“La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa” di Lucio Caracciolo
- 20 Marzo 2023

“La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa” di Lucio Caracciolo

Recensione a: Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli, Milano 2022, pp. 144, 16 euro (scheda libro)

Scritto da Cristiano Rimessi

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Tra il 1989 e il 1991, nella fase di disgregazione dell’Unione Sovietica, Francis Fukuyama scrive un articolo che poi pubblicherà in forma più estesa in un saggio intitolato La fine della storia e l’ultimo uomo[1]. Inserendosi in un’ampia tradizione filosofica, di cui si ritrova l’iniziatore in Hegel e celebri propugnatori in Marx e Kojève, Fukuyama interpreta la storia in maniera teleologica, cioè dotata di un fine ultimo a cui l’uomo tende per natura. Quel fine, secondo Fukuyama, si realizza col crollo dell’Unione Sovietica quando il modello liberal-democratico americano si afferma come l’unico possibile, sopravvivendo al declino degli sfidanti emersi in passato. Ecco, dunque, che l’uomo giunge alla fine della storia poiché non si scorgono più altri modelli universali che possano avere la pretesa di sfidare l’apparente efficacia e replicabilità di quello liberal-democratico.

Lucio Caracciolo – Direttore della rivista di geopolitica Limes e già Professore nelle Università Roma Tre, Luiss Guido Carli e San Raffaele – scrive La pace è finita (edito da Feltrinelli) per criticare la filosofia della storia di Fukuyama ed evidenziarne i limiti, secondo l’autore resi evidenti dalla guerra in Ucraina. Se per Fukuyama finiva la storia, Caracciolo rovescia il paradigma per sostenere che con l’invasione russa è finita la pace e anche l’idea che la storia possa veramente avere una fine.

Per comprendere la struttura argomentativa dell’autore, occorre seguirne gli sviluppi del pensiero nel corso del saggio che è articolato in un percorso che, partendo dalla critica alla filosofia dello storicismo di Fukuyama, passa per il progetto europeista, la crisi degli Stati Uniti, quella dell’ordine internazionale e conclude proponendo alcune possibili soluzioni. La discussione è accompagnata da uno stile netto e dalle soluzioni stilistiche e scelte lessicali con cui ogni lettore di Limes ha già una certa familiarità.

Innanzitutto, Caracciolo contestualizza le coordinate storiche e culturali in cui Fukuyama scrive, ossia il milieu statunitense dei neocon, in cui la filosofia della storia proposta da Fukuyama è particolarmente apprezzata e trova spazio d’applicazione nella politica estera degli anni Novanta e primi Duemila con il tentativo di esportare i valori liberal-democratici in Afghanistan e Iraq. Il fallimento di questo approccio politico in quei circa quindici anni di conflitti in Medio Oriente e nei Balcani ha causato un drastico sconvolgimento nella coscienza americana, innescando una crisi identitaria che è il frutto della contraddizione tra la convinzione di poter gestire il mondo come unica potenza egemone rimasta e la realtà dei fatti, che rigettava il modello liberal-democratico proposto dagli Stati Uniti.

Nel tentativo di rispondere alle critiche, Fukuyama aveva poi precisato, nelle seguenti edizioni del suo saggio, che la vera fine della storia si stava realizzando, piuttosto, in Europa e che l’ultimo uomo da lui immaginato era quello europeo, poiché pienamente homo oeconomicus, che avrebbe innescato la dissoluzione degli Stati nazionali in un’entità sovranazionale con il progetto di realizzare, nel corso del tempo, un mondo di pace. Da qui, Caracciolo adotta una cornice interpretativa particolarmente critica del progetto europeo accusato di essere “post-storico” e quindi lontano dalla realtà geopolitica. Per il direttore di Limes, l’Europa non è qualcosa che sfiora l’utopia[2], ma un’entità intrinsecamente e pienamente utopica.

Il passaggio successivo dell’autore è quello di esprimere il proprio punto di vista partendo dai due progenitori dell’idea di unità europea. Da una parte Coudenhove-Kalergi con Paneuropa e dall’altra Spinelli e Rossi con il Manifesto di Ventotene sarebbero i fautori di quell’idea di realizzazione degli Stati Uniti d’Europa che avrebbe dovuto fare da apripista per una vera e propria federazione di Stati di tutto il mondo per raggiungere, infine, la pace globale. Di questa utopia sarebbe sorta una versione più deludente e ben lontana da tanta ambizione, cioè l’Unione Europea che, secondo Caracciolo, altro non è che un forum attraverso il quale gli Stati perseguono i propri interessi nazionali. In questa interpretazione dell’autore, risulta trascurato il ruolo della Commissione europea, del Parlamento e della Corte di giustizia che seppure non siano considerabili pieni attori geopolitici, di certo hanno dimostrato capacità di manovra indipendenti e spesso contrastanti rispetto a quelle degli Stati nazionali. Qui forse sta uno dei limiti dell’interpretazione della realtà europea offerta da Caracciolo, ovvero quello di non riuscire ad ammettere che non tutto è influenzato esclusivamente da attori statuali. In questo caso, Caracciolo legge l’europeismo di matrice europea come un totale fallimento relegandolo alle sue frange più utopistiche quando piuttosto, come evidenziato da Kiran Klaus Patel[3], l’Unione Europea è riuscita a rendere post-classica la sovranità degli Stati, cioè un ibrido di sovranità compartecipata e condivisa tra Stati membri e Unione.

Per quanto riguarda il dibattito attorno al ruolo degli Stati Uniti nel processo di integrazione europea, Caracciolo sostiene la teoria per la quale gli europeisti, non riuscendo a federare il continente, si siano conformati ai piani americani di espansione d’influenza volti a costruire in Europa il proprio spazio privilegiato. In quest’ottica, l’attuale Unione Europea non sarebbe altro che il frutto incrociato di diverse sinergie: una europeista continentale che non è riuscita a trasformare in realtà gli ideali di federazione, l’altra invece più marcatamente statunitense che desiderava avere uno spazio di influenza e proiezione per esercitare il proprio potere e garantire la propria sicurezza.

Nessuna “vera” ricostruzione del processo di integrazione europea può avvenire senza una buona dose di consapevolezza della sua funzione antitedesca e oppositiva alla Germania. In questo caso, Caracciolo non fa altro che constatare la realtà dei fatti aderendo a tesi storiche già da tempo affermatesi. «Tenere gli americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto»[4] nelle parole di Lord Ismay, primo Segretario generale della NATO è sempre stato uno degli obiettivi principali. Anche negli eventi che hanno segnato l’integrazione europea, l’intento antitedesco è servito più volte alla Francia, la quale ha utilizzato le istituzioni europee per imbrigliare la Germania, come durante la riunificazione tedesca, ad esempio, quando i trattati di Maastricht sarebbero dovuti servire a rassicurare l’Eliseo circa un possibile Deutsche Mark eccessivamente predominante nell’economia europea. Al contempo, la presenza americana nel continente ha sempre funzionato come garanzia di equilibrio tra potenze segnando l’impossibilità di far riemergere una potenza che potesse riappropriarsi dello spirito della storia. Per Caracciolo, la Germania ha ricominciato lentamente proprio questo percorso di riappropriazione della storia e della ricerca di potenza, seppure controvoglia e spesso per inerzia. Ma la guerra in Ucraina ha permesso l’accelerazione di alcuni processi che altrimenti sarebbero stati più lenti e sfumati nel tempo, magari talmente tanto sfumati e rallentati da disperdersi in altre deviazioni della storia.

Proprio sulle conseguenze della guerra, Caracciolo argomenta uno dei punti cardine del saggio. Secondo il direttore di Limes: «gli Stati Uniti violano la regola di ogni impero: il limite. Limes» (p. 99). L’America, al crollo dell’Unione Sovietica, ha creduto di poter imporre al mondo la propria egemonia facendosi veramente universale, non concependo limiti al proprio modello e cercando di convertire gli avversari in propri adepti. E se per Vittorio Emanuele Parsi si dovrebbe parlare di crisi dell’ordine internazionale liberale basato sulla cooperazione e sul multilateralismo a livello globale causato anche degli errori dei suoi «custodi»[5], Caracciolo interpreta questo ordine come crisi dell’egemonia statunitense. Le due interpretazioni non sarebbero inconciliabili e potrebbero trovare un punto di incontro se non fosse per le loro provenienze, la prima politologica e la seconda geopolitica, poco inclini al dialogo.

L’ordine internazionale durante la Guerra fredda era mantenuto grazie alla coabitazione di due grandi potenze che si legittimavano a vicenda, riconoscendo nel rivale un pari con il quale dialogare, accodarsi e competere per l’affermazione del miglior modello di vita associata. Nell’analisi dell’autore, crollato quel sistema che garantiva la pace in Europa, rimangono tre possibilità per gli Stati Uniti. Quella di tornare ad un sistema bipolare per contendersi il mondo con un rivale; quella di ripiegare ad un pieno isolazionismo e, infine, la scelta di non scegliere nessuna opzione. Quest’ultima pare essere la strada percorsa dalla potenza a stelle e strisce e da cui deriva l’attuale disordine mondiale.

La crisi esistenziale e identitaria in cui si trovano gli Stati Uniti dipende in buona misura anche dal tipo di auto-narrazione cui la società americana si è fino ad ora riferita. La nascita da una guerra antimperiale e anticoloniale, rivoluzionaria e libertaria, non permette più agli Stati Uniti di concepirsi appieno come innocenti e civilizzatori. In più, essendo nati come società unita per limitare l’azione di un potere statale e imperiale invadente, quello inglese, gli Stati Uniti mancano di una struttura statale forte e di questo risente anche la loro proiezione nel mondo.

La crisi americana, foriera di crisi internazionale, apre la strada ai revisionismi in giro per il mondo. Ma le categorie di potenze conservatrici e revisioniste sono categorie politologiche che non piacciono a Caracciolo che non manca di polemizzare, di nuovo, con la scienza politica. Piuttosto che aiutare a comprendere il mondo, dal suo punto di vista, queste categorie ne limitano solo la comprensione, fissando la realtà in modelli incompleti. Infatti, a ben vedere, attualmente tutte le potenze mondiali potrebbero essere considerate revisioniste poiché nessuna è soddisfatta dell’attuale ordine internazionale. In questo caos, trionfano i diritti storici, cioè il collegamento al passato e la rivendicazione di territori poiché storicamente appartenuti ad un determinato popolo. O nelle parole di Caracciolo: «sono perché ero. Meglio: ero stato. Quindi sarò. O dovrò essere, se per incidente quella continuità leggendaria – celebrata in riti collettivi e marziali liturgie del tempo straordinario – sia dispersa, dunque da recuperare» (p. 118).

Nel panorama fin qui delineato, appare chiaro come la situazione internazionale risulti essere poco stabile, caotica e pericolosa, con annessi ritorni di vecchi conflitti e il sorgerne di nuovi. Tanto che secondo l’autore, se l’attuale caos internazionale dovesse far allentare o scomparire l’America dall’Europa, «il vuoto di potenza scatenerebbe il banchetto dei nazionalismi xenofobi» (p. 125), ad ulteriore riprova di quanta poca fiducia Caracciolo riponga nell’impalcatura europea senza la presenza degli Stati Uniti.

Nell’ultima parte del saggio, l’autore delinea un approccio strategico per l’Italia che dovrebbe prendere consapevolezza di alcuni punti focali dell’attuale panorama internazionale e dei rischi che corre. Le sfide poste dalla guerra in Ucraina; l’inevitabile ostilità nei confronti della Russia che fino a poco tempo prima era un importante partner energetico; il nuovo possibile ruolo della Germania, Paese con il quale l’Italia è legata a un doppio filo, fiscale e industriale; e infine la necessità della gestione dei confini marittimi e delle situazioni di crisi nell’estero vicino italiano che potrebbero pregiudicare la sicurezza nazionale.

Per quanto riguarda l’ordine internazionale, Caracciolo delinea invece un’altra possibile strada che, posta a confronto con quelle proposte da altri pensatori, si inserisce in un dibattito che continua a ricalcare la rivalità e la frattura tra disciplina politologica e geopolitica. Il lettore attento avrà forse già intuito quale sarebbe una delle proposte percorribili e delle strade da seguire per gli Stati, in modo tale da tornare ad un più stabile ordine internazionale che possa garantire l’unica pace possibile, fuori da ogni sogno utopico. Se il politologo Parsi propenderebbe per la «fondazione di un nuovo ordine, ancora portatore dei valori del liberalismo, che riesca a riportare in asse di equilibrio la dimensione internazionale, la sovranità statale e il mercato […] che non rinunci ad ambire ad una dimensione universale»[6], l’analista geopolitico Caracciolo propenderebbe, invece, proprio alla rinuncia di quell’universalismo per tornare ad un equilibrio tra potenze. Al lettore che vuole approfondire questo discorso, non resta che leggere il saggio per scoprirne la lucidità d’analisi della cruda realtà nella quale ci troviamo. In bilico sulle corde di un nuovo ordine mondiale, tutto ancora da stabilire.


[1] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 2017.

[2] Michele Gerace, Qualcosa che sfiora l’utopia. Pensare un futuro più giusto, Editoriale Jouvence, Milano 2021, recensione di Alfredo Marini reperibile su “Qualcosa che sfiora l’utopia” di Michele Gerace – Pandora Rivista.

[3] Kiran Klaus Patel, Project Europe, a history, Cambridge University Press, Cambridge 2020, pp. 176-208.

[4] Lord Ismay, declassified documents on NATO website, NATO – Declassified: Lord Ismay, 1952 – 1957.

[5] Vittorio Emanuele Parsi, Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale, il Mulino, Bologna 2022, recensione di Carlotta Mingardi, in Pandora Rivista n°3/2022, p. 155.

[6] Ibidem, p. 156.

Scritto da
Cristiano Rimessi

Laureato in Storia e Società a doppio titolo tra Roma Tre e l’University College of Dublin, collabora al progetto Parabellum su YouTube e sul blog. Scrive su siti e riviste in tema di geopolitica dell’area mediterranea e di storia coloniale con riferimento al mondo arabo-musulmano.

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