Scritto da Federico Perini
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Dal 14 al 18 febbraio 2022 ha avuto luogo a Bruxelles la Africa-Europe Week: un evento originariamente programmato per il 2020, promosso dall’Unione Europea (UE) e dall’Unione Africana (UA), avente come obiettivo la riforma delle relazioni culturali, economiche e sociali tra i due continenti, in modo tale da allinearle alle linee guida espresse dalla UN Agenda 2030 for Sustainable Development. A conclusione della settimana, è stato organizzato un summit tra le massime autorità delle due Unioni[1], il quale ha prodotto una visione condivisa circa il raggiungimento degli obiettivi stabiliti a New York nel 2015. Prima di analizzare i risultati dell’incontro, occorre comprenderne a pieno lo spirito. A tal proposito, risulta utile esaminare il fitto programma[2] pubblicato dalla Commissione Europea, in cui è possibile notare come le tante tavole rotonde aperte abbiano toccato temi eterogenei quanto complementari tra loro. In particolare, si è discusso di come i giovani di entrambi i continenti possano essere considerati i principali protagonisti dello sviluppo sostenibile. A sostegno di tale tesi, è stato rilevato come essi, tramite le loro azioni, avrebbero il potere di cementare dei rapporti transcontinentali fondati su una sincera parità culturale. Infatti, solo un chiaro e inequivocabile abbandono pratico delle discriminazioni razziali permetterebbe di procedere sinceramente verso traguardi ambiziosi come la parità di genere, la transizione verde e digitale e la cooperazione internazionale intesa nel senso della difesa della sicurezza e della pace[3]. Quest’ultimo aspetto, nonostante fosse già contenuto nel programma della Settimana, ha assunto gradualmente sempre più importanza.
Comprendere lo spirito degli incontri significa infatti anche sottolineare come essi abbiano avuto luogo all’ombra della crisi russo-ucraina: un evento di rilevanza tale da convogliare la totalità delle attenzioni dei media, la maggior parte dei quali non ha prodotto alcun articolo riguardo l’Africa-Europe Week. Oltre al ruolo dei giovani, è stato approfondito il contributo che le autorità politiche nazionali e sovranazionali, nonché le società civili locali e le aziende pubbliche e private, avranno rispetto al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. In particolare, dal punto di vista politico-economico, si è definito lo stanziamento di un Africa-Europe Investment Package pari a 150 miliardi di euro, che supporterà la creazione di infrastrutture fisiche e digitali a sostegno della transizione energetica verde, la costruzione di una efficiente rete di trasporti e la promozione di una crescita umana e lavorativa tale da innalzare la qualità generale della vita[4]. Rispetto agli effetti della pandemia da Covid-19 si è inoltre stabilito l’impegno da parte del “Team Europe”[5] a migliorare i settori della sanità e dell’educazione. Il primo attraverso azioni volte alla garanzia di un accesso equo ai trattamenti sanitari e ad una più rapida distribuzione di vaccini nel continente africano; il secondo grazie ad iniziative come quella promossa da CIVIS, la grande European Civic University, la quale, attraverso un incontro organizzato a Marsiglia l’11 marzo, ha instaurato rapporti di associazione con sei università africane[6]. Un’iniziativa volta a promuovere non solo la mobilità di idee, ricercatori e studenti, ma anche una solida coscienza eurafricana.
Partendo da queste premesse, per comprendere a pieno l’importanza dei colloqui – nonché per esprimere un primo giudizio in merito agli esiti appena esposti – occorre leggere l’Africa-Europe Week alla luce di una prospettiva più ampia; una prospettiva storica che affonda le sue radici nelle origini stesse dell’europeismo, e nei processi politici grazie ai quali vennero istituite le prime comunità europee. Infatti, essa non è altro che l’ennesima testimonianza di quanto l’Africa rivesta un ruolo di primo piano nella definizione stessa di Europa, nonché di quanto quest’ultima abbia condizionato (e condizioni) gli sviluppi politici, economici e culturali del continente africano. Come messo in luce da alcuni studi[7], fin dagli anni Venti e Trenta del Novecento, il pensiero paneuropeista prima e l’europeismo poi hanno mirato a riformare i legami coloniali in rapporti di collaborazione che consentissero all’intero continente di mantenere la propria egemonia oltremare. Chiamata Eurafrica, tale idea-forza venne declinata in modo diverso a seconda delle diverse culture politiche e rispetto alle necessità dei singoli Stati nazionali; nel complesso, fu una elaborazione chiaramente eurocentrica, che da alcuni è stata definita di carattere spiccatamente neocoloniale[8]. Tra i fattori di legittimità su cui si fondava l’ideale vi era quello secondo cui Europa e Africa, per il fatto di trovarsi lungo gli stessi fusi e meridiani, avessero un’alternanza di fasce climatiche tale da offrire qualsiasi tipo di risorsa utile allo sviluppo della società industriale e post-industriale. Inoltre, secondo una divisione del lavoro fondata sulle specificità produttive ed estrattive di ciascun territorio, tale teoria sostiene che spetti all’Africa approvvigionare di materie prime l’Europa, e che quest’ultima abbia il compito di ripagare il flusso di risorse esportando preferenzialmente i propri manufatti finiti verso sud.
Su quella che è stata definita fin dai primi teorici come una vera e propria «complementarietà economica»[9] si sono sviluppati, a partire dagli anni Cinquanta, alcuni tentativi di riforma dell’ideale rispetto al periodo coloniale, che hanno portato a pensare rapporti Nord-Sud sempre più «paritetici»[10], con al loro interno anche un certo solidarismo spirituale, tutt’ora sostenuto in alcuni ambienti di matrice cattolica[11]. Nello specifico, è stato teorizzato nel Manifesto per l’Eurafrica del 1955 come, oltre ad una unità economica, ci sia una vera e propria unità non solo spirituale, ma anche e soprattutto umana, volta a disinnescare, secondo il principio che «unica è la natura dell’uomo come unico è lo scopo della sua persona fisica e unica la finalità della sua anima»[12], le critiche secondo cui l’Eurafrica non è altro che una ideologia il cui «razzismo» è percepibile dal fatto che l’Africa assuma una «sua identità [solo] in quanto prolungamento [necessario] dell’Europa»[13]. Da parte africana, riprendendo le posizioni espresse negli anni Cinquanta da Leopold Sedar Senghor coerentemente all’idea di Negritudine, la complementarietà economico-spirituale-umana trovava una ulteriore legittimazione se si fosse considerato come la «razionalità […] meccanica» e analitica degli europei potesse essere integrata dalla capacità d’«intuizione» propria degli africani[14]. Per il poeta senegalese, tale «simbiosi dinamica» avrebbe generato un «métissage culturel» così solido da guidare i due continenti verso un orizzonte di progresso in grado di scardinare l’assetto della Guerra Fredda mediante la creazione di una terza forza euro-africana[15]. Tradotta nel 1957 nella formula dell’associazione economica dei Territori d’Oltremare alla Comunità Economica Europea (CEE), l’Eurafrica perse gradualmente di credibilità: dal punto di vista terminologico, essa venne ripresa dalla Francia – impegnata ad arginare la decolonizzazione algerina – quale escamotage utile a promuovere l’europeizzazione delle ormai insostenibili spese coloniali. Infatti, dal 1963, anno in cui l’associazionismo venne revisionato tramite la Convenzione di Yaoundé, l’ideologia eurafricana lasciò il passo alla retorica della Françafrique, scomparendo dal dibattito pubblico europeo, il quale avrebbe poi prediletto la nozione attuale di partnership.
In questo senso, studiare la riforma dell’idea di Eurafrica negli anni Cinquanta permette di comprendere, attraverso una prospettiva di lungo periodo, quali siano le fondamenta (visibili o meno) sulle quali, anche grazie ad eventi come l’Africa-Europe Week, si stiano gettando le basi di un nuovo discorso eurafricano. Allo stato attuale degli studi, sembra infatti che simili questioni siano carsicamente transitate dall’inizio degli anni Sessanta ai primi anni Duemila. Tra le plausibili cause di ciò, è possibile includere da un lato lo sgretolamento del terzomondismo, dall’altro la parallela fine della Guerra Fredda e l’istituzione sia dell’Unione Europea che dell’Unione Africana. In altre parole, dalla fine degli anni Novanta ad oggi, lo scenario geopolitico globale sembra essersi evoluto in modo tale da costituire un terreno fertile per quanti vogliano coltivare l’Eurafrica quale orizzonte perseguibile. A fronte di una riformulazione dei rapporti di forza internazionali che vede il delinearsi di una contrapposizione tra democrazia e autocrazia[16], l’Europa e l’Africa sono concepite da molti come due realtà tanto complementari quanto dinamiche, dalla cui unione su basi politico-economiche paritetiche potrebbe scaturire quella entità geopolitica in grado di opporsi efficacemente sia agli USA che alla Cina[17]. Tale incontro risulterebbe ora più che mai possibile grazie alla scomparsa dell’ideologia antitetica all’eurafricanismo, ossia il terzomondismo, nonché grazie ad una Europa sicuramente più unita rispetto agli anni Cinquanta e ad un’Africa che sembra aver intrapreso un lento ma costante processo di integrazione regional-continentale.
A questi motivi occorre aggiungere come, in seguito alla fine del cosiddetto “regime di Lomè”[18], le relazioni euro-africane stiano conoscendo un deciso, ma lento, processo di riforma. Infatti, con l’accordo di Cotonou (2000), l’Unione Europea ha dimostrato di recepire le indicazioni formulate nel 1995 dalla World Trade Organization (WTO), secondo cui il sistema preferenziale, sancito dai Trattati di Roma (1957), riaffermato poi a Yaoundé (1963) e nelle quattro convenzioni di Lomé (1975, 1980, 1985, 1990), risultava essere il maggiore ostacolo allo sviluppo del continente africano. La sua graduale abolizione, occorsa tra il 2000 e il 2008, ha permesso a diversi attori internazionali – Cina in testa – di interloquire con gli Stati africani. Nonostante ciò, le occasioni di dialogo euro-africano non sono venute meno. Fin dal 2000, infatti, si tengono periodicamente summit bilaterali tra Unione Europea e Unione Africana, tra cui quello del 17-18 febbraio scorso, i quali hanno portato nel 2007 all’istituzione della Joint Africa-EU Strategy[19] (JAES): un piano di riforma dei rapporti transcontinentali il cui obiettivo è sostituire alla «ricetta delle donazioni» delle «politiche di sviluppo» destinate a favorire la modernizzazione africana. Tale proposito, in occasione del quarto EU-Africa summit del 2-3 aprile 2014, è stato integrato da quello della pace e della sicurezza, il quale ha costituito il punto cardine della Roadmap 2014-2017 condivisa dagli Stati africani ed europei[20]. Inoltre, durante il Summit on Migration di La Valletta del 2015, è stato necessario declinare il tema della sicurezza alla luce della crescente centralità della questione migratoria. Una dinamica che ha permesso la creazione dell’EU Emergency Trust Fund for Africa, il cui funzionamento è stato valutato come necessario alla «prosperità europea» in occasione dell’enunciazione della EU Global Strategy nel 2016. Alla scadenza della Roadmap, sul cui adempimento vi è un giudizio perlopiù negativo, la Commissione Juncker ha ripreso la questione dei rapporti transcontinentali, nella misura in cui è stata istituita nel 2018 una nuova «alleanza Africa-Europa per gli investimenti e l’occupazione»[21].
È dunque in questa complessa articolazione giuridico-diplomatica che si è dovuta inserire, dal 2019, la nuova politica euro-africana di Ursula von der Leyen. Compiendo il suo primo viaggio extra-europeo ad Addis Abeba, sede dell’Unione Africana, von der Leyen ha infatti chiarito l’indirizzo di politica estera del proprio mandato, ovvero l’instaurazione di un nuovo tipo di dialogo euro-africano che, oltre a fondarsi sulla questione migratoria e sul tema “sicurezza”, contempla tra i propri obiettivi la promozione di uno sviluppo verde, sostenibile e digitale, raggiungibile sulla scia del Green New Deal e del Next Generation EU, nonché attraverso l’Africa Investment Platform, l’EU-Africa Infrastrutture Trust Fund, e l’ultimo pacchetto di risorse finanziarie promesse dai dialoghi della Africa-Europe Week, il quale tenta di concretizzare quella nuova «way for a stronger, more ambitious partnership with Africa» enunciata a marzo 2020, allo scopo di completare definitivamente il percorso di riforma degli Accordi di Cotonou del 2000[22]. Tuttavia, per non configurarsi come le ennesime traduzioni pratiche dello spirito paternalista europeo, tali prospettive dovranno essere attuate dimostrando un sincero interesse verso i bisogni del continente africano, i quali dovranno essere formulati non a Bruxelles, ma ad Addis Abeba. Infatti, le principali voci critiche riguardo lo stato attuale delle relazioni euro-africane, come quelle di Gustavo Gozzi e Achille Mbembe, denunciano la tendenza da parte dell’Europa a riproporre e a concretizzare ciclicamente linee guida che puntano a tutelare soltanto gli interessi occidentali[23].
Riguardo la potenzialità contrattuale del continente africano, è possibile notare come negli ultimi due anni ci siano stati sviluppi importanti. Lo scorso febbraio, infatti, l’Unione Africana si è presentata all’Europa in una veste inedita. Il 1° gennaio 2021 è entrata in vigore l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), ovvero il «mercato comune più popoloso del mondo, con 1,3 miliardi di persone»[24] al suo interno. Un mercato che risulta però frazionato in otto associazioni economiche transregionali[25], le quali costituiscono per l’auspicata politica eurafricana un ostacolo non indifferente. A complicare il quadro vi è anche la Brexit, che ha proposto e propone il Commonwealth quale contraltare all’Eurafrica. Dunque, tirando le fila del ragionamento, risulta possibile affermare come i propositi di una proficua collaborazione transcontinentale in ottica Agenda 2030 fondino la propria ragion d’essere sulla riforma e la traduzione in prassi politica di una delle idee-forza che hanno contribuito, nel corso del Novecento, a plasmare l’Europa unita, vale a dire l’Eurafrica. A sostegno di ciò, si riportano due interventi profusi a distanza di quattordici anni, i quali mostrano come almeno in Italia[26] la questione venga elaborata in una chiave ideologica oltre che geo-economica. Così nel 2006 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, celebrando la Giornata dell’Africa: «Europa e Africa devono riscoprire radici comuni, come ebbe a dire cinque anni fa, in occasione di questa stessa ricorrenza, il mio predecessore, Carlo Azeglio Ciampi: “abbiamo di fronte a noi un compito epocale: collegare saldamente il futuro dell’Africa all’Europa.” […] L’Italia e l’Europa intendono essere al fianco dell’Africa nel suo percorso, per creare insieme quello spazio comune di civiltà sognato da un grande poeta e statista africano, Léopold Senghor, della cui nascita ricorre quest’anno il centenario: egli lo definì Eurafrica. Un progetto audace e di lungo periodo, nel quale tutti possiamo riconoscerci: l’unione di due mondi attraverso il Mediterraneo, che deve tornare ad essere, come fu in passato, mare aperto, luogo di incontro di civiltà, culture e tradizioni[27]».
Così invece, nel maggio 2020, Emilio Ciarlo, responsabile dell’Ufficio comunicazione dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo: «recuperiamo il concetto di Eurafrica, perché il futuro è nell’Africa: è lì che troviamo giovani che lavorano sodo per emergere e vincere»[28]. Inoltre, recentemente, è stato analizzato proprio tra queste pagine come anche il miglioramento della rete infrastrutturale italiana sia percepito dagli ambienti di governo come un presupposto fondamentale per la proiezione dell’Italia quale ponte tra Europa e Africa[29].
Anche la storiografia italiana si sta inserendo in tale dibattito. Bruna Bagnato, Giuliana Laschi, Giuliano Garavini, e più recentemente Gustavo Gozzi e Leila El Houssi hanno intrapreso importanti analisi di lungo periodo dei rapporti euro-africani. A livello continentale, sono soprattutto personalità francesi a parlare di Eurafrica. All’indomani dell’istituzione del JAES infatti, il Presidente della Repubblica Sarkozy aveva dichiarato come si stesse lavorando allo scopo di «preparare l’avvento dell’Eurafrica»[30], la quale, se nel 2007 venne concepita come il definitivo abbandono dell’idea della Francafrique, attualmente viene interpretata da diversi osservatori internazionali come una prospettiva in grado di arginare la nuova “via della seta” cinese[31]. Tale progetto, sebbene sia bollato come eurasiatico, sembra puntare all’allargamento dell’influenza di Pechino fino al continente africano. Risulta quindi interessante osservare come, se nella Guerra Fredda l’Eurafrica avrebbe dovuto rappresentare un progetto terzaforzista elaborato in prospettiva anti-sovietica, oggi risulti essere un disegno geopolitico strutturato in ottica anti-cinese. Di recente, simili timori sono stati resi pubblici anche dal Presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha affermato come l’Eurafrica sia una prospettiva geopolitica necessaria per entrambi i continenti[32].
Vi sono infine alcune importanti personalità che si oppongono alla natura dei colloqui del febbraio 2022, denunciandone una natura troppo economicista. È il caso di Achille Mbembe, uno dei maggiori filosofi e teorici del post-colonialismo contemporanei, secondo cui l’Unione Europea non avrebbe capito che i veri oggetti delle relazioni transcontinentali non dovrebbero riguardare le migrazioni o gli investimenti europei in Africa, quanto piuttosto la promozione di istituzioni e pratiche democratiche. In altre parole, lo sviluppo del continente africano dovrebbe essere fondato sulla promozione disinteressata e «apolitica» della democrazia, la cui richiesta non proviene più dall’«esterno», bensì dall’interno delle società civili africane, come nei recenti casi etiopico e sudanese. Inoltre, per Mbembe, dallo sviluppo della democrazia in Africa dipendono anche le sorti del quadro geopolitico mondiale. Infatti, per non cadere vittima né del modello capitalistico americano né di quello cinese, non rimarrebbe altra scelta al continente che allearsi, su un piede di parità, con l’Europa democratica, al fine di sradicare quella «ecologia della brutalità» che sviluppa in molte realtà africane crisi dopo crisi[33]. Se si legge la posizione del filosofo camerunese parallelamente alle dichiarazioni dei delegati africani e agli interventi dei giovani, risulta interessante notare come esse coincidano più con questi ultimi. Infatti, mentre “dall’alto” delle istituzioni europee e africane provenivano argomentazioni di carattere prettamente economico, “dal basso” – ossia da parte di quella fetta di società civile transcontinentale rappresentata dai giovani – arrivava un accorato appello rivolto alla tutela della pace e alla promozione delle libertà e dei diritti fondamentali.
Dunque, allo “stato presente”, sembra possibile affermare che lo sviluppo delle relazioni euro-africane sia condizionato dalla compresenza di due orizzonti divergenti ma potenzialmente complementari. In questo senso, ciò che la Africa-Europe Week sembra lasciare in eredità è una sfida ben precisa: riuscire a sintetizzare nei prossimi anni la tutela e la promozione della democrazia con le esigenze economiche di entrambi i continenti; ovvero attuare un percorso equilibrato di interventi economici e culturali capace di far intersecare le necessità non solo degli Stati europei e africani, ma anche quelle delle diverse società civili locali e delle diverse generazioni. Tuttavia, rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, quando cioè il discorso euro-africano fondato sulla parità assoluta prese piede anche grazie all’operato di figure come Giorgio La Pira e Leopold Sedar Senghor[34], manca la consapevolezza che un deciso cambio di passo nei rapporti tra i due continenti potrà avvenire solo sulla base di un rinnovamento “umano”, cioè sulla base di un mutato senso comune, in grado di sorpassare le discriminazioni razziali e la definizione stessa di “altro”. In sintesi, l’Africa-Europe Week può essere letta come un’occasione di dibattito la cui sfida non deve cadere nel dimenticatoio, così come successo con i brillanti propositi elaborati dai precedenti summit. Uno scenario analogo può essere scongiurato affrontando organicamente tali questioni all’interno della sfera pubblica, alimentando un dibattito critico e informato che abbia il coraggio di interfacciarsi con l’eredità del colonialismo e con le sfide del futuro, senza la paura che un serio progresso africano danneggi qualsiasi tipo di reale o supposta preminenza europea nello scenario geopolitico globale.
[1] L’Unione Africana era rappresentata dal chairman Macky Sally, mentre l’Unione Europea dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.
[2] Per consultare il programma: https://ec.europa.eu/international-partnerships/system/files/week-africa-europe-programme_en.pdf
[3] Si rimanda alla relazione conclusiva della Youth Track della Africa-Europe Week.
[4] Per consultare l’infografica elaborata a conclusione degli incontri, disponibile a questo link.
[5] Con l’accezione «Team Europe» si intende l’unione di intenti tra Unione Europea, Stati membri e istituzioni finanziarie come la European Investment Bank.
[6] Le sei università associate sono l’Hassan II di Casablanca (Marocco), l’Université di Sfax (Tunisia), la Cheikh Anta Diop di Dakar (Senegal), la Makerere University di Kampala (Uganda), l’Università del Witwatersrand di Johannesburg (Sud Africa) e la Eduardo Mondlane di Maputo (Mozambico). Per approfondire l’associazione si rimanda al sito web di CIVIS.
[7] Cfr: Marco Antonsich, Eurafrica, dottrina Monroe del Fascismo, in «Limes», 5 ottobre 1997; Peo Hansen e Stefan Jonsson, Eurafrica: the untold history of European integration and colonialism, Bloomsbury, Londra-New York 2014.
[8] Per approfondire: Ivi, passim. Si rimanda anche a: Gustavo Gozzi, Eredità coloniale e costruzione dell’Europa. Una questione irrisolta: il «rimosso» della coscienza europea, il Mulino, Bologna 2021. Recensito da Pandora Rivista: Federico Perini, “Eredità coloniale e costruzione dell’Europa” di Gustavo Gozzi.
[9] Per tali teorie si rimanda ai volumi: Paolo d’Agostino Orsini di Camerota, Eurafrica: l’Europa per l’Africa, l’Africa per l’Europa, Cremonese, Roma 1934; Eugene Guernier, L’Afrique: champ d’expansion de l’Europe, Armond Colin, Parigi 1933.
[10] Mario Andreis, L’Africa e la Comunità economica europea, Einaudi, Torino 1967, pp. 13-14.
[11] Mario Mazzariti e Andrea Riccardi, Eurafrica. Quello che non si dice sull’immigrazione. Quello che si potrebbe dire sull’Europa, Leonardo International, Milano 2004; Andrea Riccardi, Eurafrica, in «Limes», 20 maggio 2006.
[12] Il testo integrale è reperibile in: Il Manifesto per l’Eurafrica: firmato da personalità italiane, in «Eurafrica», Anno. III, n. 3, maggio-giugno 1955, p. 3. Per approfondire ci si permette di rimandare a: Federico Perini, L’idea di Eurafrica nell’Italia repubblicana (1947-1957), Sapienza Università di Roma, Roma 2022.
[13] Giuliana Laschi, Colonialismo e identità coloniali a confronto: l’Italia e la politica di associazione nei primi anni della CEE, in Valeria Deplano e Alessandro Pes (a cura di), Quel che resta dell’impero: la cultura coloniale del italiani, Mimesis, Milano 2014, p. 374.
[14] Léopold Sédar Senghor, Ciò che l’Africa attende dall’Europa, in «Affrica», Anno X, n. 6, giugno 1955.
[15] Kahiudi Claver Mabana, Léopold Sédar Senghor et la civilisation de l’universel, in «Diogène», Anno III-IV, n. 235-236, 2011.
[16] Giovanni Carbone, The Going Gets Tough: Will Europe and Africa Get Going Together?, in Paolo Magri (a cura di), Europe and Africa: the long research for common ground, Ledizioni, Milano 2021, p. 18.
[17] Cfr: Diego Masi, Eurafrica: L’Europa può salvarsi salvando l’Africa?, Fausto Lupetti Editore, Milano 2020.
[18] Con questa espressione, storici come Gustavo Gozzi e Giuliano Garavini descrivono l’«appropriazione del plusvalore commerciale» perpetrata ai danni delle economie africane dai quattro Accordi di Lomè. Per approfondire: Giuliano Garavini, Dopo gli imperi: l’integrazione europea nello scontro Nord-Sud, Mondadori Education, Milano 2009, pp. 149-188; Gustavo Gozzi, Eredità coloniale e costruzione dell’Europa…, cit., pp. 212-214.
[19] Il testo dell’accordo è disponibile a questo link.
[20] Il testo è disponibile a questo link.
[21] Il testo di tale accordo è disponibile a questo link.
[22] “Manifesto” di tale indirizzo può essere considerato il documento prodotto dalla Commissione europea intitolato Towards a comprensive Stategy with Africa, pubblicato il 9 marzo 2020.
[23] Gustavo Gozzi, Eredità coloniale e costruzione dell’Europa…, cit., pp. 276-278; Achille Mbembe, Emergere dalla lunga notte: studio sull’Africa decolonizzata, Meltemi, Milano 2018, passim.
[24] Per approfondire: Giovanni Farese, La pandemia e il futuro di Eurafrica, «Aspenia», 30 aprile 2020.
[25] Tali associazioni sono: Arab Maghreb Union (AMU), Community of Sahel-Saharan States (CEN-SAD), Intergovernmental Authority on Development (IGAD) nel Corno d’Africa, Economic Community of Central African States (ECCAS), Economic Community of West African States (ECOWAS), Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA), East African Community (EAC), Southern African Development Community (SADC). Per approfondire: W. Kennes, Renewing the Cotonou Partnership Agreement: deja vu or New Deal?, in P. Magri (a cura di), Europe and Africa: the long research for common ground, cit., p. 60.
[26] Risulta interessante osservare come l’Italia non abbia inviato delegati all’Africa-Europe Week.
[27] Il discorso integrale è consultabile sul sito web dell’archivio del Quirinale.
[28] Uno stralcio dell’intervento di Emilio Ciarlo al webinar del 28 maggio promosso dal MAECI è consultabile su DIRE, il notiziario settimanale del Ministero degli Esteri.
[29] Si rimanda a: Federico Perini, I grandi investimenti infrastrutturali in Italia. Un dibattito del Forum Disuguaglianze Diversità, Pandora Rivista, 21 ottobre 2021. Risulta interessante osservare come negli anni Cinquanta già personalità come Don Luigi Sturzo o Paolo Emilio Taviani parlassero dell’Italia come un naturale ponte euro-africano: una tendenza di lungo periodo riscontrabile anche nei più recenti report sullo stato delle relazioni italo-africane redatto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
[30] Daniel Flynn, Sarkozy proposes Eurafrica: partnership on tour, «Reuters», 26 luglio 2007. A tal proposito si veda anche Gustavo Gozzi, Eredità coloniale e costruzione dell’Europa…, cit., p. 216.
[31] Per approfondire, si riportano due tra le decine di contributi rintracciabili su numerose testate nazionali e internazionali: Why europe should focus on its growing interdependence with Africa, «The Economist», 20 settembre 2018. Si rimanda anche a: Mario Giro, Con l’addio della Francia, in Sahel si gioca la creazione di Eurafrica, «Domani», 17 giugno 2021.
[32] Per approfondire le posizioni di Emmanuel Macron: Emmanuel Dupuy, Emmanuel Macron: a Mediterranean leader? French policy towards the Mediterranean, in IEMed Mediterranean Yearbook 2020. Si rimanda anche a: The Macron Doctrine. A conversation with the French President, in «Groupe d’Etudes Géopolitiques, 16 novembre 2020.
[33] Achille Mbembe, Un New Deal entre l’Europe et l’Afrique est-il possible?, in «Le Grand Continent», 7 febbraio 2022.
[34] Per approfondire: Leila El Houssi, L’Africa ci sta di fronte. Una storia italiana: dal colonialismo al terzomondismo, Carocci, Roma 2021, p. 23.