tecne è sempre riproposta da Umberto Galimberti (da ultimo in L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano 2023, in particolare Parte terza, La risoluzione del mondo-della-vita nel mondo della tecnica, par. 11 L’assoluto tecnico e l’eclissi del senso).
[9] Cfr. il bellissimo intervento di Mariarosaria Taddeo – Professor of Digital Ethics and Defence Technologies, Programme Director of the DPhil in Information, Communication and the Social Sciences at the Oxford Internet Institute and Dslt Ethics Fellow at the Alan Turing Institute – in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2023-2024 del Politecnico di Milano. Non sappiamo quanto siano consapevoli gli autori citati di essere tra gli eredi del pensiero di Daly ma certamente ciò mette in luce quanto egli fosse visionario e quale attualità abbiano le sue intuizioni.
[10] Le conclusioni non lasciano spazio alla fantasia: «The NGFS scenarios, despite their limitations, show that it is becoming increasingly challenging to reach net zero by 2050. Insufficient climate action in recent years make even bigger emissions reductions necessary to reach climate goals. Timely and globally coordinated climate action has become a prerequisite for sustainable growth. The further delay of a green transition will cause substantial economic loss and financial stability risks down the road».
[11] Erano: Loss and damage: 726 milioni di dollari (n.d.r. la consistenza del fondo deve raggiungere 100 milardi di dollari); Green climate fund: 3,5 miliardi di dollari (aumenta il secondo replenishment di 12,8 milioni di dollari); Adaptation fund: 133,6 milioni di dollari; Least developed countries fund: 129,3 milioni di dollari; Special climate change fund (Sccf): 31 milioni di dollari; Renewable energy: 5 miliardi di dollari; Cooling: 25,5 milioni di dollari; Clean cooking: 30 milioni di dollari; Technology: 568 milioni di dollari; Methane: 1,2 miliardi di dollari; Climate finance: 30 miliardi di dollari dagli Emirati Arabi Uniti, 200 milioni di dollari in diritti speciali di prelievo e 32 miliardi di dollari dalle banche multilaterali di investimento; Food: 3,1 miliardi di dollari; Nature: 2,6 miliardi di dollari; Health: 2,7 miliardi di dollari; Water: 150 milioni di dollari; Gender: 2.8 milioni di dollari; Relief, recovery and peace: 1,2 miliardi di dollari.(Fonte Asvis, 8/12/23 , a cura di Toni Federico, coordinatore del Gruppo di lavoro Energia e Clima Goal 7-13 di ASviS e del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile).
[12] 2023 United Nations Environment Programme – Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review, ISBN: 978-92-807-4052-3 Job number: DEL/2550/NA DOI.