“Toward a New Social Contract”: uno studio della Banca Mondiale sulle diseguaglianze
- 18 Ottobre 2018

“Toward a New Social Contract”: uno studio della Banca Mondiale sulle diseguaglianze

Scritto da Gianluca Piovani

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La Banca Mondiale (d’ora innanzi BM) ha recentemente pubblicato uno studio intitolato Verso un nuovo contratto sociale: contrastare le disuguaglianze in Europa ed Asia centrale (Toward a New Social Contract: Taking on Distributional Tensions in Europe and Central Asia). Il presente articolo si propone di riportare i contenuti ed i pareri formulati in questo studio, i quali possono aiutare il lettore a comprendere le basi del dibattito riguardo le diseguaglianze, dibattito sempre più importante a livello di istituzioni internazionali e di policy maker. Come spiegato dalla stessa BM, l’aumento delle diseguaglianze sembra essere un fenomeno intimamente collegato a quello dell’aumento delle tensioni sociali e dell’ascesa dei populismi. La comprensione della società e della realtà politica attuali non possono prescindere da una riflessione sulla diseguaglianza e sulla sua percezione da parte dei cittadini. La BM fu una delle istituzioni create nel 1944 insieme all’FMI come risultato del rafforzamento delle correnti di pensiero internazionalista. Il principale obiettivo di questa istituzione è quello di contrastare e ridurre la povertà; la BM finanzia inoltre ricerche in tema economico tra cui quella oggetto di questo articolo che non si limita allo studio del fenomeno ma fornisce anche alcuni suggerimenti pratici di policy da adottare.

L’area europea è una delle più avanzate in termini di eguaglianza e politica a contrasto delle diseguaglianze a livello mondiale. Ben 23 dei 30 paesi con coefficiente di Gini (una delle più accreditate misure quantitative della diseguaglianza) più basso a livello mondiale appartengono infatti a quest’area. Una misura rilevante dell’intervento dello stato per appianare le diseguaglianze è misurata dalla differenza di coefficiente di Gini prima e dopo le politiche di redistribuzione dei redditi (basate sulla tassazione ed i sussidi). In Europa le politiche statali a contrasto della diseguaglianza diminuiscono il coefficiente di Gini di 21 punti mentre in Giappone di 16, negli USA di 11. Un’altra misura rilevante dell’intervento dello Stato nell’economia per redistribuire le risorse in modo equo è il rapporto tra le tasse riscosse ed il PIL: questo è a 39% in Europa, 32% in Giappone e 27% negli USA.

L’andamento della diseguaglianza è in aumento in tutti i principali paesi europei e non. A livello OCSE, nel 1980 il 10% più ricco della popolazione guadagnava 7 volte il 10% più povero; nel 2018 il rapporto è aumentato fino a 9,6. In Europa nel 1995 la tassazione marginale più alta (media tra i vari paesi) era del 47% mentre nel 2008 è calata al 39%: questo dato è riferito agli scaglioni più alti della tassazione sui redditi da lavoro, in altre parole è l’aliquota che si applica solamente alla fascia più ricca della popolazione. Il netto calo del prelievo fiscale dalle coorti più benestanti, rende le politiche di redistribuzione degli stati meno efficaci. Di conseguenza le disuguaglianze sono in aumento come mostrato dal grafico che segue il quale mostra l’incremento dell’indice di Gini nei paesi europei tra il 2011 ed il 2018:

Diseguaglianze

La mancanza di crescita economica ha reso per la prima volta da tempo il futuro dei giovani più insicuro ed incerto di quello della generazione precedente. In Europa, la soglia di reddito per rendere la probabilità di divenire poveri (così come definito dai rispettivi enti statistici nazionali) inferiore all’8% è aumentata da 34 euro al giorno per il periodo 2005/8 a 40 del periodo 2011/14 mostrando come l’insicurezza della situazione economica individuale sia aumentata. Il dato riportato sopra significa che è in corso uno slittamento delle classi di reddito medie e medio basse verso quelle basse, rendendo la situazione dei percettori di redditi intermedi più insicura e fragile. Ciò contribuisce non solamente ad aumentare la diseguaglianza da un punto di vista quantitativo, ma a renderne reale e concreta la percezione da parte dei cittadini; nelle intenzioni di voto è infatti rilevante non tanto la diseguaglianza misurata dagli indicatori macroeconomici quanto la percezione che di essa ha la cittadinanza. L’aumento della diseguaglianza e dell’incertezza economica dei cittadini ha pesato psicologicamente sulla coesione sociale e sulla legittimazione dei sistemi democratici, mettendo in dubbio la loro capacità di garantire prosperità e crescita economica al pari degli anni passati.

 

Diseguaglianze orizzontali

Lo studio della BM mette in luce come la disuguaglianza non sia solamente verticale, ovvero distribuita in modo randomico tra gli individui, ma anche orizzontale, ovvero tra gruppi uniformi ma separati e diversi. I principali tipi di diseguaglianza orizzontale individuati sono quelli tra giovani e senior nel mondo del lavoro e quelli legati all’occupazione, alle divisioni regionali e alle opportunità. La divisione in gruppi diversi ma omogenei aumenta la percezione della diseguaglianza ed il senso di ingiustizia di quest’ultima per individui che sempre più si sentono intrappolati in uno schema sociale ineluttabile.

Diseguaglianze tra giovani e senior

Nel 2015 i giovani (15-24 anni) impiegati con contratti precari in Germania, Francia, Italia e Olanda erano più della metà del totale; in Polonia, Slovenia e Spagna erano il 70%. In media i lavoratori precari in Europa guadagnano il 14% in meno dei lavoratori non precari e solamente uno su cinque è poi assunto a tempo indeterminato alla scadenza del contratto. La crisi economica ha colpito in modo disuguale i lavoratori senior già inseriti nel mondo del lavoro, i quali hanno potuto beneficiare della completa tutela tipica del welfare state europeo, ed i giovani, che invece faticano sempre più ad inserirsi in un mondo del lavoro sclerotico e bloccato dai più tutelati senior. La percezione di essere cittadini di serie B provata da molti giovani scoraggia la partecipazione alla vita democratica e causa un incremento dell’astensionismo; sono inoltre citati studi che dimostrano che la percezione di diseguaglianza all’interno della società è maggiore per individui il cui contratto è precario rispetto ad altri impiegati a tempo indeterminato.

Polarizzazione nelle occupazioni

La rivoluzione tecnologica sta causando la polarizzazione dei ceti sociali in termini reddituali. L’informatizzazione e l’automazione stanno rendendo superflui ed eliminando molti lavori tipici della classe media impiegatizia. La maggior parte degli ex lavoratori del ceto medio “spodestati” dalla tecnologia non riesce a riposizionarsi nel mondo del lavoro se non in fasce di reddito basse; solamente una fetta minoritaria riesce a riqualificarsi e assumendo lavori prestigiosi e dalle retribuzioni elevate. La classe media è storicamente una fascia di popolazione conservatrice e favorevole al mantenimento dello status quo: la sua crisi mina la stabilità sociale e incoraggia il voto di protesta a favore di partiti genericamente anti-sistema.

Divisione regionale

La divisione in regioni è sempre stata un fattore di disuguaglianza rilevante, così come mostra il secolare dibattito sulle differenze tra il meridione ed il resto d’Italia. Per appianare questi divari sono tipicamente necessarie politiche di redistribuzione attuate a livello statale. Con la crisi economica le politiche di spesa pubblica sono state indiscriminatamente colpite da forte stigma sociale, comprese queste. Le aree svantaggiate sono quindi state sostanzialmente abbandonate a se stesse e vengono ora percepite come un inutile fardello da quelle più sviluppate alimentando focolari secessionisti (come ad esempio quello Catalano).

Ineguaglianza di opportunità

L’ineguaglianza di opportunità è quella che discrimina il futuro delle persone in base a fattori indipendenti dal merito come ad esempio la rete di conoscenze. Lo studio della BM mostra dati in base ai quali l’istruzione e il merito sembrano essere sempre meno rilevanti nella determinazione delle fortune economiche dei cittadini. La mancanza di mobilità sociale collegata al merito aumenta la percezione di diseguaglianza e offende il senso di giustizia sociale dei cittadini.

 

Suggerimenti di policy

Lo studio della BM è del parere che l’aumento della diseguaglianza sia alla base del disgregamento della coesione sociale e dell’affermarsi di partiti populisti degli ultimi anni. Si ritiene quindi desiderabile un intervento dello stato che la contrasti e la riduca. A tale fine suggerisce l’adozione di alcune linee di policy.

Flessibilità sul mercato del lavoro?

Il mercato del lavoro dovrebbe restare flessibile ma la flessibilità non dovrebbe pesare solamente sui giovani. Si auspica quindi una condivisione della flessibilità riducendo il numero di tipi di contratti di lavoro legalmente validi. Ad oggi sono infatti in vigore numerosi contratti di impiego di cui tipicamente i più precari sono riservati ai più giovani ed i più stabili e tutelati ai lavoratori senior. Semplificando con un esempio estremo, se esistesse un unico contratto di lavoro questo sarebbe per definizione uguale per tutti; avere un unico contratto di lavoro è forse assurdo ma ridurre il numero dei contratti va verso la direzione di uniformarli e quindi ridurre le diseguaglianze e condividere la flessibilità tra giovani e senior.

La BM è un’istituzione figlia dell’internazionalismo del dopoguerra e nel tempo si è dimostrata, così come ad esempio anche l’FMI, allineata alle teorie economiche capitalistiche e liberiste tipiche dei paesi del blocco degli USA. In base a queste dottrine la flessibilità del lavoro è un fattore positivo nell’innescare il meccanismo di libero mercato in grado di massimizzare la ricchezza ed il benessere di una nazione. Incrementare la flessibilità del lavoro è stato un requisito tipico delle politiche di liberalizzazione richieste ai paesi sottoposti a programmi di aiuto internazionali (dell’FMI così come della BM). La posizione della BM in questo contesto è combattuta tra i due estremi l’uno liberista del considerare la flessibilità un bene assoluto, e l’altro di buon senso che vede negli eccessi di flessibilità un forte sacrificio richiesto ai lavoratori. Le condizioni dei lavoratori con contratti precari non sono quelle dei mercati perfetti in cui non cambia nulla se non la flessibilità: i salari sono inferiori così come i diritti e il welfare cui questi lavoratori possono accedere; questa condizione inoltre difficilmente porta a un contratto indeterminato rendendo il precariato un ghetto di serie B. La precarietà incide negativamente sulla vita delle persone e rende più difficile stabilirsi e formare una famiglia. Il fatto che anche istituzioni liberiste percepiscano finalmente il lato problematico della flessibilità, rende evidente quanto questo tema sia diventato evidente e forte.

Universalismo

Lo stato dovrebbe garantire servizi uguali a tutti i suoi cittadini. Tra questi spicca il diritto allo studio, che dovrebbe tornare ad essere la chiave di volta per eliminare le disparità di opportunità (vedi sopra) e dare a tutti i medesimi strumenti per realizzarsi all’interno del mondo del lavoro. Lo studio auspica inoltre maggiori attenzioni per quei lavoratori la cui storia di precariato non ha permesso loro di ottenere una posizione pensionistica soddisfacente. Viene inoltre commentato lo strumento del così detto reddito minimo: il parere degli autori è che possa essere efficace ma solamente qualora lo permettano i vincoli di finanza pubblica dello stato che deve implementarlo. Si nota inoltre come essere “mantenuti” dallo stato alla lunga renda frustrati i cittadini. Il reddito minimo di cittadinanza potrebbe quindi ridurre la diseguaglianza ma non la percezione di diseguaglianza.

Incrementare i servizi a favore dei cittadini ed il cosiddetto welfare per ridurre le diseguaglianze è una strada auspicabile in teoria, ma di difficile implementazione pratica. Il welfare ed i servizi costano ed al momento a livello internazionale gli stati sono sempre più oberati da debiti e da situazioni finanziarie precarie, così come mostra chiaramente il caso dell’Italia. Il commento positivo al reddito di cittadinanza ma solamente qualora questo non intacchi le finanze statali è molto significativo.

Tassazione

La tassazione dovrebbe pesare di più sui capitali ed essere più progressiva. Per quanto riguarda lo spostamento dell’onere della tassazione da redditi da lavoro a redditi da capitale, lo studio rileva come sia necessario un approccio a livello internazionale di contrasto ai paradisi fiscali dove altrimenti sarebbe facile migrare i capitali in modo da sottrarsi alla tassazione. Con riferimento al tema della progressività si fa esplicito riferimento alla cosiddetta flat tax, recentemente introdotta in Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania e Repubblica Slovacca. La flat tax è regressiva, ovvero incide in misura minore sui ricchi ed invece in misura maggiore sui poveri. Gli autori si esprimono chiaramente contro questa modalità di tassazione ed evidenziano come abbia ulteriormente colpito i giovani, soggetti tipicamente meno abbienti.

L’aumento della progressività della tassazione è un tema su cui si potrebbe intervenire facilmente, al pari di una lotta serrata contro l’evasione ed i paradisi fiscali. Ciò che manca è la volontà politica di farlo. Incrementare le tasse pagate dalla fascia più ricca della popolazione è controproducente da un punto di vista di consensi politici. Similmente i paradisi fiscali vivono e prosperano perché vi sono forti interessi che li sostengono e colpirli è politicamente difficile. Quest’ultimo punto del report della BM sembra il più concreto ed applicabile ed è auspicabile che il progressivo aumento dell’attenzione del dibattito pubblico riguardo questo tema possa spingere i governi ad agire.

Lo studio della BM si inserisce nel solco di un dibattito già ampio sul tema delle diseguaglianze. I dati quantitativi sono ben curati e la bibliografia è ricca. La trattazione è chiara e rende accessibili molti dei temi anche ad un pubblico non specialistico. Pur non riportando novità sensazionali, questo studio, ben supportato dalla mole di dati e paper cui fa riferimento, ha il grande merito di inquadrare il tema in modo chiaro e di fornire alcuni suggerimenti di buon senso applicabili a molte realtà, compresa quella italiana.


Crediti immagine: da Bui Hoang Lien [CC0 Creative Commons], attraverso unsplash.com

Scritto da
Gianluca Piovani

Nato nel 1991 a Bologna, ha conseguito la laurea magistrale in Finanza Intermediari e Mercati presso l’Università di Bologna. Durante il periodo universitario ha fatto parte del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Ha collaborato con la rivista elettronica «Il Chiasmo». La sua esperienza lavorativa inizia con ricerca economica in Prometeia e prosegue in Banca di Bologna con la gestione patrimoniale. Attualmente lavora per la multinazionale Crif e si occupa di servizi informatici per banche.

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