“Internet delle cose” di Samuel Greengard
- 20 Agosto 2018

“Internet delle cose” di Samuel Greengard

Recensione a: Samuel Greengard, Internet delle cose, il Mulino, Bologna 2017, pp. 152, 12 euro (scheda libro)

Scritto da Walter Rapetti

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The Internet of Things, Internet delle Cose, così si chiama il breve ma fondamentale testo di Samuel Greengard edito in Italia da il Mulino. Leggere questo libro è come spalancare una finestra su un mondo nuovo che, per chi è meno avvezzo al tema, pone diversi interrogativi. Primo tra tutti il perché sia necessario specificare Internet delle Cose. È così importante? Internet non è forse già “tutto”?

La risposta a questa domanda è: no, Internet non è tutto. E con questa estensione del termine si sviluppa una storia: quella della cosiddetta rivoluzione industriale 4.0. Oppure, per meglio dire, della quarta fase della rivoluzione industriale che stiamo vivendo ora e che segue la meccanizzazione (prima rivoluzione industriale, avvenuta ad inizio XIX secolo), la produzione di massa (seconda rivoluzione industriale, avvenuta alla fine del XIX secolo) e la diffusione dell’elettronica e dei computer avvenuta a partire dagli anni Settanta del XX secolo. Al cuore dell’Internet delle Cose vi è quindi l’Internet Industriale che rappresenta l’infrastruttura che supporta la connessione di macchine e di dati tramite l’integrazione di macchinari con sensori, software e sistemi di comunicazione avvalendosi, oltreché di connessioni veloci, di big data, machine learning e connettività M2M (Machine to Machine ovvero le tecnologie e i servizi che permettono il trasferimento automatico delle informazioni da macchina a macchina con limitata o nessuna interazione umana).

Proprio per questo carattere particolarmente legato al mondo industriale l’Internet of Things viene chiamato da alcuni Industry 4.0, facendo riferimento all’ondata dirompente di innovazione industriale che porta il diffondersi dell’automazione, dell’ulteriore specializzazione delle competenze, dell’accumulo e dell’analisi di enormi quantità di dati, della profilazione degli utenti e dei consumatori, oltre alla centralità del comparto informatico a prescindere dal settore di business in cui opera l’industria smart. Tutto questo non sarebbe possibile senza Internet, ovviamente, ma va oltre l’Internet per come lo conosciamo noi ora poiché non è in grado di connettere tra di loro unicamente gli strumenti che nascono già digitali (digital-first, come uno smartphone o un computer, ad esempio) ma anche quelli che nascono prevalentemente o completamente fisici (physical-first, come un libro o una automobile) e di farlo automaticamente, senza bisogno della costante presenza di un essere umano dopo l’attivazione del processo.

Nell’Internet Industriale la comunicazione può avvenire in tre modi: da macchina a macchina (M2M), da uomo a macchina (H2M) e da macchina a smartphone (M2S) o altro dispositivo mobile come un tablet o un laptop ibridando le tipologie di connessione e le tecnologie. Questo è possibile grazie alla grande diffusione di possibilità di connessione senza soluzione di continuità, al basso costo dell’energia elettrica, al continuo miglioramento delle batterie per dispositivi digitali e alla miniaturizzazione dei componenti elettronici, e – non ultimo – allo sviluppo di nuove tecnologie come la RFID (radio frequency identification) che utilizza circuiti integrati di ridottissime dimensioni sia in maniera passiva (ovvero senza alimentazione propria) che attivi (con alimentazione propria) assieme a lettori con antenne utili a identificare oggetti e a trasmettere dati sulla loro posizione o condizione ad un dispositivo mobile o ad una rete di computer.

 

Le possibili applicazioni dell’Internet delle Cose

Samuel Greengard non si sofferma ad una disamina tecnica dell’IoT (Internet of Things) nel suo testo. Il suo scopo è portare la comprensione delle opportunità e dei rischi della rivoluzione digitale al più ampio pubblico possibile nella consapevolezza che è una rivoluzione che ci riguarda tutti sia perché ormai quasi 7 miliardi di persone hanno accesso ad internet e oltre 12 miliardi di dispositivi, tra fissi e mobili, si connettono quasi quotidianamente nel mondo, sia perché esistono oltre 1.500 miliardi di “cose” nel mondo fisico e il 99% delle quali è connettibile all’IoT con un volume di affari stimato attorno ai 14.400 miliardi di dollari (il più alto volume d’affari per singolo settore del pianeta). Il ragionamento dell’Autore è semplice: piaccia o no, sia che ne siamo consapevoli sia che non lo siamo, questa rivoluzione sta avvenendo, ci riguarda e ci influenzerà tutti, pertanto è meglio conoscerla e parlarne consapevolmente.

Come ogni grande cambiamento anche l’Internet delle Cose può creare vincitori e sconfitti, entusiasmare o spaventare, creare ricchezza o disperderla. Le opportunità sono evidenti: da soli e insieme i dispositivi connessi offrono possibilità del tutto nuove nel mondo del lavoro, del consumo e della vita quotidiana. Un qualsiasi cittadino potrà essere in grado di ottimizzare i suoi consumi regolando i termostati, accendere o spegnere le luci, programmare la lavatrice e l’accensione del forno, inserire codici temporanei d’accesso per cancelli o portoni attrerso uno smartphone da qualunque parte del mondo e in qualsiasi momento così come di fare acquisti, analizzare i propri dati di fitness, programmare la propria dieta o assumere automaticamente le proprie medicine (per esempio grazie a dosatori programmati o a pompe per l’insulina autonome). Quando terminerà un prodotto di uso comune nel frigorifero o in dispensa esso potrà essere automaticamente aggiunto come promemoria alla lista della spesa sul proprio smartphone grazie alla tecnologia RFID e un gestore commerciale potrebbe utilizzare questi dati per mandare coupon o offerte dettagliate al cliente basandosi sui dati dei suoi consumi e delle sue abitudini raccolti dalle applicazioni connesse. Un disabile motorio, temporaneo o permanente, potrebbe giovare dei vantaggi alla mobilità derivanti dalle auto connesse (come i prototipi della Google Car) che necessitano di poca (o nessuna) attività da parte del conducente umano per seguire percorsi ordinari utilizzando la geolocalizzazione e i dati mobili. Una grande industria potrebbe efficientare la sua capacità di produzione con una automazione e digitalizzazione massiccia dei suoi comparti, limitando l’apporto umano alle funzioni di controllo, riparazione, programmazione e alle mansioni ad alta specializzazione, eventualmente avvalendosi anche di droni per le consegne più semplici. È chiaro che, tramite l’Internet delle Cose, la quantità di dati scambiati e raccolti aumenta esponenzialmente. La tecnologia offre la possibilità di far lavorare i dati in modi inediti e stimolanti utilizzando i social media, crowdsourcing, geolocalizzazione, big data con analisi dettagliate che incorporano dataset enormi che stanno diventando una merce di scambio fra comparti industriali ed è possibile che abbiano anche rilevanza borsistica in un futuro non troppo lontano.

I possibili campi di applicazione sono innumerevoli: se un supermercato può analizzare come spende la sua clientela, cosa vedono e acquistano le persone che girano tra i propri scaffali e decidere come modulare l’offerta in base a queste informazioni, con la medesima tecnologia una impresa zootecnica può monitorare spostamenti e stato di salute del proprio bestiame. Una amministrazione locale potrebbe acquisire dati utili per regolare meglio il traffico, ridurre gli sperperi gestionali o dislocare in modo efficiente telecamere di videosorveglianza e droni. Un laboratorio epidemiologico potrebbe seguire la diffusione di un virus in tempo reale e prendere provvedimenti sanitari di utilità pubblica. Non troppo difficili da immaginare sono le applicazioni nel campo della ricerca delle persone scomparse in seguito a crolli (per esempio la ricerca dei superstiti sotto le macerie di un terremoto, più agevole ed efficace se coadiuvata con nanobot) oppure in campo militare (ambito a cui la DARPA e diversi centri di ricerca hanno iniziato a lavorare e ad investire nell’ultimo decennio).

 

Opportunità e rischi dell’Internet delle Cose

Tuttavia una tale tecnologia e un tale livello di capacità previsionale porta una enorme quantità di problemi sia nei sistemi fisici che in quelli virtuali. Gli aspetti di rischio in termini di violazione della privacy sono innumerevoli, così come sono ampi i rischi per la sicurezza: un mondo iper-connesso è anche un mondo in cui è più facile per un elemento ostile acquisire informazioni precise sulle abitudini, sulle condizioni di salute e sugli spostamenti di una persona. Le chiavi elettroniche sono più sicure e complesse delle chiavi fisiche, ma anche loro possono essere duplicate. Un dosatore automatico di medicine o una pompa dell’insulina automatizzata e connessa sono indubbiamente un miglioramento alla qualità di vita della persona, ma un hacker che dovesse intrufolarsi nel sistema e programmarne una rottura a distanza prospetta scenari drammatici in termini di sicurezza individuale e nuovi campi di azione della criminalità. Lo stesso dicasi per la possibilità di manomissioni da remoto ad un veicolo o ad un velivolo autonomo: uno scenario non fantascientifico, ma con risultati spiacevoli molto concreti. Nuovi oggetti e nuove possibilità di connessione implicano anche la necessità di nuovi miglioramenti delle tecnologie di sicurezza, protezione della privacy e difesa da intrusioni esterne: ambiti nei quali siamo, purtroppo, ancora troppo arretrati per permettere una diffusione di massa e in sicurezza dell’IoT.

Elemento non secondario di preoccupazione nell’integrazione delle nuove tecnologie nella società è la perdita continua di professioni e di lavoratori. La frase di transizione da una modalità produttiva ad un’altra è sempre una fase difficile, in cui – per un certo lasso di tempo – vengono consumati più posti di lavoro di quelli creati e in cui la formazione e riformazione della forza lavoro non riesce ad adeguarsi pienamente alle richieste di alta specializzazione e di formazione settoriale che i nuovi comparti industriali richiedono. Il rischio è che vengano progressivamente eliminati molti posti di lavoro nei settori manuali e nel settore dei servizi non specialistici prima che vengano creati altrettanti posti di lavoro nei settori legati all’Industry 4.0 creando così diffuse tensioni sociali, disoccupazione, sacche di povertà, marginalizzazione di gruppi di forza lavoro divenuta obsoleta, malcontento e reazioni di rifiuto del comparto tecnologico e delle istituzioni e delle politiche che l’hanno reso possibile o che l’hanno sostenuto. Un rischio che, se non governato e non gestito adeguatamente nel tempo, può diventare una vera emergenza sociale che può mettere anche a rischio la tenuta democratica dei Paesi che sono attraversati da queste tensioni.

Curiosamente un altro limite alla diffusione e allo sviluppo dell’Internet of Things viene dalla natura proprietaria di gran parte del suo software. I differenti standard utilizzati nell’hardware, nei sistemi operativi e nei formati di file e documenti sono stati un problema sin dall’inizio dell’era di Internet per utenti di ogni livello di padronanza del software. Anche l’integrazione delle varie reti ha richiesto tempo, e per l’approdo all’attuale sistema di protocolli che rende il World Wide Web facilmente accessibile ovunque ci sono voluti diversi anni di sforzi e di lavoro per giungere ad uno standard comune. Oggi si verifica un problema analogo con l’IoT poiché molte aziende si aggrappano alla tecnologia proprietaria poiché pensano, a torto o a ragione, che essa rappresenti un vantaggio sul mercato. Molti dirigenti pensano che avere una API (application programming interface) aperta possa avvantaggiare la concorrenza a spese della propria azienda. Da questo deriva un diffuso atteggiamento di protezionismo, nonostante – sul lungo termine – esso si riveli solitamente dannoso: nel campo del software è risultato evidente quanto il vantaggio concorrenziale derivante da questo approccio sia stato insignificante nel medio termine e addirittura dannoso e contro-concorrenziale nel lungo termine, motivi per i quali oggi sono diffusi strumenti e meccanismi che fanno da ponte per i diversi sistemi e che permettono un mondo digitale più connesso come formati di file standard, messaging e cloud computing unificati. Negli ultimi due anni un comparto di grandi aziende (AT&T, Cisco Systems, GE, IBM e Intel) e alcuni governi hanno iniziato a promuovere una cooperazione per la definizione di standard ingegneristici per connettere sensori, oggetti e macchinari industriali. È chiaro che, senza questi standard comuni e chiare politiche di gestione del governo dei dati e delle problematiche correlate, non si potrà avere una concretizzazione positiva del grande potenziale economico, conoscitivo e industriale che l’Internet delle Cose mette oggi a disposizione dell’umanità.


Breve glossario dei termini fondamentali:

  • API: Application Programming Interface, insieme dei software che incorporano protocolli, strumenti e risorse utilizzate dagli sviluppatori per costruire interoperabilità fra programmi diversi che girano nello stesso ambiente informatico.
  • Algoritmo: insieme di istruzioni o di procedure specifiche necessario a eseguire una operazione e ottenere un risultato in un numero di passaggi definito.
  • Dispositivi connessi: tutte le macchine industriali e i dispositivi personali (computer fissi e portatili, smartphone, tablet, smartwatch, game-console, smart-tv, stampanti di rete, navigatori GPS con connessione internet e qualsiasi altro oggetto collegato in rete) che si collegano tra loro tramite un network, sia esso Internet o una rete privata.
  • Internet Industriale (o Industry 4.0): settore dell’industria in espansione in cui sono determinanti l’uso di macchine connesse, robot, software, dati e analitica, e tecnologia wireless per la produzione di beni o servizi oltre che per la comunicazione tra macchine ed esseri umani.
  • Nanobot: dispositivi autonomi per scopi biomedici la cui grandezza varia, tipicamente, da 0,1 a 10 micrometri, essendo costituiti da componenti molecolari il cui ordine di grandezza ricade nelle nanoscale.
  • RFID: Radio Frequency Identification, tecnologia wireless che utilizza circuiti integrati (detti tag) sia passivi (non alimentati direttamente) che attivi (alimentati da rete elettrica o batterie) per trasmettere dati sulla loro condizione e posizione a computer e dispositivi mobili.

Letture consigliate:

P. C. Reich e E. Gelbstein, Law, Policy and Technology: Cyberterrorism, Information Warfare and Internet Immobilization, Hershey, IGI Global, 2012.

S. Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Torino, Codice, 2012.

McKinsey&Company, The Internet of Things: mapping the value beyond the hype, McKinsey Global Institute, 2015.

A. Mcewen e H. Cassimally, Designing the Internet of Things, John Wiley & Sons Inc, 2013.

Scritto da
Walter Rapetti

Nato nel 1987. Laureato in Scienze Storiche con tesi in evoluzione culturale. Master in Innovazione nella Pubblica Amministrazione. E' assistente europarlamentare e insegna presso un Liceo pubblico di Genova. Collabora con diverse associazioni e riviste nel settore culturale e politico.

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